Se l’Italia piange, Berlino non può ridere

31 Maggio 2013
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Gianfranco Sabattini

La Germania non assolve ai suoi obblighi nei confronti dei partner europei, sia perché non tiene conto della funzione che è chiamata a svolgere per via delle opportunità che il mercato interno ha sinora assicurato alle sue esportazioni, sia per la “memoria corta” che sembra affliggerla, dimenticando quanto gli altri Paesi dell’eurozona hanno contribuito a che, dopo il “crollo del muro”, l’unificazione dell’ex DDR al resto del Paese avvenisse al minimo costo. E’ questa la tesi che Marcello De Cecco e Fabrizio Maronta sostengono in un loro recente articolo pubblicato sul numero di maggio-2013 di “Limes”.
La zona Euro presenta un “poco invidiabile primato”: è un area monetaria costruita intorno ad un Paese, la Germania, che ad oggi mantiene una percentuale di esportazioni sul PIL del 50%, superiore persino a quello della Cina. L’anomalia dello status di Paese esportatore sta nella sua spiccata propensione a conservarsi in una perenne posizione creditoria nei confronti degli altri Paesi europei. Si tratta, per De Cecco e Maronta, di “una condizione assolutamente anomala”, in quanto la Germania, dotata di una forza economica sovrastante quella degli altri suoi partner comunitari, non assolve alla funzione che le compete. Tale funzione dovrebbe consistere nel creare liquidità e non in quella di drenarla.
L’esperienza della storia dell’evoluzione delle economie occidentali del secolo scorso evidenzia che la funzione di creare liquidità è sempre stata assolta, nell’interesse di tutti, dal Paese che di epoca in epoca risultava economicamente egemone nel commercio internazionale. Importando beni e servizi dall’esterno, il Paese egemone stampava la moneta necessaria per pagare le importazioni e, così operando, creava la massa monetaria necessaria per regolare i rapporti di debito e di credito tra tutti i sistemi economici della sua “zona d’influenza” ed anche di quelli che non vi ricadevano. In tal modo, il Paese egemone contribuiva, non solo a garantire le condizioni per il normale svolgersi dei traffici internazionali, ma anche a creare quelle necessarie per la stabilità e la crescita economica di tutti i sistemi economici coinvolti; anche se il Paese che si assumeva l’onere di garantire la liquidità per il regolare svolgersi degli scambi avesse dovuto tollerare al suo interno gli esiti inevitabili di un’inflazione strisciante e di un’instabilità dei cambi.
La funzione di creatore di liquidità è stata assolta dall’Inghilterra tra le due guerre mondiali; ma è stata assolta anche dagli USA a partire dal secondo dopoguerra, dopo avere “rilevato il testimone” dal Regno Unito. La Germania mostra di ignorare tutto questo e, potenziando in modo crescente la sua posizione di Paese esportatore, causa, soprattutto a partire dalla creazione della moneta unica, un rovesciamento dei ruoli, nel senso che, pur essendo il “fulcro dell’area valutaria comune, non crea liquidità, ma l’assorbe…, esportando beni e sevizi altamente competitivi che vengono pagati dagli importatori più o meno <<periferici>> dell’Eurozona emettendo debito”; ciò significa che la Germania trasferisce su questi ultimi la funzione di Zecca monetaria che le spetterebbe.
Oggi, secondo De Cecco e Maronta, è giunto il momento per chiedersi se Berlino sia disponibile ad assumersi il ruolo valutario che le compete. Esistono al riguardo forti elementi che inducono a riflettere sulle difficoltà per i tedeschi, a causa della loro cultura ordinovista, di accettare che il loro Paese, strutturalmente esportatore, possa accollarsi anche il rischio ed i costi connessi allo svolgimento del ruolo di banchiere dell’area dell’euro. La risposta all’interrogativo non dipende tanto da cosa potrà decidere la Germania in sé e per sé considerata, quanto dalla sicurezza che potrà presumere di poter derivare dall’essere il perno di un’area economica a lei omogenea, costituita dai Paesi del Nord e da quelli del centro dell’Europa. Oggi, a fronte della persistenza della crisi globale, la sicurezza che può venirle dalla consapevolezza d’essere egemone all’interno di un’area che è sempre stata zona d’influenza del vecchio marco, legittima il sospetto che il crollo del sistema dell’euro possa cessare d’esse solo “un’ipotesi di scuola”.
E’ certamente improbabile che la crisi monetaria dell’eurozona possa essere determinata per iniziativa dei Paesi periferici e debitori come l’Italia, di fatto terrorizzati dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla crisi della moneta unica; è più probabile, invece, che l’iniziativa di mettere in crisi il sistema dell’euro possa essere presa dalla Germania stessa, congiuntamente ai suoi alleati. Infatti, se la persistenza della crisi dovesse dare luogo al tracollo dell’export verso l’Europa e dovesse indebolirsi quello verso i mercati extraeuropei, la Germania, con i suoi alleati, potrebbe trarre la conclusione che il sistema euro non è più sostenibile. Ma se ciò avvenisse, la sostituzione dell’euro con l’ipotetico “Neuro” (o euro del Nord) si ridurrebbe inevitabilmente alla riesumazione del vecchio marco tedesco e a un ritorno dell’Europa intera ad una situazione da incubo, quale quella che è esistita tra le due guerre mondiali, soprattutto per i Paesi periferici; questi, oltre a perdere i pochi vantaggi del mercato unico che ancora residuano, vedrebbero venir meno la possibilità di accedere al credito dei Paesi esportatori.
In conclusione, se la lenta costruzione dell’Unione europea è stata sorretta dall’idea-forza che nessun Paese può vivere isolato in condizione di pace, di stabilità e crescita, i successi conseguiti con l’Europa comunitaria sono valsi a dare fondamento a quell’idea, tranne però che per i tedeschi, i quali, col loro modo di intendere la stabilità, mostrano stranamente di aver dimenticato la tragedia che l’isolamento e la presunzione di poter riuscire da soli a procurarsi l’autosufficienza hanno causato al mondo intero. Non c’è bisogno di ricorrere, come suggerisce Vito Lops su “Il Sole 24 Ore” del 21 ultimo scorso, ad ingegnerie finanziarie keynesiane, perché la BCE possa immettere, ad imitazione di USA e Giappone, moneta “a go-go” per allentare il vincolo dell’austerità e rilanciare la crescita. Basta che Berlino assuma su di sé gli obblighi che le derivano dall’essere l’economia più forte dell’eurozona; in altri termini, basta che accetti l’idea che la BCE possa svolgere ordinariamente il ruolo di prestatore di ultima istanza, convertendo i surplus commerciali della Germania in un’offerta di euro da immettere nel mercato unico, secondo modalità e forme in grado di “sedare” l’”ossessione ordinovista” dei tedeschi.

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