Intervista ad Andrea Camilleri (e a Salvo Montalbano) di Rossella Guadagnini
Metalmeccanici e intellettuali, operai e scrittori, studenti e lavoratori, insieme. Uniti nel nome del lavoro presente e futuro su cui è fondata la Repubblica, secondo il primo articolo della Costituzione italiana. Per questo scendono in piazza, a Roma, oggi sabato 18 maggio i metalmeccanici della Fiom, guidati da Maurizio Landini, in una grande manifestazione nazionale alla quale sono stati invitati a partecipare anche studenti e lavoratori tutti. Perché l’occupazione è il primo dei tanti problemi che affliggono l’Italia e gli italiani. Il lavoro che non c’è, che manca, che non c’è più, che non c’è ancora, che non c’è mai stato.
Cosa pensano in proposito Andrea Camilleri, scrittore, e il suo alter ego letterario, Montalbano? Intervistarli tutti e due è difficile, ma non impossibile. Ci abbiamo provato, visto che il primo ha aderito all’appello di partecipazione lanciato da MicroMega, “Il Terzo Stato con la Fiom”, insieme ad altri esponenti di punta del mondo della cultura, in vista di questa manifestazione di “larga intesa” tra cittadini in difesa dei diritti, della democrazia e della Carta. Dal momento che, evidentemente, non può esserci spazio “per revisioni della Costituzione affidate a Convenzioni che si adopereranno per stravolgerla”. Quanto al secondo, Montalbano, abbiamo fondate ragioni di ritenere che anche il commissario l’abbia sottoscritto allo stesso modo.
La scheda di Camilleri è cosa nota: i natali a Porto Empedocle (nel 1925) autore, sceneggiatore e regista di chiara fama. Finora ha venduto oltre 10 milioni di copie dei suoi libri in Italia e nel mondo. Ha schiere di ammiratori che lo seguono e gli scrivono, perfino un fan club su internet (www.vigata.org). Il 10 maggio scorso gli è stata conferita la Laurea Magistrale honoris causa in Lingue e Letterature Moderne Europee e Americane dalla Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari. Una gloria del Paese, insomma, che non si discute.
Altrettanto si può dire di Salvo Montalbano, commissario di polizia di Vigàta, classe 1950, il più amato poliziotto della Penisola. Il suo profilo è quello di un funzionario dello Stato, onesto, coraggioso e leale, un lavoratore a tempo pieno che persegue il crimine organizzato nella propria terra d’origine, la Sicilia, metafora dell’Italia intera. Le sue avventure professionali e umane cominciano nel 1994, con il primo romanzo di cui è protagonista, “La forma dell’acqua”, e dal 6 maggio 1999 sono trasmesse da Rai Uno, arrivando a un pubblico vastissimo. Gli ultimi quattro episodi della nona serie tv sono andati in onda in questi giorni, interpretati da Luca Zingaretti: un trionfo assoluto in termini di audience.
In questi vent’anni i due non si sono mai venuti a noia. Ora un nuovo libro di Camilleri è in uscita per Chiarelettere, intitolato “Come la penso. Alcune cose che ho dentro la testa”: raccoglie testi e saggi in forma d’autobiografia, dedicati in parte proprio a Salvo. La presentazione del volume si terrà il 5 giugno, alle 18, all’Accademia di Belle Arti in via di Ripetta 22, a Roma. Vi prenderà parte, oltre a Camilleri, lo scrittore Francesco Piccolo. Il prossimo romanzo, invece, “Un covo di vipere” edito come sempre da Sellerio uscirà il 30 maggio, sebbene sia stato scritto sei anni fa. Ma sentiamo quanto ha da raccontarci il “papà” di Montalbano, così chiamato in onore dell’autore spagnolo Manuel Vàzquez Montalbàn, creatore del detective privato Pepe Carvalho, un cugino maggiore del commissario di Vigàta.
Sotto il profilo professionale Montalbano, in fondo, è un privilegiato: è un dipendente pubblico, con contratto a tempo indeterminato. Oggi non tutti possono contare su un impiego nello Stato, il vecchio e ambito “posto fisso”.
Montalbano è prossimo alla pensione. Ha fatto i suoi regolari concorsi, all’epoca non contraffatti, ha avuto il suo posto di lavoro e ha svolto la sua carriera. Non è un privilegiato, fa parte di una generazione di uomini e donne per cui il lavoro era un diritto e un dovere. Il problema della disoccupazione, oggi, è che chi ha un posto di lavoro, non necessariamente un posto fisso, diventa un privilegiato. Quindi siamo all’inversione totale di quella che dovrebbe essere una situazione lavorativa normale.
Sabato 18 maggio alla manifestazione nazionale in piazza della Repubblica, a Roma, interverrà il Terzo Stato, come avete auspicato. Che significa Terzo Stato?
Ricorda il famoso quadro di Pellizza da Volpedo, “Il Quarto Stato”, che rappresenta dei proletari, cioè dei lavoratori. Il Terzo Stato sono, quindi, tutti i lavoratori anche non manuali, lavoratori di concetto, intellettuali, piccoli borghesi… etc. etc., anche loro per la prima volta coinvolti dall’attuale mancanza di lavoro.
Com’è messa l’Italia, a suo avviso, sotto l’aspetto politico?
E’ messa molto male. E’ sotto gli occhi di tutti, inutile dilungarsi sull’argomento. Speriamo, con questa manifestazione e con altre che avverranno, che l’Italia possa cominciare a trovare una sua “cura”.
Scrittori e metalmeccanici, uno strano connubio…
Io in quanto scrittore non mi stupisco affatto di questo connubio. In Italia abbiamo avuto tanti operai diventati scrittori e altrettanti scrittori si sono occupati di storie operaie. A cominciare, per esempio, da un libro del 1934 di Carlo Bernari che si chiamava “Tre Operai”, scritto in pieno, trionfante, fascismo, che venne citato durante la Convenzione Internazionale Antifascista a Parigi.
In che modo ha cominciato a scrivere del commissario?
Per caso. Feci una scommessa con me stesso: “Ma tu sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Z come Dio comanda? Capitolo primo - Era una notte buia e tempestosa…, Chiamatemi Ismaele… - trecento pagine o quelle che sono, e poi la fine?”. Allora cominciai a ragionare su che cosa potesse aiutarmi, a ricercare una gabbia. Ricordavo che Sciascia aveva scritto: “Il romanzo giallo in fondo è la migliore gabbia dentro alla quale uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale, spaziale del racconto”. Sicché mi sono provato a scrivere un romanzo giallo.
E poi?
“La forma dell’acqua”: venne pubblicato, ebbe successo. Però decisi di non continuare con Montalbano. Sennonché questo personaggio non era risolto dentro di me. Così ho scritto il secondo libro: “Un cane di terracotta”. A questo punto ci fu veramente un grosso successo. Montalbano cominciò a essere una sorta di apripista per gli altri romanzi storici, se li portò dietro ed è cominciata questa situazione a volte imbarazzante, perché Montalbano è un serial killer di eventuali altri personaggi. È invadente: mentre stai pensando a un’altra cosa, arriva e dice “tu devi scrivere solo di me”.
Cosa voterà Montalbano alle prossime elezioni?
E quali partiti ci saranno alle prossime elezioni?
Il commissario di Vigàta, nel frattempo, conclude la conversazione a modo suo: “Io sono preoccupato non per la mia carriera, ma per il mio Paese… Ma che Paese siamo diventati? Questo è un paese dove un ministro dice che con la mafia si deve convivere.” (Dall’episodio “Una voce di notte”, trasmesso in tv il 29 aprile 2013).
La frase è stata effettivamente pronunciata da un ministro della Repubblica, il berlusconiano Pietro Lunardi, nell’agosto del 2001; all’epoca era titolare del dicastero dei Trasporti. Come dare torto a Montalbano? Siamo preoccupati, e molto, anche noi tutti.
Ed ora ecco una
Favola vera*
di Andrea Camilleri
Eletto a furor di popolo presidente di tutto (della Repubblica, del Senato, della Camera, del Consiglio), il Cavaliere riunì i suoi ministri e disse: “Da tempo avevo preparato la riforma della Costituzione. Prendete appunti. Il testo l’ho già inviato alla Gazzetta Ufficiale”.
Diligentemente, i ministri si munirono di carta e penna.
“Articolo 1” dettò il Presidente. “Iliata è una Repubblica fondata sui lavori del Cavaliere.”
I ministri annuirono.
“Articolo 2”, proseguì il Presidente. “Il colore rosso, simbolo dell’odiato comunismo, è dichiarato anticostituzionale e pertanto viene abolito.
“Come la mettiamo con le Ferrari?” domandò il ministro dell’Industria.
“Non c’e problema. Diventano azzurre” ribatté il Cavaliere.
“E con il Tricolore?” domandò a sua volta il ministro della Difesa.
“Rimane tricolore, ma al rosso si sostituisce l’azzurro” fece seccamente il Cavaliere.
E via di questo passo. Furono stabilite multe salatissime per chi, coinvolto in un qualsiasi incidente, mostrava pubblicamente il rosso del suo sangue, con i diserbanti si fecero sparire rose e fiori rossi, la carne rossa non venne più messa in vendita mentre il pesce azzurro fu portato alle stelle, l’unico vino in commercio rimase quello bianco.
Sommersi da tutto quell’azzurro, gli Iliatani cominciarono ben presto a soffrire di nostalgia del rosso, una nostalgia che diventava di giorno in giorno sempre più acuta. Si ebbero i primi attentati rivendicati dai Grar (Gruppi rivoluzionari adoratori rosso). I contrabbandieri facevano affari d’oro non con le sigarette o i clandestini, ma con le scatole di sugo di pomodoro, assolutamente proibite in Iliata.
Finché un mattino, dopo un violentissimo acquazzone, apparve in cielo un gigantesco arcobaleno che coprì l’intero paese. Il rosso di quell’arcobaleno non era solamente un colore, ma un altissimo grido di rivolta, deciso e terso.
Quell’arcobaleno segnò, sempre a furor di popolo, la fine del Cavaliere.
* un apologo profetico di 12 anni fa, tratto da “ Cinque favole politicamente scorrette”, pubblicate su “MicroMega”, n. 2, marzo 2001, ora in “Come la penso”, Chiarelettere 2013
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