“L’errore” di Gianni Marilotti

16 Aprile 2013
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Gianna Lai 

Dopo il successo della “Quattordicesima commensale”, premio Calvino, è fresco di stampa in  libreria  il secondo romanzo di Gianni Marilotti, L’errore. Edizioni Il Maestrale, 2013. Ecco la recensione di Gianna Lai.                

         
‘Ieri sera, mentre tornavo a casa, ho preferito evitare le strade troppo frequentate e per rincasare ho imboccato il viale alberato che conduce alla porta della rocca.
  Camminando tra le palme e i ficus beniamino ho trovato un pò di pace, ma è stato un breve momento. Le voci hanno iniziato a rimbombarmi nella testa come martelli pneumatici. Da quanto tempo non sentivo una tale sensazione di impotenza? Forse da vent’anni. Da quando ho perduto la mia anima.’  Una  lettera cadenza la storia fin dall’inizio del racconto, visivamente lo interrompe con l’uso del  corsivo, e insieme ne amplia il respiro, sembra volerne chiarire i risvolti, divenendo essa stessa personaggio,  man mano che l’autore si rifà vivo con altri scritti. E finisce per   rendere complice il lettore dell’ambigua figura che vi viene rappresentata e che assume via via un ruolo centrale, narrando sempre più precisamente di sè, della sua sofferente psiche, dei continui  provvisori approdi nell’incessante  fuga dai luoghi della persecuzione. E complica il quadro, che sembrava per un momento assodato, come se il narratore  volesse via via depistarci, disorientarci, smentendo ciò che le stesse indagini hanno  appena tentato di definire, nel loro procedere (per dichiarata ammissione degli stessi Manno e Vischio), tra grandi difficoltà. L’Ispettore capo della Squadra omicidi e il Pubblico ministero incaricato delle indagini sulle morti della giovane Liliana e della bibliotecaria dell’Università, si muovono tra le  cupe atmosfere dei  cimiteri cittadini, le  grotte oscure della Necropoli  e la tenebrosità  della mente umana, assurta, sembrerebbe, a metafora della  crisi esistenziale di un’intera società. Che sia la droga ad averla causata o la follia, o un vivere sociale fuori dal consesso civile,  i nostri non sempre sono in grado di affrontarla. Neppure Visco, forte di una natura filosofica, decisamente  condivisa dall’autore del romanzo, per un momento  convinto che la filosofia, la conoscenza, possano aiutare a capire, a salvare la vita degli uomini, a garantire progresso. Invece è il pessimismo a prevalere, e appare chiaro fin da subito che, per trovare il filo conduttore, si debba più volte ripartire da capo, dall’inizio, tanto è ingarbugliata la matassa quando si tratta di scovare l’assassino e assicurarlo alla giustizia. Lo scrittore segue passo passo, quasi tallonandoli, i personaggi, non perde mai di vista  gli eventi,  lo stato delle indagini, è dentro le riflessioni e i pensieri degli investigatori, come se la scrittura assumesse lo stesso ritmo che Manno e Vischio danno all’inchiesta. E contano in particolare i dialoghi brevi e frequenti che descrivono lo stato delle indagini, e prospettano il quadro degli eventi come pezzi di un disegno via via sempre più preciso, intrecciandosi agli interrogatori dei testimoni e delle persone vissute accanto alla sfortunata studentessa del Liceo Pedagogico cagliaritano. Dal malvagio padre,  che la vende agli strozzini e che il dolore della morte  non può certo riscattare, all’amico Filippo Mò, mite e acculturato secondo il terapeuta, un vero spostato come i tipi che frequenta, scopriamo man mano, psicopatico che non trova pace neppure nelle cure e nei farmaci. Fino all’usuraio Zatrillo che ben rappresenta il degrado sociale di un certo ambiente delle grandi città, e a quel tale Lampus bidello stupratore, tutto un mondo di personaggi ai margini, che vivono sul filo dell’illegalità e che non sembra abbiano poi tanta paura dei poliziotti e  dei tribunali,  pensando evidentemente di   poterla fare franca.
 Consapevoli di questo, e forse per questo insicuri e inquieti  quelli che dovrebbero stare invece dalla parte della legge, come la professoressa Virdis, non sempre coerente nei  comportamenti adottati a scuola o durante le indagini,  lo psichiatra Banduro, in galera  per una poco ortodossa ricerca destinata a tutelare i suoi pazienti. La stessa Elisa che, per  la sua capacità di  riscatto da un  mondo di dolore e di morte,  attira così fortemente l’attenzione e l’interesse dell’ispettore Manno, gli  stessi investigatori,  insoddisfatti e perdenti, alle spalle storie di sofferenza quotidiana,  che finiscono per contendersi la stessa donna.   Fino a quando, a metà del libro, l’interrogatorio nella Clinica psichiatrica cittadina di Filippo Mò, sembra svelare la verità. Come è difficile da decifrare  il mondo della malattia mentale,  come  è difficile avere ‘un’intuizione capace di prevedere gli eventi futuri’: c’è tutto lo sconforto di Manno e Vischio, disorientati e impotenti di fronte al continuo cambiamento del quadro, acuito dalla serie rapida e continua  di lettere anonime che invadono la Procura e che annunciano nuove vittime. ‘Horror di scarto, i soliti sciacalli’, che  pretendono di descrivere con puntualità  il futuro di cui vanno alla ricerca i due investigatori, senza mai  poterlo afferrare.  E che l’autore si incarica di chiarire  soltanto quando può  togliere la parola a quegli  scritti minacciosi,  sconclusionati e deliranti, e dire la sua, chiudendo in maniera affatto originale il racconto, a parecchi mesi dalla fine degli eventi narrati. Il   mondo resta cupo e tetro, nella calma apparente di una città ansiosa e incerta fra il pressare delle indagini e  il pericolo di un assassino che continua probabilmente ad aggirasi indisturbato. Con le sue luci e la sua vitalità sembra tenere bordone a tutto il movimento del crimine in permanente agitazione, nè può  rassicurare  il lettore,  sospeso  fra le apparenti vittorie degli investigatori e le loro cocenti sconfitte, se l’ordine scombussolato dal crimine non sembra potersi ripristinare. Le storie d’amore, una boccata di ossigeno fra tanto orrore, l’emergere di esperienze  forti, giuste a dare vigore alla figura dei due protagonisti, che devono combattere per poter affermare  sentimenti e  emozioni personali e metterli al centro della loro esistenza. In profondo  contrasto  con la  cruda realtà  del crimine e della violenza, che mette a nudo l’animo umano e l’intera società, infischiandosene delle indagini sulla nevrosi e sull’inconscio, della dialettica hegeliana e della regola aurea di Descartes. Per lasciare tutto solo Vincenzo Vischio, alle sue passioni e ai suoi studi.
 

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