Gianfranco Sabattini
Le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco hanno riacceso il dibattito, invero mai sopito, dell’incidenza del pensiero laico e di quello religioso, nei suoi filoni più aperti alla società, nel salvaguardare e rafforzare la democrazia. Ecco sul tema una riflessione di Gianfranco Sabattini, autorevole economista del nostro Ateneo.
Secondo Albert Otto Hirschman gli uomini agiscono per trarre maggior soddisfazione dalla rinuncia ad un interesse individuale egoistico a favore di un interesse collettivo, a condizione che le scelte politiche non frustrino le loro aspettative e favoriscano la loro aspirazione all’equità e alla giustizia sociale; è, infatti, evitando la loro delusione che si può impedire ai cittadini di “allontanarsi dalla politica”, per privilegiare il “rifugio” nella loro sfera egoistica privata. Il pericolo che gli uomini, sotto la costrizione degli imperativi economici, si ritirino tra le “bolle dei loro interessi privati” è paventato anche da Jürgen Habermas in un articolo apparso, con qualche ritardo nella traduzione italiana, sul n. 1/2013 di MicroMega col titolo “Linguaggio religioso e uso pubblico della ragione”.
Per il filosofo tedesco, la disponibilità degli uomini, intimiditi dagli effetti delle crisi economiche ricorrenti, a rispondere collettivamente alle criticità delle loro condizioni sociali attraverso un’azione solidaristica, è destinata a “sbiadire” a fronte di fenomeni che sfuggono ad ogni possibile controllo da parte della politica; e l’erosione della fiducia dei cittadini nei confronti della politica è causa della crisi della democrazia modernamente intesa. Per fare fronte a tale crisi, gli stessi cittadini abbandonano i ragionamenti usuali della politica, per sostituirli con nuovi ragionamenti aperti a domini metafisici e religiosi, che consentono loro di trascendere l’idea della politica intesa come scontro di potere. Al riguardo, Habermas, rifacendosi a John Rawls, sottolinea come, in opposizione ai classici della tradizione del contratto sociale che avevano rimosso dalla politica ogni riferimento alla religione, occorra riconoscere che il “problema dell’impatto politico del ruolo della religione nella società civile non è stato di per sé risolto dalla secolarizzazione dell’autorità politica”; per cui, in particolare, non sempre si tiene conto che la secolarizzazione dello Stato non è la stessa cosa della secolarizzazione della società. Per prevenire le incomprensioni originate dalla possibilità che si trascuri questa necessaria distinzione, la laicità pretende di impedirne il manifestarsi privatizzando interamente la religione.
Questa pretesa, però, non è universalmente condivisa, nel senso che il permanere di motivi di ambiguità sulla necessità di tenere distinta la secolarizzazione dello Stato da quella della società civile non consente la creazione delle condizioni necessarie perché credenti e laici, rinunciando a “fare i conti” con la diversità dei principi su cui dovrebbero fondare le differenze tra loro esistenti, mancano di riconoscere esplicitamente di vivere in una “società in cui la pluralità gioca un ruolo primario”, contribuendo a radicare e a generalizzare l’idea che il dibattito pubblico si svolge tra credenti, da un lato, e laici ostili alla religione dall’altro. Nulla di più errato e dannoso, per Habermas, per la salvaguardia della democrazia.
I laici democratici, pur “vivendo e pensando prescindendo da Dio”, assumono un’indifferenza agnostica nei confronti delle pretese religiose; il laico, perciò, respinge la mentalità laicista perché intollerante e perché le sue pretese sono altrettanto poco desiderabili e altrettanto poco democratiche delle eventuali pretese fondamentalistiche dei credenti. Il laico democratico, pur accettando l’individualizzazione delle credenze religiose come conseguenza del processo di laicizzazione che ha teso a trasformare la religione in una scelta personale, intende la religione stessa, non come un sistema normativo, ma come un sistema di risorse che possono contribuire alla soluzione dei problemi sociali dell’età moderna. Al contrario, evidentemente, dei credenti integralisti, che considerano le pretese religiose una concezione inglobante del mondo e un “sistema totalizzante di senso e di norme di vita”.
Nella prospettiva della laicità, perciò, le pretese dei laici consistono nel dissociare la cittadinanza dall’appartenenza religiosa, intendendo tale dissociazione come garanzia del pluralismo e della democrazia in una situazione ideale di libertà e di uguaglianza di tutti, credenti e non credenti. All’interno di un sistema sociale democratico i cittadini secolari e quelli religiosi stanno tra loro in una situazione di complementarità, in quanto coinvolti tutti in un sistema di relazioni sociali costitutivo del processo democratico che “sorge nel terreno della società civile e si sviluppa attraverso le reti comunicative informali della sfera pubblica”. In questo processo, fino a quando la religione rimane una forza vitale della società civile, lo rimane anche a presidio della democrazia, rivelandosi in tal modo una componente fondamentale dello Stato secolarizzato.
Il reciproco riconoscimento delle pretese dei laici e dei credenti all’interno della sfera pubblica può incoraggiare, perciò, il “ritorno alla politica” di tutti i cittadini che da essa si sono allontanati perché disillusi, con la restituzione al ragionamento politico del suo originario significato, grazie al contributo dei “potenziali semantici” accumulatisi nelle tradizioni sia laiche che religiose.
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