Aldo Lobina
Anche chi non ha votato PD e lo ha criticato, sopratutto nell’ultimo anno e mezzo, dava per scontato che l’anima di questo partito fosse antiberlusconiana. Certamente lo è la maggior parte del suo elettorato che ha creduto e vuole l’Italia giusta, promessa in campagna elettorale da Bersani. Lo sgomento è stato grande in questi giorni in cui il gruppo dirigente del PD ha rivelato quanto vasta sia in esso la egemonia berlusconiana, la sua accondiscendenza, culturale anzitutto, agli umori del centrodestra. Ora tutto è possibile. Il gruppo dirigente PD ha aperto le porte alle più impensate ed orribili soluzioni. E’ stato un risveglio terribile. Napolitano confermato al Colle col mandato forte di formare un governo di larghe intese come momento di passaggio alla riconsegna del paese a Berlusconi. Certo, bisogna riprendere l’iniziativa a sinistra. Ma il disastro è così grande che ora prevale lo sgomento, come ben testimonia Aldo Lobina in questo articolo.
Bersani se ne va. E non può fare altrimenti. Anzi, era già andato via, a sua insaputa, quando, obbedendo a certi cattivi consigli, ha cercato quelle larghe intese con Berlusconi sul nome di Marini per la presidenza della Repubblica. Larghe intese preludio di un programma di governo il cui canovaccio è stato già dettato da due commissioni di saggi, nominati da Napolitano per facilitare quel compromesso “a-storico”, simulacro pallido di un altro, sottoscritto in ben diversa temperie sociale, politica e culturale da personaggi di ben altra levatura.
Troppe le contraddizioni di Bersani e di chi insieme a lui ha lavorato, i suoi consiglieri e collaboratori, ai quali spetta sicuramente una responsabilità non piccola per gli errori commessi, quasi a cascata.
Troppe contraddizioni, nate da lontano, dal tempo in cui il PD ha smesso di fare una sana opposizione a Berlusconi, per arrivare a farselo addirittura alleato nel famigerato governo Monti.
Strappata la foto di Vasto, eliminato Di Pietro – al tempo ancora forte di rappresentanza politica e di protesta civile – Bersani ha erroneamente pensato che bastasse allearsi a Vendola per l’accreditamento a sinistra del suo partito, che continuava a guardare con sempre maggiore convinzione verso la destra di Monti, Fini e Casini. Incredibile! Incredibile per il popolo di disoccupati, pensionati, poveri, oppressi e ceto medio, vittime sacrificali della scelta.
Tutti sanno come sono andate le cose. Berlusconi stacca la spina del governo Monti, lasciando il cerino al PD, strenuo difensore di una scelta che ancora grida vendetta.
Le elezioni anticipate, provocate da quella crisi, hanno visto poi il PD di Bersani chiedere improbabili desistenze proprio a coloro che si erano visti respingere la proposta di alleanza elettorale e di governo. Una insulsa autosufficienza, pagata cara!
La campagna elettorale si è sviluppata con un atteggiamento di fatto troppo accondiscendente – a parte le schermaglie di rito – nei confronti di Monti e della sua Agenda.
Ancora oggi meraviglia come sia potuto accadere che nonostante il programma del PD fosse fumoso una larga parte di elettori abbia voluto scommettere su di esso nella speranza di un cambiamento promesso, anziché rifugiarsi nell’avventurismo grillino, che, eccessi a parte, aveva già cominciato per esempio in Sicilia a dare testimonianza diretta di un diverso modo di interpretare la rappresentanza, e di saper passare dal dire al fare.
Invano – primarie a parte - abbiamo aspettato segnali di cambiamento veri, testimoniati da parte di una dirigenza PD ingessata. Fino ad oggi!
Superare Grillo in “generosità” riguardo per esempio ai rimborsi elettorali sarebbe stato un bel segnale. Anche accettare subito di modificare la legge elettorale, abrogando quella attuale, non sarebbe stato disdicevole per il buon nome del PD.
Insomma, se è vero che si può perdere vincendo (quante vittorie di Pirro ci tramanda la storia!), l’esperienza insegna anche il contrario. Che si può vincere perdendo la prosopopea e la presunzione di bastare comunque a se stessi, disprezzando di fatto ciò che altre intelligenze proiducono.
A proposito: convergere su Rodotà non sarebbe stato una diminutio per i democratici italiani, neanche per i democratici iscritti ed elettori del PD.
Ottimo presidente sarebbe stato Rodotà, di parte certo, ma super partes. Come era Pertini.
Penso che l’errore più grande di Bersani sia stato proprio questo: avere dimenticato di essere di parte. Non essere né carne né pesce. Voler guidare un partito sbiadito, privo di identità. E proprio per questo tentato da larghe intese. Anzi, vittima di larghe intese.
Ad oggi il PD è partito, nel senso che è diviso per “bande”. Ma non è più un partito affidabile della Repubblica.
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