Gianfranco Sabattini
Su “Il Sole 24 Ore” dei giorni scorsi è uscita una breve intervista a Mauro Gallegati, l’economista che si vuole ispiratore delle idee economiche di Beppe Grillo. La breve intervista non consente di dedurre da essa, in termini circostanziati, la proposta complessiva del “grillismo”, anche perché, a detta dello stesso Gallegati, il movimento che si rifà a Grillo è un arcipelago di posizioni non riassumibili in “una battuta”: il suo auspicio, tuttavia, è che il movimento “veda nella crisi attuale una crisi strutturale. Riguardo poi al fatto che Grillo citi spesso Joseph Stiglitz, Gallegati esclude una diretta partecipazione del Nobel per l’economia alla stesura del programma elettorale del “Movimento 5 stelle”; tutt’al più, conclude Gallegati, “si può parlare di un’ispirazione indiretta attraverso il mio contributo”. Ma che cosa il pensiero di Stiglitz potrebbe, sia pure indirettamente, ispirare, nella fase attuale, al di fuori dell’indeterminazione dell’”arcipelago di posizioni” che ha fatto le “fortune elettorali” del movimento, per assicurare al Paese un governo duraturo e responsabile? La risposta all’interrogativo si può tentare di trarla dalla proposta che Stiglitz formula nell’ultimo suo libro, “Il prezzo della disuguaglianza”, uscito di recente in traduzione italiana.
Nel libro, Stiglitz osserva che nel mondo attuale rimbalzano tre motivi fondamentali di protesta: i mercati non funzionano come dovrebbero, il sistema politico non corregge i “fallimenti di mercato”, il sistema politico e quello economico sono iniqui. Si tratta di disfunzioni strettamente legate tra loro, nel senso che le disuguaglianze sono causa, ma anche conseguenza, del fallimento del sistema politico e dell’instabilità del sistema economico; il fallimento del primo e l’instabilità del secondo concorrono ad aumentare le disuguaglianze, chiudendo un circolo vizioso dalle cui spire è possibile uscire solo attraverso politiche concertate adeguate.
Gli “arrabbiati” di tutto il mondo perciò, inclusi quindi i “grillini”, hanno ragione nel sostenere che il funzionamento del sistema politico e quello del mercato incorporano “qualcosa di sbagliato”; i governi di tutto il mondo non affrontano, come dovrebbero, i problemi economici più impellenti, quali le crisi finanziarie ricorrenti e la persistente disoccupazione, mentre l’equità è sacrificata nell’interesse di pochi, per cui il disagio esistenziale e il senso dell’ingiustizia danno agli “arrabbiati” la sensazione di essere stati abbandonati. E’ questo il motivo del diffondersi a livello mondiale della protesta; non si tratta di proteste rivoluzionarie o anarchiche, volte a rovesciare la struttura del sistema esistente. I loro protagonisti sono profondamente convinti, secondo Stiglitz, che il sistema politico avrebbe potuto funzionare correttamente, solo se i governi si fossero ricordati di dare piena soddisfazione alle istanze esistenziali minime delle popolazioni; gli “arrabbiati” di tutto il mondo mirano, perciò, a spingere il sistema politico solo verso un cambiamento, nel solco della continuità istituzionale.
E’ evidente, afferma Stiglitz, che i mercati non hanno funzionato nel modo previsto dalle loro “guardie notturne” e dai loro “corifei”; i mercati avrebbero dovuto essere stabili, ma le crisi finanziarie di questi ultimi anni dimostrano, per chi avesse ancora dubbi residui al riguardo, che possono essere molto instabili e provocare conseguenze sociali insostenibili. La virtù dei mercati dovrebbe essere l’efficienza, smentita però dall’instabilità, per cui molti bisogni fondamentali rimangono insoddisfatti, a causa della caduta degli investimenti, del dilagare della disoccupazione e dell’aumento della povertà. L’inefficienza del mercato tra tutte i possibili “fallimenti di mercato” costituisce la forma di fallimento peggiore, in quanto costituisce la fonte più grave e una della cause principali delle disuguaglianze distributive. Il prezzo di questo fallimento è un sistema economico instabile, con basso tasso di crescita, diffusa conflittualità sociale e pericolo per la conservazione delle istituzioni democratiche; ciò perché la fiducia dei cittadini nel libero mercato e nel metodo democratico che lo sottende si affievolisce per l’impossibilità degli stessi cittadini di orientare il sistema politico a porre rimedio alle insufficienze del mercato.
Se i mercati, osserva Stiglitz, avessero realmente favorito il miglioramento delle condizioni esistenziali della maggior parte dei componenti i sistemi sociali, la loro inefficienza, soprattutto per quanto concerne l’equità distributiva, avrebbe potuto essere sopportata; ma, per gli “arrabbiati”, il capitalismo non riesce a mantenere fede alla sue “promesse”, originando al contrario disoccupazione, ineguaglianze sociali, danni all’ambiente e, quel che più conta, la percezione dell’impossibilità di individuare i responsabili degli esiti indesiderati del cattivo funzionamento del sistema politico e di quello economico.
Per Stiglitz, tuttavia, il senso della protesta degli “arrabbiati” può essere accolto, in quanto è possibile costruire un sistema sociale più rispondente alle loro aspirazioni fondamentali, garantendo maggiori opportunità occupazionali, una più estesa equità sociale, un tenore di vita più elevato e una democrazia più forte e sicura; ciò può essere realizzato attraverso un’attività politica riformatrice finalizzata ad assicurare l’efficienza dei mercati e l’equità distributiva, fidando soprattutto su una fiscalità progressiva orientata a migliorare le condizioni di vita dei gruppi sociali più deboli e lo stato di salute ambientale. In ultima istanza, l’agenda di riforma politica ed economica proposta da Stiglitz muove dal presupposto che le forze del mercato, benché siano all’origine delle disuguaglianze, possano essere plasmate dalla politica in modo tale da orientarle a rimuovere le ineguaglianze. “Possiamo – afferma Stiglitz – far funzionare i mercati, o almeno farli funzionare meglio”.
In sostanza, anche la ricetta di Stiglitz, a ben considerare, è solo rivolta, non a far fronte ad una situazione all’origine di una crisi strutturale, ma a “rimettere in piedi” un malato afflitto da un male incurabile, per cui la medicina che propone è solo un palliativo, con cui rimuovere i sintomi più insopportabili del male. Ciò che invece sarebbe necessario è una propensione di tutti i sistemi politici le cui economie siano integrate a livello internazionale ad acquisire specifiche governance nazionali ed una governance dell’economia mondiale idonee a conciliare gli esiti dell’efficienza del mercato internazionale con gli esiti dell’efficienza sul piano dell’equità dei mercati interni ai singoli sistemi sociali. E’ questo un risultato che solo l’impegno di forti e consapevoli classi politiche nazionali può fare nascere la speranza che possa essere conseguito. Questa prospettiva è in grado di tacitare l’indignazione degli “arrabbiati”? Al riguardo, per ora, è plausibile nutrire qualche fondato dubbio, soprattutto se Grillo, per quanto riguarda l’Italia uscita dalla recente consultazione elettorale, continuerà a rifiutare un accordo con le forze politiche che maggiormente si stanno mostrando aperte ad accogliere le sue proposte, convinto che solo assumendo il ruolo di “bastian contrario” potrà conquistare il 100% dei seggi parlamentari.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.
Lascia un commento