Nel Paese cresce la povertà e il governo già litiga

3 Maggio 2013
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Andrea Pubusa 

 ”Da parte della famiglia Carrano: tutto questo a causa dello Stato. Grazie”: lo hanno scritto sui manifesti mortuari i familiari dell’operaio Nicola Carrano, di 62 anni, che si e’ impiccato ieri ad Albanella (Salerno).
I manifesti sono stati affissi in paese dai familiari dell’uomo, suicidatosi a causa della mancanza di lavoro. Nicola Carrano era stato licenziato dalla ditta di calcestruzzi per la quale lavorava che era stata costretta a ridurre il personale a causa della crisi ed era poi fallita.
L’uomo, specializzato nella guida di betoniere, aveva cercato un nuovo lavoro, ma senza risultati. Da qualche tempo faceva piccoli lavori nel settore edile in vari cantieri, ma sempre in maniera saltuaria. Di recente era stato sottoposto a un intervento chirurgico e si era progressivamente chiuso in se stesso. Carrano era spostato e aveva tre figli. I funerali saranno celebrati oggii a Matinella di Albanella.
Ecco da dove deve ripartire il Parlamento ed il governo. Bisogna - come ha detto ieri a Servizio pubblico Cofferati - porre mano immediatamente alla questione del lavoro, mediante  un intervento pubblico che stimoli le assunzioni e favorisca anche la ripresa degli investimenti dei privati. Di fronte alla povertà dilagante il reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito è la misura più naturale, perché, stimolando i consumi, alimenta il mercato interno. Invece, il governo, non ha fatto in tempo ad incassare la fiducia, e già vive una crisi strisciante. Il PDL è già in campagna elettorale sull’IMU, che è ragionevole eliminare per chi ha solo una casa e un reddito medio-basso, ma non per tutti. Sullo sfondo ci sono poi le sentenze per Berlusconi. Come ha detto ieri Sallusti da Santoro, la condanna del Cavaliere comporta l’automatica caduta del governo, salva la concessione della grazia da parte di Napolitano, come è accaduto per la condanna dello stesso Sallusti per diffamazione a mezzo stampa. L’impressione è che Berlusconi, incassata la rielezione di Napolitano, sia già convinto che questo esecutivo non sia in grado di affrontare la grave crisi del Paese e, dunque, voglia tentare l’azzardo delle elezioni, mettendosi, anche sul piano propagandistico, in una posizione di forza. Una situazione, a parti invertite, simile a quella del novembre 2011, che però il Cavaliere vuole risolvere a suo favore anziché fare il donatore di sangue a favore del PD.
Se il PDL è già in campagna elettorale, il PD è apparentemente unito, ma ognuno rema per suo conto. Sono mancati i voti contrari in parlamento, ma è generale l’idea in questo partito che nessuno sia legato ad un governo che la stragrande maggioranza degli elettori del centrosinistra non vuole. Prende piede l’idea nel PD che è meglio andare alle elezioni e magari perderle piuttosto che mantenere in piedi un esecutivo sotto schiaffo del Cavaliere.
Mentre avviene tutto questo, si è aperta la caccia al M5S, a cui si imputa una propensione alla violenza, che tutti sanno essere, per fortuna, manifestamente falsa. Niente è più pacifico di questo MoVimento che ha al centro della sua proposta nientemeno che il rilancio del Parlamento, largameamente affossato dalle nomine dall’alto e dai governi che su tutto mettono la fiducia. Così anche il buon Prof. Becchi, sostenitore dichiarato del M5S, finisce in croce per aver detto ciò che in molti pensiamo, e cioé che lo sfascio e la disperazione può indurre a gesti violenti, alla Preiti, che tutti ovviamente condanniamo. Anche questo è segno di debolezza. Evidentmente si ha paura che il M5S possa incrementare i propri consensi, pescando nella critica ormai dilagante verso la politica, che l’innaturale connubio PD/PDL acccresce anziché temperare.
Molti, di fronte agli spari di Preiti, hanno fatto un indebito richiamo al terrorismo, che è stato ben altra cosa. Vengono, tuttavia, i brividi a pensare quali effetti avrebbe oggi un fenomeno di quella natura e dimensione. Allora fu la ferma reazione dei sindacati ad isolare le BR, insieme alla politica della fermezza del PCI e della DC. Ma il partito comunista era compatto ed aveva come segretario Enrico Berlinguer. Oggi chi sarebbe a guidare la lotta ad un fenomeno diffuso ed organizzato di violenza armata? E’ dunque da irresponsabili soffiare sul fuoco. Meglio è spegnerlo, impegnadosi nell’unico obiettivo che può dare fiducia al Paese: un’iniziativa politica che crei in breve tempo migliaia di posti di lavoro e mitighi la povertà dilagante. Ma per fare questo ci vuole un governo compatto e autorevole.  

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