Rosamaria Maggio (insegnante CIDI)
Dopo i risultati elettorali, l’Italia si è svegliata con una situazione da prima Repubblica, nel senso che l’indicazione delle urne ha frantumato il voto tra quattro forze politiche, una delle quali, il centro- sinistra, ha ottenuto il maggior numero di voti, sia come coalizione che come partito.
Il PD è risultato primo partito con i voti dei cittadini all’estero, seguito dal centro -destra, dal M5S e dalla Lista di Mario Monti.
Rispetto però ad un risultato ottenuto con il sistema proporzionale che avrebbe normalmente portato a cercare un accordo per formare una maggioranza, il sistema elettorale maggioritario, per quanto Porcellum, porta alcune certezze: i cittadini hanno potuto indicare un leader come destinatario dell’incarico a formare il nuovo Governo in caso di vittoria (almeno per il centro-sinistra che aveva indicato Bersani, e Scelta civica che aveva indicato Monti); direi che anzi questa è l’unica decisione che i cittadini hanno potuto prendere, l’unica circostanza in cui, con questo sistema elettorale, la volontà dell’elettore può avere ancora un’influenza (cosa che peraltro non ha fatto valere né il centro- destra né il M5S); d’altra parte il primo partito/coalizione (anche solo per un voto ) può ottenere la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati e relativa al Senato. Questo è il risultato che deriva dal sistema maggioritario (a prescindere dal porcellum!!), che garantisce la vittoria a chi prende anche un solo voto in più.
In questo caso quindi la vittoria è andata al centro-sinistra, senza alcun dubbio.
In un paese normale, che abbia profondamente introitato il dettato costituzionale a tutti i livelli istituzionali, ciò avrebbe dovuto portare come conseguenza l’affidamento dell’incarico a Bersani, cui spettava il compito di formare il nuovo Governo e di presentarsi alle Camere per la fiducia (in una delle quali era scontata).
Due gli scenari possibili.
Ottenere la fiducia in quanto le varie forze politiche che ne condividevano i punti programmatici avrebbero potuto, almeno in parte, non rifiutare la fiducia in un voto parlamentare davanti al paese bisognoso di un Governo urgente. In proseguo poi, così’ come aveva dichiarato, il Movimento a 5 Stelle sui singoli provvedimenti conformi alla sua linea, non avrebbe fatto mancare l’appoggio.
Secondo scenario possibile sarebbe stato il fatto che il Presidente incaricato avrebbe potuto non ottenere la fiducia ed a quel punto il Presidente della Repubblica avrebbe potuto affidare l’incarico ad un altro soggetto, magari di fiducia della maggioranza vincitrice delle elezioni, ma anche del M5S, per poi cercare con una diversa ipotesi di governo la fiducia alle Camere.
La prassi istituzionale non pone limiti a questi tentativi e solo dopo, constatata l’impossibilità a risolvere la difficoltà di formare un Governo, il nuovo Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni, sempre che nel frattempo non si fosse trovata una maggioranza cui le Camere avessero dato la fiducia.
Questa è la procedura prevista dagli artt.92 e 94 della Costituzione.
La nomina dei dieci “saggi”, dopo un irrituale pre-incarico, rappresenta un palese rifiuto a seguire il dettato costituzionale degli artt. 92 e 94, con la nomina di una commissione di cosiddetti “saggi”, al di fuori di ogni norma costituzionale e di prassi istituzionale in conformità alle norme.
Se questa decisione fosse portata alle estreme conseguenze, rappresenterebbe un grave vulnus della Costituzione ove le previste procedure vengono addirittura ribaltate, in cui un organismo non previsto (commissione dei saggi), predispone un programma, sottraendone la predisposizione ad un eventuale Presidente del Consiglio incaricato, il quale eventualmente incaricato successivamente, si troverebbe a dover adottare un programma fatto da altri e magari a dover formare un Consiglio dei Ministri con “i saggi“ decisi dal Presidente della Repubblica.
Ci troviamo di fronte a prove generali di presidenzialismo, ma anche di un presidenzialismo autoritario in quanto non deliberato dalle Camere.
Siamo di fronte quindi ad una ulteriore mortificazione del Parlamento ed in questo caso anche del Governo.
Oltremodo grave sembra il richiamo a poteri più intensi di un Governo dimissionario, che abilmente non si è presentato alle Camere per la fiducia anticipando con le dimissioni la fine della legislatura, salvo riprendere poteri fino a spingersi, probabilmente, a predisporre il prossimo Documento di Economia e Finanza entro il prossimo mese di aprile.
2 commenti
1 francesco Cocco
4 Aprile 2013 - 09:15
Tutte valutazioni giuste, evidentemente frutto di una profonda cultura istituzionale. Credo che però si debba tener conto che ci troviamo in presenza di una cospicua parte della rappresentanza parlamentare non solo nominata (non più eletta, e non è una novità) ma anche telecomandata dall’esterno da una specie di Rasputin delle istituzioni.
2 michele podda
4 Aprile 2013 - 22:12
Considerando che il M5S è il secondo partito, e che alla Camera è di pochissimo inferiore al PD, esaurito il tentativo con Bersani, Napolitano avrebbe dovuto incaricare un rappresentante 5S. Posso pensare che non l’abbia fatto per un fermo veto del PD, ma in tal caso reputo sia stato un errore tale opposizione, perché sarebbe stata una soluzione migliore di qualunque altra possibile. O si vorrebbe davvero un governo col PDL, Renzi-Berlusconi (unu bonu s’àteru menzus)?
La nomina dei “consulenti” non è stata una scelta facile per il Presidente, ma l’alternativa sarebbe stata una presenza ingombrante di Monti con i tempi lunghi in attesa del nuovo Capo dello Stato.
Francamente non credo che Napolitano abbia voluto manifestare, nell’ultimo mese del suo settennato, una gran vocazione al presidenzialismo.
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