Gianna Lai
Napolitano nomina i “saggi” per dar lumi al governo passato e futuro. Ma di idee ne sono state e ne vengono prodotte tante dalle formazioni sociali. Basterebbe ascoltarle per avere un’Italia migliore. Ad esempio quelle della CGIL, il più grande sindacato italiano, che Monti anziché considerare un intelocutore prezioso ha bollato come il maggior nemico, coi risultati ben noti.
Invitata dall’Associazione degli ex Parlamentari sardi, Susanna Camusso ha parlato a Cagliari nei giorni scorsi della crisi italiana, ripercorrendo i passaggi più significativi della storia di questi anni, segnati dalla violenza dell’economia finanziaria e dalla sconfitta della politica.
E ha proprio iniziato rivolgendo un saluto ai 360 precari dei Servizi pubblici per il lavoro Cesil e Csl, in presidio permanente dal 28 gennaio in Viale Trento, sotto la Presidenza della Regione Sardegna. Sono sparite le politiche attive del lavoro, ha detto la Camusso nella prima parte del suo discorso, da quando la finanza comincia a segnare il destino dell’economia italiana, in parallelo col fenomeno della globalizzazione, che ha determinato la crescita dei Paesi emergenti, lasciando al palo quelli occidentali. E sono cresciute le diseguaglianze tra gli Stati e dentro gli Stati, connaturate e necessarie alla logica della finanziarizzazione dell’economia, perchè il denaro genera denaro e le persone scompaiono. E la politica perde nel governo dell’economia, perchè si è rinunciato a ogni controllo, e le grandi multinazionali decidono più degli Stati e dell’Europa, ormai privati di ogni funzione, se non si pongono subito regole all’economia finanziaria. In questo scenario così preoccupante la Segretaria della CGIL ritorna alle questioni italiane e si sofferma sulla perdita di potere del voto dei cittadini che, insieme alla crescita delle diseguaglianze, pone un grave problema di democrazia. E nel mentre l’economia scompare dal dibattito, e sulla stampa sparisce il lavoro, e nessuna discussione è possibile sul paese che si immagina e che si vuole costruire per risolvere la crisi. L’Italia non si trova nella stessa condizione di altri paesi, ad esempio la Germania impone vincoli ed ha un progetto di sè e del suo futuro, che serve a autoregolarla. ‘Col governo dei professori noi siamo in balia degli eventi, dice dopo aver ricordato che la vera rottura deriva da una finanza senza regole, lo siamo stati già da quando il Paese ha abbandonato la politica dei redditi, che regolamenta l’andamento dei rapporti collettivi, e una seria politica sulla tassazione e sulla lotta all’evasione. A partire dal 1994, anche se Berlusconi ha detto fino all’ultimo che la crisi non c’era. E se oggi si parla dello scioglimento di Equitalia, vuol dire che lo Stato italiano non è più in grado di controllare l’andamento della finanza del paese’. Si sofferma quindi ad approfondire questo nodo centrale del suo discorso la Camusso, ricordando che l’ultimo accordo sulla politica dei redditi è del ‘93, in concomitanza con l’ingresso dell’Italia in Europa, e che quando viene abolita, l’anno successivo da Berlusconi, esplode l’evasione fiscale e l’insieme dei sistemi corruttivi. Ma il problema nasce, in nome della libertà di impresa, dalla negazione di ogni collegamento tra modello di sviluppo e scelta delle imprese stesse. ‘Qui da vent’anni non si fanno più investimenti in politica economica, e se non investe il pubblico, non possono farlo le imprese. Nessuna politica industriale da parte del governo, niente investimenti, nè innovazione tecnologica, niente lavoro per i giovani. E la competizione avviene non attraverso la Ricerca ma attraverso la riduzione del costo del lavoro, in un Paese ormai agli stracci durante il governo Monti, che risolve i problemi del mondo togliendo l’articolo 18, in una durissima campagna contro il lavoro e contro i lavoratori. Per non determinare alcun miglioramento delle cose’. Tornando agli anni della Tatcher…, la Camusso ricorda che allora in Inghilterra vennero messe in crisi le attività produttive per privilegiare quelle finanziarie, ma che oggi si ritorna indietro e si producono ormai più macchine in Gran Bretagna che da noi. E se Monti vuole imitarla quella politica, è perchè oggi il paese non ha un’idea di sè, non fondandosi più sul lavoro, l’unico a regolamentare i rapporti tra gli individui, a dare identità alle persone, a far crescere democrazia e welfare. Anzi, qui in Italia si risponde basta lavoro, basta welfare o partecipazione dei lavoratori alla distribuzione della ricchezza, e si creano distanze siderali fra i redditi dei lavoratori e i redditi dei manager. E così finisce che i lavoratori scompaiono dalla discussione e l’impresa viene determinata esclusivamente dal manager, mentre il governo, per appesantire il carico, attacca duramente il Sindacato, pretendendo di entrare nel suo dibattito e di determinarne gli esiti. ‘Si sottrae al lavoro la sua funzione, ripete la Camusso, il lavoro non è più al centro delle politiche in questi vent’anni in cui cambia il nostro paese, che risulta ormai del tutto marginale in Europa. Come in un processo di deresponsabilizzazione collettiva, niente si è fatto per salvare l’Alcoa e affrontare i gravi problemi del costo dell’energia, hanno avuto piuttosto la meglio le regole della liberalizzazione, in nome della quale tutto diventa regionale e non può esservi più alcuna forma di programmazione’. Contro le politiche governative che rendono il quadro così privo di speranze per il futuro, la CGIL è convinta invece che debba essere garantito l’intervento pubblico in economia, perchè L’IRI ha fatto diventare l’Italia un Paese industriale con il sistema delle imprese pubbliche. ‘Si deve ripartire da qui, da un sistema di imprese pubbliche, e dalla difesa del lavoro, dice la Camusso avviandosi alla conclusione, contro ogni tentativo di rendere il lavoratore azionista dell’azienda, non essendogli più permesso di programmare ciò che avviene, nè di discutere il modo con cui ciascuno si colloca nel suo lavoro. Perchè, se la decontrattualizzazione abbassa il costo del lavoro, essa frantuma anche l’impresa, al punto che oggi risulta non più organizzata, nè organizzanibile, buona parte del mondo del lavoro. In realtà è questione ideologica la destrutturazione dei rapporti, la moltiplicazione delle modalità dei rapporti, perchè finalizzata semplicemente alla riduzione delle retribuzioni. E tutto viene affidato alla regolazione legislativa, arbitraria, perchè lascia fuori il Sindacato, e incomprensibile, a partire dall’articolo 8 sulla regolamentazione del sindacato e dell’ impresa Chi rappresenta chi, e in funzione di che cosa? Solo il governo e le imprese decidono sulla rappresentanza, in mezzo a una quantità enorme di contratti nazionali di lavoro che parcellizzano tutto, mentre la Francia, per fare un esempio, ha un sistema di rappresentanza dell’impresa che la rappresenta tutta. Perchè la modalità del sistema di rappresentanza delle imprese è problema di democrazia, e un paese che non si basa sul lavoro, non ha un’idea di sè’. Il Piano di lavoro della CGIL occupa l’ultima parte del discorso della Segretaria, lavoro industriale, servizi, e quel patrimonio di ricchezze che è dato dalla sua storia. Ricostruire il paese, riconoscendo innanzitutto le persone che lo rappresentano, e il nuovo governo non potrà non porre la redistribuzione del reddito come primo vero strumento di giustizia sociale.
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