Alberto Asor Rosa
Quarta votazione, la prima in cui è sufficiente la maggioranza semplice: 504 voti. Prodi, candidato di tutta la sinistra, può contare, sulla carta, su circa 500 grandi elettori. ma ne ha preso solo 395. Segnale inequivocabicabile di un forte mal di pancia nel PD. Il M5S continua compatto a sostenere Rodotà, che va ben oltre i voti del MoVimento. Pdl e Lega non hanno votato per evitare il rischio franchi tiratori.
Rimangono dunque in campo varie ipotesi. Prodi domani sfonda oppure affonda. Ed allora tutto può succedere. O che il PD s’accordi apertamente con M5S o che, nell’oscurità, torni a tramare col Caimano riproponendo Marini o tirando fuori D’Alema.
M5S, come si è detto, non solo ha retto, compatto, ma ha sfondato in positivo di una cinquantina di voti. Un segnale anche questo. Rodotà è ancora in campo. Una candidatura indubbiamente fortissina come dice in questa riflessione, apparsa ieri su Il Manifesto, un grande intellettuale della sinistra italiana, Alberto Asor Rosa.
Non c’è dubbio alcuno che il miglior Presidente della Repubblica che sia fra noi è Stefano Rodotà. Alto profilo intellettuale; personaggio rappresentativo della miglior società civile italiana, e tuttavia dotato al tempo stesso di un’ampia esperienza politica e parlamentare; contraddistinto, e non solo nel suo settore disciplinare, di una vasta fama internazionale. Aggiungo in forma di corollario (ma non tanto) che una disposizione etico-psicologica personale, fortemente radicata, lo tiene permanentemente in un atteggiamento di vigile discrezione e di assoluto rifiuto di ogni forma di esibizionismo.
Per quanto indiscutibilmente connotato in senso liberaldemocratico (cioè, dico io, di sinistra) sarebbe difficile immaginare uno più di lui disposto a svolgere un ruolo equilibrato e super partes, d’inflessibile custode (e innanzi tutto, il che non guasta di questi tempi, di straordinario conoscitore) della nostra Costituzione. Le scelte compiute negli ultimi anni con la Commissione che da lui prende il nome hanno ulteriormente ribadito e perfezionato questo profilo: la teoria, da lui formulata, desidero precisarlo, in forma tutt’altro che estremistica, dei «beni comuni», va nella direzione d’innovare l’impianto giuridico, - e, perché no, anche politico, - italiano, senza scambiare, come capita ad altri, lucciole per lanterne, anzi rimanendo come e più di prima ancorati saldamente alla Costituzione italiana.
Scrive queste cose uno che, fino all’altro ieri, ha pensato e, a dir la verità disperatamente continua a pensare, che senza un Pd il più possibile forte e coeso, e di governo, andiamo tutti allo sfascio. Così come si va allo sfascio se si torna ora, con colpevole disinvoltura, alle urne.
E allora? Allora, se il quadro è questo, non c’è che da manovrare al suo interno. L’errore commesso, e cioè quello di tentare di eluderlo, è grave ma forse è rimediabile.
Il povero Marini non c’entra per niente. Qualsiasi altro nome di quella «specie» avrebbe prodotto, e sarebbe nei prossimi giorni destinato a produrre, il medesimo disastro. Qualsiasi soluzione contrattata con l’indegno, indecente, intollerabile rappresentante attuale del centro-destra avrebbe prodotto, e produrrebbe in un qualsiasi futuro, il medesimo disastro. La dissoluzione della seconda Repubblica (ammesso che vent’anni fa ne sia nata una dalla prima, e che noi invece non siamo ancora conficcati nella lunga, estenuante, angosciosa dissoluzione di quella) non consente più espedienti di tale natura. L’unica soluzione possibile è uscire - cominciare a uscire, - da quella logica.
Per cominciare a uscirne, nelle condizioni date dell’ultimo risultato elettorale, - un centro-sinistra e un centro-destra drammaticamente contrappositivi e reciprocamente escludentisi, e un terzo del Parlamento nelle mani di una forza, il Movimento 5 Stelle, che per ora si rifiuta di pronunciarsi a favore di una qualsiasi scelta di linea (il voto di fiducia), - non si può che procedere passo dopo passo.
Le strategie complessive, che mettono insieme troppe cose, non funzionano. Anzi, quando ne siano state poste le condizioni apparentemente autosufficienti, esse si rivelano alla prova dei fatti ancor più catastrofiche delle mancanze cui vorrebbero sopperire.
Oggi bisogna eleggere (bene) il Presidente della Repubblica, non designare il Presidente del Consiglio. Un buon esempio era stato dato con l’elezione dei Presidenti delle due Camere, Boldrini e Grasso. Si è tornati indietro da quel traguardo: ed è stato il caos.
Bisogna mettere qui un punto fermo e riprendere dall’inizio. Bisogna evitare di pensare al ritorno al voto anche semplicemente come estrema risorsa mentale. Bisogna invece tornare a studiare il voto presidenziale con le idee chiare e con la determinazione coraggiosa d’innovare radicalmente le condizioni della scelta.
L’antipolitica, per passato, esperienze e convinzioni, mi è estranea più di qualsiasi altro atteggiamento. Ma la condizione storica che stiamo vivendo esige che si esca dalla cerchia dei «soliti noti», per quanto, in non pochi casi, dotati di attributi etici e politici assolutamente fuori discussione.
Per giunta, come argomentavo all’inizio, il candidato inequivocabilmente c’è. La partita ora ritorna tutta nelle mani del Pd. Se il Pd ritrovasse la sua unità intorno a quel nome, - che non mette in gioco né contrappone fra loro correnti, mira più in alto della solita diatriba quotidiana e si riallaccia a una corrente forte e viva dell’opinione pubblica italiana, - non solo nulla sarebbe perduto, ma si ripartirebbe col piede giusto: a malo bonum, come in quello sventurato paese che è l’Italia, il più delle volte, storicamente, ci è accaduto di dover auspicare e praticare.
E il governo? Qui ci vorrebbe più fantasia di quanto la politica sia disposta di solito a praticare. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe in Parlamento, a condizioni date, se il problema della Presidenza della Repubblica fosse impostato e risolto come io dico. Avremmo a disposizione una immensa carica d’entusiasmo da riversare in tutte le direzioni, a cominciare dal paese. E’ così che si gioca la partita, non imboccando la strada che, se riporta al voto una volta fallita una trattativa in ogni senso sbagliata, comporta il disastro finale del Pasok e il nuovo, ormai consolidato trionfo delle destre. L’Europa deve accettare questa volta che si faccia a modo nostro. E il modo nostro, questa volta, consiste nel non aggirare per l’ennesima volta l’ostacolo, sperando che dal compromesso nasca un compromesso che produca un compromesso… ma affrontandolo in pieno e rimuovendolo ab origine. Ci vuole un Presidente della Repubblica nuovo. E’ ciò di cui abbiamo bisogno.
1 commento
1 francesco Cocco
20 Aprile 2013 - 08:43
……………..certo” ci vuole un presidente della Repubblica nuovo ” Ma c’ è qualche anima nera che, per le sue miserabili ambizioni personali, lavora perrchè così non sia. Ci sono personaggi che pur di arrivare ai loro squallidi obiettivi distruggono anche le più onorevoli organizzazioni ed istituzioni umane.
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