Metropolis, un’indagine alla scoperta di Cagliari

7 Maggio 2013
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Gianna Lai
 E’ in libreria da qualche settimana l’ultimo romanzo di Flavio Soriga, Metropolis, Bompiani editore, euro 17. Ecco una recensione di Gianna Lai. 

E’ duro affrontare tutti i giorni il caos e sapere che è così difficile venirne a capo. Fare i conti con i morti, e il dolore dei parenti e degli amici, sapendo che tra  loro può annidarsi il colpevole. E ti occupa l’anima un malumore  profondo, un’ansia incontrollabile per la paura di non arrivare in fretta a sciogliere quel groviglio, a prima vista, del tutto incomprensibile. ‘Immagino che lei faccia un lavoro tremendo, passare i giorni a sospettare le persone di uccisioni, stupri, furti’, perchè il mestiere richiede, esige, una totale concentrazione, una dedizione al limite del coinvolgimento emotivo. Specie se è quella di Giulia Hernandez la cerchia delle persone che viene  a piangere sulla tua spalla e a chiedere continuamente conforto. Certo, può voler dire che il mestiere ha lasciato quasi intatta la forte umanità dell’investigatore Crissanti, sempre un pò ruvido nei rapporti con gli altri e poco disposto alle confidenze, quasi intatti il suo interesse per la persona, e la compassione per i deboli e per chi soffre. La sua figura sembra proprio segnare l’emergere, nel  romanzo realista che connota questa scrittura, di un’attenzione nuova al profilo psicologico dei personaggi, alla relazione fra il dramma che il delitto mette in movimento e l’esistenza drammatica di ciascuno di loro. Come se non si avesse scampo, vivendo, dall’essere trascinati nel dilemma, nella svolta che impone scelte impossibili. Tutti i personaggi si presentano insieme, nella prima e nella seconda parte del racconto,  apparentemente così lontani fra loro, mentre si dipana solo a metà del romanzo  il gioco degli incroci, o del caso, che li mette insieme. Fino a quando non entra nel vivo l’indagine che muove l’azione, sull’uccisione  di Giulia Hernandez in piena notte, in una cabina della spiaggia cittadina.   Spesso  hanno bisogno di un intero paragrafo per essere descritti i vari personaggi, di interrompere la linea del racconto, magari tornando indietro nel tempo per essere meglio  inquadrati, in  un passato definito da persone sconosciute e, solo apparentemente, fuori contesto. Perchè poi ritroveremo tutto, tutto si rivelerà necessario alla ricomposizione della storia, nella sua semplicità e essenzialità. C’è, in Metropolis di Flavio Soriga, un profilo affatto nuovo della figura del protagonista, che si staglia al centro, ma senza mai voler prevalere sull’azione diretta e incalzante, sul premere  degli eventi, da cui anzi trae alimento e ricchezza, come fosse una loro naturale  espressione. Inconcepibile altrimenti Crissanti, tolto da quella relazione, da quel luogo, dalla Metropolis del titolo, che sta  sempre sotto i nostri occhi. Come se neppure quell’indagine si potesse concepire fuori dalla città, in un’estate ormai finita che, già sotto i colpi del maestrale, resiste ancora all’autunno incipiente.  Solo che, senza star lì tanto a narrare e a descrivere, e forse proprio per non farne un mito, Soriga ci fa scoprire i luoghi attraverso gli occhi e il passo dei protagonisti, attraverso lo sguardo qualunque, ordinario, della gente. Nello stato d’animo del drogato in fuga che li percorre  disperato, nel  legame amoroso di coppie inedite, che sembrano sempre scomporsi e ricomporsi, nell’ansia che crea quel quartiere metropolitano, che si chiama S. Elia, e nella richiesta accorata di chi l’abita, quel quartiere, a non essere coinvolto in indagini della polizia. Un nesso per comprendere il mondo e gli uomini, nella continua ricerca di riscatto a una vita priva di soddisfazioni, che la città di sicuro può contenere, se sappiamo come cercarlo. Persino in questo sentirsi inadeguato  del protagonista, di fronte al suo lavoro o all’amore di Anna Sofia,  mentre attraversa la città in Vespa  quando il cielo azzurro lo rende felice e sembra indurlo, tuttavia, a una sorta di bilancio esistenziale. Come se le chiacchierate storiche col suo amico universitario Bacchiddu, l’incontro con i grandi della cultura  sarda, attraverso tutti quei libri a disposizione degli ospiti, si potessero organizzare solo in quella casa di Castello. Per  riflettere su una ’storia che non è mai davvero utile conoscere’, sulle storie inventate che non hanno nulla da insegnare a nessuno, o sugli scrittori che tolgono la voglia di leggere, pretendendo di spiegare ai lettori il senso della vita. O sull’inutile romanzo di Giulia, pieno di scene di sesso occasionale che, chissà, potrebbe anche avere a che fare con la sua morte. E se  la città è il luogo per conoscere i caldi suoni del tango di Vargas, per incontrare Benito Urgu o  Valdemaro Cristobal, che lavora con Fresu e con i Tenores di Orosei, è solo in questo luogo che le feste assumono quello specifico carattere provinciale, fra musicisti e sceneggiatori frustrati, e tutta quella gente un pò spostata, che ti chiede chi sei e che cosa fai.  Deserte e disumane le zone residenziali, determinate da un ordine ancora rigidamente classista, degradate quelle dell’hinterland, fra Centri commerciali e  quartieri dormitorio. Per questo tutte le vie, le piazze e i passaggi, che portano ai luoghi significativi, assumono valenza letteraria,  così dipendenti dalle azioni e dagli umori dei protagonisti, a partire dalla squallida esistenza dell’emarginato nella periferia urbana, e ‘nei paesi inghiottiti dalla Metropoli’. Ma per denunciare l’emergere di un  vuoto interiore che, a mò di  personaggio, finisce per attraversare uomini e donne di tutti i ceti e provenienze, in tutto i luoghi. Solo a mala pena riscattato da quel ‘darsi una mano e restare uniti’, perchè sono ‘così  tutte le vite’. L’immaturità di Spartaco, perso tra rapine e carcere, la ricerca   di redenzione in Nicola, di libertà in  Flavio, e la miseria della famiglia borghese, governata come una società per azioni, nei suoi legami col potere politico-finanziario. Il sentimento arido della città è una sofferenza che non risparmia neppure chi, via dalla pazza folla, cerca rifugio nella spiaggia o nel bar del centro storico,  conforto nelle coste frequentate dai turisti. Tregua, pausa, respiro, nel movimentato andirivieni esistenziale, in questo sogno di evasione dalla gabbia delle indagini, che li coglie tutti quanti i personaggi principali, e gli altri protagonisti dell’indagine di Crissanti. E, come in una rappresentazione cinematografica, le comparse e le figure minori. E tutti quei tonti,  preda o no dei programmi televisivi, o di una nuova insulsa ricchezza,  e quelli ‘drogati di connettività’50 o resi scemi dalla cocaina23. Un vuoto interiore messo in luce dalla scrittura,  quel lungo parlare e raccontare di sè, di Angioni, per esempio, che ‘ti uccide di discorsi’, o dello stesso Crissanti, che dice di parlare tanto, quando è così nervoso. Quei  dialoghi  che non hanno forma di dialogo, se è l’autore o un personaggio a riferire, attraverso i suoi occhi, le cose dette. Una verbosità che toglie respiro al pensiero stesso, come se si stesse recitando. ‘Non le sembra tutto una recita?’ chiede a Crissanti l’anziana signora Hernandez, nel suo lungo monologo dedicato a Giulia, quasi a voler dare lei, gravemente malata di nervi, senso e significato alla superficialità dei rapporti umani.  E la scrittura si fa incalzante per registrare l’incalzare degli eventi. Abolisce la punteggiatura, quando i pensieri ti assalgono,  mentre stai  per prendere una grave decisione, e crescono confusamente,  mantenedo con difficoltà il filo che li lega al drammatico presente. Che ti spinge invece ad agire in fretta, per aprofittare della gabbia aperta verso la libertà. Come se la storia si stesse frantumando in quei paragrafi di poche righe, e la confusione avesse la meglio sull’ordine del racconto. Tanto vale allora trascinare con sè anche la scrittura, verrebbe da dire, proprio mentre scopriamo che, invece, si sta definendo un discorso, un personaggio, un pensiero libero in grado, da soli, di costruire nuove storie. Senza che mai perda in chiarezza e in  equilibrio la lingua, in intensità espressiva, specialmente quando la corsa dei pensieri prelude a cambiamenti, a una svolta della storia, decisiva per tutti. Per il lettore stesso, che  più volte azzarda ipotesi risolutive, mentre,  fino all’ultimo, il comportamento degli uomini può prender direzioni del tutto imprevedibili.       

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