I° Maggio: rilanciare il lavoro, cancellare il precariato

1 Maggio 2013
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Gianna Lai intervista Enzo Costa

Oggi è il Primo Maggio, la festa del lavoro  e dei lavoratori. Tuttavia nella nostra Repubblica niente è oggi più mortificato del lavoro, su cui pure essa è fondata. In ragione di tanti piccoli atti eversivi, che, messi insieme, hanno creato una costituzione materiale diversa e, per certi versi, opposta a quella formale. A causa di tanti tradimenti, come quello di questi giorni, che hanno dato al Paese un governo fondato sull’innaturale connubio fra PDL e PD, in frode agli elettori di questo partito. Un banchiere all”economia per risolvere i problemi del sistema bancario e dei banchieri e non quelli dei lavoratori. Un becchino anziché un medico per curare il malato grave. Un esecutivo che fra le sue missioni fondamentali ha quella di salvare Berlusconi dalle sentenze dei suoi giudici naturali.
In questo clima, vediamo di capire cosa accade nel mondo  del lavoro in Sardegna con questa intervista  ad
Enzo Costa, fino al mese di scorso Segretario regionale CGIL, da Aprile a Roma, all’Auser, un’associazione nazionale di volontariato (collegata alla CGIL) impegnata a promuovere l’ invecchiamento attivo degli anziani e la crescita del loro ruolo nella società.


 

  D. La politica dell’austerità ha creato disoccupazione e meno reddito. Da dove ripartire per impedire lo sfascio del paese?
 Si riparte unitariamente, a Roma, Cgil, CIisl e Uil, per il lavoro, e i diritti degli esodati, proprio di fronte a una tenuta sociale che rischia di venir meno. La precarietà è il nodo primo da affrontare, perchè cancella il futuro dei giovani, il soggetto più fragile. E l’impresa non risponde se mancano le infrastrutture e la ricerca. Non ci sono scorciatoie, lavoro e stabilità per colmare il gap della produttività, in un mercato del lavoro debole, con un’ impresa debole a causa di una crisi che è strutturale.

D. Lo Stato si ritrae, sempre meno Stato, perchè deve essere il mercato a regolare tutto. E voi stessi avete recentemente dichiarato che l’intervento sociale dello Stato si è ridotto in questi anni di ben oltre il 50%.
 Non c’è depressione che non si aggredisca con l’intervento dello Stato sul lavoro. Lavoro, pensioni, Stato sociale. Pensiamo al blocco delle pensioni, ai nostri pensionati, alle vedove che vivono con 600 euro al  mese. Deve essere il pubblico il soggetto regolatore, più Stato e meno banche, che ricostituisce l’equilibrio contro la società delle diseguaglianze, la società ricca nelle mani di pochi. E ricostruisce la classe media, secondo una redistribuzione della ricchezza che faccia venir meno la povertà in termini assoluti. La ricchezza è oggi allocata nelle intermediazioni finanziarie e non sul lavoro. E così aumentano le rendite finanziarie, mentre il 52% del prelievo fiscale continua a concentrarsi su casa, lavoro dipendente, pensioni. L’attenzione al bene comune deve imporre la soluzione del problema dell’evasione, attuare un vero proprio piano contro l’evasione. Lavoro, pensioni, stato sociale, per garantire l’equilibrio del sistema.

D. Il Sindacato denuncia la desertificazione industriale del Meridione, la mancanza totale di una politica industriale, di una vera programmazione per il paese. La CGIL stessa propone un Piano del lavoro, ne ha parlato recentemente anche la Camusso qui a Cagliari. 
Noi in questi anni siamo stati del tutto privi di una programmazione economica e industriale. Mentre abbiamo assisitito al boom del Nordest, e poi alla delocalizzazione delle fabbriche  verso l’Est europeo, che ha messo in crisi interi territori con licenziamenti di massa.  Da noi in  Sardegna scompare nel giro di pochi anni il tessuto industriale, e la crisi della grande industria si porta appresso le piccole imprese. Manca il mercato interno, impossibile raggiungere quello della penisola, l’unico export è quello della Saras. Qui, come nel Meridione, se frana qualcosa, frana tutto, perchè la crisi di oggi ha semplicemente messo a nudo problemi strutturali già esistenti. E poi lo Stato stesso è tra i primi responsabili della crisi, quando non paga le commesse alle imprese, costrette a chiudere non per debiti, ma perchè non hanno potuto riscuotere i crediti, come tanti drammatici suicidi denunciano. Il governo deve avere una programmazione economica sul territorio che consenta di ripatire dal lavoro.

D. L’Italia e  l’Europa. L’introduzione dell’euro in Italia ha voluto dire che il potere d’acquisto della nostra moneta si è ridotto della metà. Nelle altre nazioni come si fa fronte alla crisi?  
L’introduzione dell’euro ha creato squilibri gravissimi, e si diceva invece che avrebbe dovuto regolarizzare i rapporti economici in vista della globalizzazione, per non essere schiacciati dal mercato  Usa e dei Paesi asiatici. E’ l’euro dei poteri forti, a partire dalla crisi dell’economia greca, dove il conto deve essere pagato dai responsabili, non dai cittadini greci. Così in  Spagna,  Portogallo e in Italia. Altrimenti si fa il gioco dei paesi forti, e l’Europa continua a essere gestita in termini speculativi e non sociali. Da noi, in Italia,  la grande impresa continua a fondarsi sul principio che le tasse  non si pagano, mentre nelle altre nazioni europee, che hanno da tempo affrontato il problema dell’evasione, riscontriamo un alto senso dello Stato: in Francia e in Germania, ad esempio, dove i cittadini pagano le tasse e si investe per il paese, proprio attraverso il riequilibrio della programmazione. Sappiamo bene che  le socialdemocrazie garantiscono l’ombrello sociale contro la povertà e i nuovi poveri, che invece il nostro paese continua a far finta di non vedere.

D. Il compito del Sindacato.
 Il Sindacato lavora per contenere e governare il processo, poichè  sappiamo che dietro la crisi ci può sempre essere una risposta autoritaria. Contro la disperazione dei cittadini dobbiamo  dar voce al bisogno e ai diritti del lavoro, e dare sostegno al reddito. Così a proposito della cassa integrazione in deroga, che è finanziata dall’Europa, e per la quale non ci sarebbero più risorse. Neppure più ammortizzatori sociali, dopo la perdita del posto di lavoro. Allora gli effetti sarebbero davvero devastanti, perchè se viene meno il sostegno al reddito dopo la fine del lavoro, si aggrava la crisi anche delle aziende che, non potendo reinserire i lavoratori in cassa integrazione,  sono costrette ad attuare il licenziamento, con tutti i trattamenti costosissimi, per loro, di fine rapporto. Allora si tocca il sistema, la recessione diventa depressione strutturale e il nostro paese rischia veramente la catastrofe.  Noi della Cgil continuiamo a lavorare perchè questo non avvenga, anche se il Sindacato viene duramente attaccato dal governo e dagli imprenditori, per la sua linea di difesa dei lavoratori. Così come sono sotto schiaffo i Contratti nazionali,  la più grande conquista nel mondo del lavoro dal dopoguerra a oggi, insieme allo Statuto dei lavoratori e alla fine delle gabbie salariali. Il fatto è che si vuole avere mano libera per accentuare i dualismi e aggiungere diseguaglianza a diseguaglianza. Mentre noi sappiamo bene che,  dove c’è un’equa distribuzione della ricchezza,  ci sono adeguate retribuzioni e riconoscimento dei diritti, altrimenti vince l’ingiustizia retributiva e viene  meno, si cancella, ogni tutela. Ed è ferma la Cgil anche contro Cisl e Uil, in sintonia col Governo su Contratti aziendali in  deroga al Contratto nazionale, e continua la sua battaglia in difesa del lavoro, pur essendo venuta meno in questi anni la politica, la sponda di riferimento, che possa rafforzarci. Eppure  oggi, anche la politica non può non dire che c’è troppa precarietà, se pensiamo anche alle forme di sottosalario dei tirocini formativi, che fanno scannare i giovani fra loro per poterli ottenere. Oggi l’80% dei nuovi posti di lavoro è precario, quasi sempre destinato ai giovani e alle donne, come se non ci fosse spazio per loro in una società così egoista. Più ricca di quella in cui siamo vissuti noi, ma decisamente più diseguale. Se c’è troppo precariato, bisogna cancellarlo, non riformarlo, e combattere per un governo che cambi radicalmente questa politica, che è stata di Berlusconi  e di Monti. Un vero e proprio furto ai cittadini il governo Monti, che ha legiferato contro i cittadini. E questo ci fa capire che se è urgente una riforma della classe politica attorno ai partiti, deve avvenire partendo dal sociale, attorno al sociale, lo stesso  web essendo solo democrazia virtuale.

D…. Possiamo inquadrare l’argomento con uno sguardo finale sulla Sardegna. Quali emergenze, quale politica? 
Dirompente ormai la crisi in Sardegegna, dove assisteremo  ad un’emigrazione di massa non appena ci sarà la ripresa nel resto d’Europa. Quella che continuerà a far spostare i popoli se si può arrivare a che  il 5% degli uomini detenga il 50% delle risorse mondiali.
In provincia di Cagliari il picco dell disoccupazione si attesta a oltre il 50%. Più precario il lavoro, più precari i giovani. Nella provincia più ricca di opportunità della Sardegna, arriva al 57% la disoccupazione giovanile,  vuol dire che non c’è domani per il nostro territorio. 
Questa  crisi è stata negata per  molti anni, e se non ci sarà un cambiamento, un nuovo orientamento politico all’interno del ragionamento collettivo, si cancelleranno 60 anni di sviluppo. In una società che è sempre cresciuta, si torna ai livelli del 2006.07. Come Sindacato, fin dal 2001, abbiamo sempre insistito per aprire un nuovo discorso con lo Stato,  dalla questione della mobilità alla mancanza di mercato interno. Perchè, per  produrre, bisogna vendere e se non si colma il gap, il sistema interno si riavvolge in sè e non può respirare.  

D. Facciamo un esempio che caratterizzi le politiche del lavoro in Sardegna.
Si può parlare del  Piano Sulcis che, inserito in condizioni di normalità, prima della chiusura delle fabbriche, avrebbe potuto significare  diversificazione. Ma dopo la fine dell’ industria, è intervento da panicelli caldi. Se ripartissero le grandi imprese nel Sulcis avrebbe senso. Diabolico porre le questioni in termini del tutto teorici, a partire dalla defiscalizzazione delle imprese. E  le imprese dove sono? Con salari depressi e consumi inesistenti, come fare impresa? Chi investirà in questo territorio? E’ diabolico, mentre si chiude tutto e il saldo è terribilmente negativo, prefigurare un intervento del tutto scollegato dalla situazione reale. Anche  in Sardegna bisogna ripartire dal lavoro. E dal sistema agroalimentare e dall’impresa artigiana, che abbisognano di una pubblica amministrazione in grado di costituire rete, per creare veri collegamenti a mercati e imprese più grandi. Ma, nè lo Stato nè la Regione lo capiscono. E la Regione garantisca il reddito attraverso  le risorse sugli ammortizzatori sociali in deroga, contro i continui messaggi mediatici  che si rivolgono ai sardi elettori, e non ai sardi cittadini. Si trovino le risorse, attraverso la Finanziaria, per garantire la cassa integrazione ai 28 mila lavoratori sardi espulsi dall’industria, per i quali è prevista la copertura solo fino al mese di giugno.

D. Le Istituzioni sono disposte ad ascoltare il Sindacato? 
Direi proprio di no. In questa situazione il Sindacato disturba. C’è l’illusione di governare escludendo le parti sociali, perchè tanto la crisi passerà. In una condizione di paurosa crisi  anche politica, se si va verso il bilancio provvisorio, quando invece  la manovra finanziaria deve garantire ricchezza da spendere subito. Perchè è il pubblico il soggetto che può smuovere. Più Stato che salvi l’impresa, e che saldi i suoi debiti alle imprese perchè, due lavori pagati in ritardo, fanno chiudere l’impresa artiginale  anche se la banca desse il credito. Si fa finta di parlare di monete, zona franca, federalismo fiscale. Di cinque anni in cinque anni, la politica vive senza alcuna forma di programmazione, e perciò è urgente recuperare in fretta una classe politica vera, con requisiti di governo,  per far emergere le contraddizioni della cattiva politica di questi anni.
  

D. E a Cagliari?
Sardegna e Cagliari, la politica è fatta di più persone. A Cagliari la personalizzazione politica passa attraverso una comunicazione che non usa i canali tradizionali e si concentra su un’unica persona, chiudendo ai cittadini. Ci vuole un governo che coinvolga i cittadini e le loro rappresentanze, e lo abbiamo visto nella vertenza del Lirico, quando il Sindaco ha detto ’sui fondi dello spettacolo e della cultura, io decido da solo’.  E’ un  mondo che vive di immagine propria, per questo i Sindacati unitariamente lamentano una grave mancanza di dialogo, anche sul piano della politica  socioassistenziale e della spesa pubblica. In generale si può dire che non si riesce a discutere,   si riusciva ad aver più contatti con la precedente amministrazione di Centrodestra.  La politica sfugge oggi alla responsabilità sulle cose concrete da fare, per non scadere nell’assistenzialismo, per fare un ragionamento che  costruisca  un sistema di rapporti dell’Istituzione, Comune, Regione,  con le parti sociali. Può ripartire da qui la  politica nuova, dalla ripresa del dialogo fra Istituzioni e cittadini.
 
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