Gianna Lai
E’ in libreria da qualche giorno “Affari riservati”, il nuovo romanzo di Luciano Marroccu, pubblicato da Dalai editore. Ecco una recensione di Gianna Lai.
La falsa lettera di Galeazzo Ciano a Benito Mussolini crea la suspence e rende imprevedibile lo sviluppo della scena, si può fermare il mondo, si può fermare la guerra. Ma è la narrazione delle vicende e dei personaggi intrecciate a quell’evento a costruire il romanzo, un poliziesco ambientato nella Roma fascista, in grande movimento per le le grandi manovre che preparano l’entrata dell’Italia nel 2^ Conflitto mondiale.
Al centro Carruezzo il Sublime e Luciano Serra, i due agenti della Divisione, e l’indefinitezza astrusa dell’O.V.R.A. che ‘tutto vede e tutto sa’, nella sua lotta agli oppositori, ai comunisti, agli antifascisti. E gli uomini di regime agitati e inquieti, nevrotici mitomani ben accolti nella insulsa e compromessa mondanità della capitale. E le spie e gli informatori, i confidenti e i delatori a pagamento, e gli spioni delle spie contesi tra polizia e Ministero degli Interni da un lato, e carabinieri e Polizia politica dall’altro. Nei dialoghi improntati alla minaccia e alla provocazione reciproca, per definire ciascuno il proprio terreno di coltura, la perenne ridicola competizione tra i vari apparati, tra Serra, che alla morte di Bocchini sembrerebbe meno ‘protetto’, e Maifredi, che potrebbe finire nel raccontino del poliziotto su Starace e la Divisione affari generali e riservati. Tipi scelti fra i più maliziosi, dice l’autore, calunniatori e pettegoli per vocazione, che orecchiano sui tram, nelle scuole, nelle caserme nei cessi pubblici, secondo le indicazioni del manuale dello spione. Ma anche regolari frequentatori di casini e locali equivoci, dove trovano tutto il materiale informativo necessario al lavoro quotidiano, ‘come se si volesse racchiudere la nebbia dentro un sacco’, dice beffardo Luciano Serra, pretendendo di comprendere in questo modo’lo spirito pubblico degli italiani’. E ne fanno parte, di questo mondo variegato, di questa eterogenea accozzaglia, anche le cene di Pupetta e Bocchini, che pullulano di poliziotti in cerca di collaboratori e artisti del varietà sempre disponibili. Pericolose, insidiose per ciò che si può dire o sentire, sempre regolati i rapporti dall’imperativo categorico di osservare, relazionare, riferire. Una corale rappresentazione del meschino istinto di massa a conquistarsi un posto al servizio dello Stato fascista, ancora oggetto del sarcasmo di Serra, il narratore in prima persona, protagonista e interprete, che racconta che cosa ha visto e udito, e che dà unità al romanzo proprio tenendosi un pò in seconda fila e rifiutando i primi piani. Forse per muoversi liberamente tra uomini e fatti, senza incorrere nella persecuzione politica, forse per comprendere e criticare il mondo senza essere notato. Per denunciare ‘il deterioramento del clima estetico e morale che caratterizza la serata’ da Pupetta, e prendere politicamente posizione se c’è da prenderla, ‘quella che stiamo combattendo è la guerra del tedesco, non la nostra’. Disincantato come è, fino al limite del disfattismo, nella riflessione sulla sua miseranda esistenza, quando parla delle lezioni del Sublime a cui tiene di più, ‘le dissertazioni sul modo di affrontare la noia, che è poi il grande problema del poliziotto ministeriale’. Spingendosi infine ben oltre, nell’attacco all’ infido alleato germanico, ‘Himmler il nazistone da barzelletta’, proprio come lo racconta quel volgare di Biondillo, e alla classe dirigente del paese, che mette l’Italia nelle mani del governo tedesco e gliene affida il futuro.
Il romanzo comincia a delineare così la vita e la società del tempo, secondo una rigorosa ricostruzione storica fondata sul realismo, sulla rappresentazione precisa e rispettosa dei fatti, che intreccia il destino dei personaggi alla politica dell’era fascista, degli apparati di partito e della burocrazia statale. Mentre l’esistenza quotidiana si lega ormai indissolubilmente alle sorti di un mondo già da tempo in guerra, che ne determina pensieri e azioni. E acquista leggerezza la materia nella trasposizione letteraria, così sapientemete modellata dallo sguardo ironico dell’autore, se pensiamo al distacco fra l’esaltazione fascista e la modestia delle sue manifestazioni esterne, o all’involontaria comicità degli autorevoli alti gradi, regolarmente sorpresi dall’autore a fare vita da casino, come comuni uomini comuni. Testimoni di un paese ancora stretto, avviluppato nella misoginia più oscura e antica, nel disprezzo profondo per le donne, che Serra sembrerebbe maldestramente voler contrastare nel corpo a corpo con uno squallido e brutale attore di terz’ordine. Come se nel regime fascista fosse possibile esercitare una qualunque forma di giustizia. In lontananza, un gruppo di giovani oppositori destinati alla persecuzione, alla morte, che preludono ad un mondo nuovo, da venire, in particolare nel commovente racconto del dolore della madre di un ragazzo, ucciso in carcere.
Certo che è invenzione. Ma più del libro di storia può il romanzo entrare nella vita del lettore, penetrare nella sua coscienza e raccogliere tutti i tasselli dell’azione per definire il quadro complessivo. L’individuo e il mondo, la testimonianza, la memoria e il volere degli uomini nel totalitarismo fascista che, invece, la coscienza vorrebbe negarla, sottoponendola alla legge del sospetto e mettendo gli uni contro gli altri. Con divertita curiosità l’autore segue una grottesca operazione di spionaggio della ‘diplomazia nera’ e della ‘diplomazia bianca’ quando, ‘in tempo di guerra, vero e falso si confondono continuamente’. E ambigui legami tra i personaggi e trame politiche persecutorie finiscono per avere la meglio, mantenendo fino alla fine quel senso di sospensione, che impedisce al lettore di trovare indizi rivelatori e fare previsioni. Sennò, perchè annunciare la morte e l’indagine su un affare riservato, fin dalle prime pagine, prima che la storia si snodi e prenda una direzione? Esilarante la descrizione del ‘piano sgangherato’, del ‘fluire di macchinazioni e inghippi’, del plauso di Serra ai passaggi più significativi della lettera, ‘nello sguardo del Duce la luce del pacificatore’, ‘che ha già stupito il mondo con la sua titanica azione di salvaguardia della pace’. Divertente la scena della convocazione dello ‘Stato maggiore’, o banda o falange o Divisione che dir si voglia, per la nonchalance con cui i protagonisti iniziano a mettere a punto il tranello in cui deve cadere l’Inghilterra. In quel parlato tra il quotidiano e l’inutilmente prolisso e verboso linguaggio del dirigente, nell’ improbabile eppure così reale lingua del burocrate, che vive solo tra ufficio e Partito. E che l’abilità dello scrittore, a rappresentare questo mondo del tutto distaccato dalla realtà e inconsapevole del proprio futuro, sa rendere bene attraverso l’uso di una scrittura misurata e chiara. Che diviene invece più prosastica quando deve testimoniare della volgarità dei tempi, ma sempre quella giusta per restituire a ciascuno il proprio carattere, si tratti del falso documento, della relazione dell’impiegato statale, di astrusi e ridondanti discorsi da mandare a memoria, per ripeterli nei luoghi opportuni. Vivace l’espressione che descrive gli interni di una dittatura messa alla berlina attraverso la ricostruzione e la riflessione storica, per nulla togliere alla durezza della critica su un’epoca così buia e cupa. E anche quando, a dieci mesi dallo scoppio della guerra, il racconto di Carruezzo dà la svolta finale al romanzo, ’si finge di guardare al passato ma è al futuro che si pensa, è l’uso delle parole a connotare il cambiamento, riprendendo nel parlato quotidiano la forma più normale e colloquiale dello scambio diretto fra chi parla e chi sta a sentire, finalmente fiducioso, il suo prossimo. Come se quella intimità, non condizionata da orecchie che ascoltano e che riferiscono, sapesse recuperare i sentimenti solo appena abbozzati, nell’animo del protagonista, durante gli incontri con Clelia e con Giacomo, o nel ricordo di un’adolescenza e di una città ormai lontana. Sentimenti così stretti nella morsa dell’indagine poliziesca, da impedire al protagonista di ritrovare se stesso. Come se l’inquietudine e la noia del giovane e malinconico poliziotto ministeriale fosse lì a rappresentare la mediocrità umana, l’inadeguatezza dell’individuo a sapersi orientare e a fare scelte e previsioni. Romanzare la storia per dare più respiro ai caratteri e ai personaggi del racconto, è questa l’originalità della narrazione, cosicchè quel suo ‘vagare’, come Serra vorrebbe definire l’ inchiesta di cui è incaricato, sembra andare oltre la resa dei conti di un’esistenza scialba e inutile del singolo individuo, per tratteggiare il destino di chi dimentica, e non ha grande consapevolezza del presente, di chi, per esempio, col suo passato e col fascismo, non ha mai voluto o potuto farli, i conti.
1 commento
1 Antonello Murgia
4 Marzo 2013 - 17:41
Una recensione intrigante! E allora ci toccherà andarlo a sentire il 20 marzo a Miele Amaro, al Manàmanà di Piazza Savoia, Luciano Marrocu che “corpore praesenti” ce lo presenterà questo romanzo!
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