Gianna Lai
Camilleri due giorni a Cagliari. Oggi alle 18 nell’Aula magna della Facoltà di Lettere incontrerà lettori e studenti. Domani alle 11 nell’Aula Magna del Rettorato, in via Università 40, riceverà una laurea honoris causa in Lingue e Lettere Moderne. E’ in libreria il suo ultimo romanzo, La rivoluzione della luna. Sellerio, 2013. Ecco la recensione di Gianna Lai.
Guarda in faccia gli uomini la bellezza, e li affronta direttamente sul terreno della malvagia bramosia di potere e di danaro, scoprendone antiche perversioni, mai condannate dai ministri dello Stato o della Chiesa. E dà speranza al popolo oppresso, così continuamente e paurosamentemente in bilico tra sanguinosa rivolta e rassegnata sottomissione. ‘La rivoluzione della luna’ si abbatte giusta e improvvisa sull’arrogante Sacro Regio Consiglio di Palermo. Sugli ‘mpittuti e vistuti di gala’ Consiglieri, rappresentati dallo scrittore, in tutta la loro fulgida possanza, a spartirsi le spoglie del paese davanti al corpo informe e senza vita del Viceré Don Angel de Guzman. ‘Pirsone con la coscienza di un lupo foro nominati amministratori di Giustizia e dei beni della Corona, tutori di ricchissime orfaneddre, curatori di grossi fallimenti’, secondo i fasti, pensa il lettore, della più recente politica degli affari nell’Italia contemporanea. Priva però, ahinoi, di quella bellezza che difende e scaccia i predatori, perchè è lo splendore del viso di Eleonora di Mora, e il suo regale portamento, a rimettere in campo il coraggio degli onesti, restituendo stima, rispetto e considerazione. La bellezza della marchesa, in forte contrasto con la grottesca figura del Vicerè suo marito, eppure così intenso il rapporto fra i due coniugi se, per testamento, è Eleonora stessa a succedere a Don Angel, dopo la sua drammatica morte in pieno Sacro Regio Consiglio. Suscitando scalmanate reazioni tra i nobili, ‘Sta cosa è pejo di ‘na rivoluzioni’, e profonda incredulità tra la gente. Andrea Camilleri ci guida in questo libro dentro la Palermo del 1677, debole provincia spagnola, mai visitata da Soi Maistà, attraverso la radiosa figura di una Vicerè tutt’affatto nuova e originale, una giovane marchesa che, con animo consapevole e alto senso della giustizia, incarna l’indole buona del governare. La dignità femminile che si accompagna alla ricerca della libertà, al sentimento solidale del riscatto, all’affrancamento dal sopruso. E non vi può essere demagogica ricerca del consenso nelle sue prese di posizione, o altre mire o disegni nascosti nelle sue decisioni, convinta che solo con la giustizia si combatte la corruzione. Sembra semmai stiano cambiando le coscienze, per riprendere possesso di una realtà sempre negata, che la bellezza, nella sua generosità, vuole sollecitare e rendere operative per cambiare anche il mondo. E’ questo il contenuto dello scontro, del duro contrasto che fa crescere donne e uomini e produce il cambiamento. In Eleonora e nei suoi collaboratori, nella vita degli orfani, delle bambine e delle donne, tutte risarcite dalla nuova politica. Che modifica il quadro dato e apre uno spiraglio anche per il lettore, profondamente afflitto da tanta infamia e scelleratezza. ‘Un Viciré fimmina non è cosa di rispittu/ li fìmmini sunno bone sulo a lettu’, dice il cartello, sui muri del centro cittadino. E un altro, a fianco, ‘Sti Consiglieri, accussì fitusi e scuglionati,/bono è si sunno da ‘na fìmmina cumannati’. Ironia e dramma, questo è il senso dello scontro, tra i lupi della politica, così stupidi e ridicoli nell’ ossequio, e una fanciulla alle prime armi e sempre vissuta in convento. Che può sbaragliare la malavita, sapendone anticipare atti e movimenti. Secondo quel malavitoso schema universale della reiterazione di modi insinuanti e falsa gentilezza, come maschera delle più grandi nefandezze. E che può vincere il crimine, schivando prevedibili e crudelissimi urti e percosse, col sostegno dei suoi primi veri amici, il protomedico Serafino Gustaloca, la principessa di Trabia, don Valerio Montano, e Sidora Bonifacio. E il Regio Visitatore Generale, e i sei Consiglieri nominati dopo la cacciata o l’arresto dei precedenti. La bellezza, mai distinta dalla prudenza, ha consentito a Eleonora di conoscere già per conto suo la città, ma sono loro che possono aiutarla a capire parole, a disvelare suoni di una lingua e di una terra sconosciuta, se per Pia Opera delle orfane si deve invece intendere un postribolo- prigione aperto ai pedofili, e così per Pia Opera delle vergini pericolanti, e delle vergini pericolate. Davvero in pericolo nelle mani di frati e preti, che le ragazze incinta le uccidono e ne fanno sparire i corpi. Con i suoi fedeli Eleonora conduce le indagini, e prepara la rete per impigliare ladri e assassini. E vescovi pedofili e preti traditori. E viene a capo delle cose la marchesa Vicerè, con pochi discorsi e qualche riunione, una ‘ liggi supra alle maistranze’, alcuni ordini e ingiunzioni scritte, e un saldo controllo dell’esercito. Per neutralizzare la rivolta organizzata dal vescovo di Palermo, sfruttando passioni e pregiudizi di masse inconsapevoli. Per neutralizzare il ricorso alla massima autorità del Papa. Perchè la vera giustizia, la vera politica, si esprimono con provvedimenti di equità, emessi a tempo debito. E molta intelligenza e umanità. E la bellezza, ancora la bellezza equilibratrice. Che resta forte e intatta anche trattando i reati più infami, e non può essere scalfita neanche dai comportamenti più ripugnanti. Nè, probabilmente, dall’impedimento a essere, siccome ‘ fìmmina’, Legato nato del Papa. C’è nello sguardo ironico dell’autore una diretta presa di posizione critica sui tempi e sui costumi, e sembra emergere per tutto il romanzo un coinvolgimento emotivo, una partecipazione sentimentale agli eventi, un giudizio contro il freddo calcolo del potere, che trasforma tutto in sfida, ponendo la vendetta al centro dei rapporti di governo. E se Eleonora, ’sto diavulu addivintato fimmina’, va punita e cacciata via per la sua protervia aizzandole contro la città, l’esilarante scena del fantasma e il clima surreale in cui si svolge l’azione mette tutti alla berlina. E sembra segnare il giusto distacco, la giusta distanza fra gli apparati da un lato, e Eleonora e lo scrittore e i lettori dall’altro. Come nel racconto corale dell’assalto al Palazzo, e in alcuni comici passaggi della terribile chiamata alle donne, nel Capitolo intitolato ‘Processioni, scontri, morti parlanti, fantasmi e altro’, a narrare le Res Gestae dei prodi eroi siciliani. Più del libro di storia può il romanzo. E la lingua stessa si presta al gioco dell’ironia, nel descrivere uomini e cose, con quello stile laconico, essenziale, lapidario, già nell’imbarazzante disagio che si prova di fronte alla bellezza, così grande da non potersi definire, ‘il meglio pittori che c’era supra alla facci della terra non avrebbe mai saputo pittarla com’era’. Ancor più musicale la lingua nello spagnolo di Eleonora, semplice e immediata per arrivare subito al nocciolo, e accompagnata sempre da lunghe pause significative, da esemplari silenzi, nel marasma dell’azione che incalza e che impone scelte importanti. La leggerezza espressiva delle tre lingue, l’italiano, lo spagnolo, il siciliano, anche quando cupe si fanno le atmosfere nella descrizione delle donne imprigionate e scomparse. O negli interrogatori incalzanti di Eleonora agli imputati, lei sempre ‘carma e armoniusa’, anche se ‘tanticchia pallita’ per l’orrore contenuto nelle confessioni . Poetica la lingua negli affettuosi saluti fra Eleonora e Serafino, che preludono alla dichiarazione d’amore in poesia ‘…..Vui siti, donna , specchiu di biddizza,/ miraculu di Diu, d’arti e natura’. A definire la schiettezza di una lingua regionale divenuta letteraria nelle opere di Camilleri, ma in una tradizione antichissima di Scuola poetica dei primi secoli del volgare. Che esce da quei confini, rivolgendosi a una comunità di lettori sempre più ampia e attenta a scoprire, nel racconto e nel romanzo, i luoghi dell’Italia e della propria crescita culturale. Ed è attraverso questa lingua dialettale, così ricca e varia, che l’autore sintetizza per noi il sentimento della bellezza, celebrato nella voce di Peppi Gangitano, ‘Giru di luna fu lu regnu tò,/ma fici di la notti jornu chiaru, la tò liggi abbastò e assupirchiò/pi fari lu duluri menu amaru.’
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