Gianni Fresu
Tra i tanti segnali contrastanti di questa tornata elettorale, uno chiaro e inequivocabile c’è: la pesante sconfitta della sinistra italiana. In una fase di profonda crisi del capitalismo, nel Paese dove esisteva il più grande partito comunista dell’Occidente, la sinistra non omologata al liberalismo si è ridotta ai minimi termini. Politiche contraddittorie, scissioni, liti furibonde, tante le ragioni possibili, una cosa è certa, il mondo del lavoro e quello del disagio sociale guardano altrove. Non è servito accantonare i suoi simboli storici e presentarsi con la lista guidata da Antonio Ingroia, il Movimento di Grillo ha monopolizzato il malcontento verso le politiche di austerità finanziaria. Probabilmente, l’assenza di un progetto politico e la tendenza a trovare forme di composizione episodica con dei cartelli elettorali hanno contribuito a questo risultato. Ciò è accaduto alle elezioni del 2008, con la Sinistra Arcobaleno, alle europee con la lista poi divenuta Federazione della sinistra, ora con l’esperimento di Rivoluzione civile. In tutti e tre i casi, la sinistra nata dallo scioglimento del PCI, sembra aver smarrito identità e strategia, tanto da tirare fuori dal cilindro un coniglio nuovo ogni volta, con l’approssimarsi delle scadenze elettorali. Un tempo si diceva, prima i progetti politici poi le urne, in questi ultimi anni è però avvenuto l’esatto contrario e all’azione dei permanente dei partiti si è progressivamente sostituita quella occasionale dei comitati elettorali. Se Atene piange, Sparta non ride, e anche Sinistra e Libertà, a fronte di una ben maggiore esposizione mediatica, amplificata dalla campagna per le primarie, e maggiori disponibilità di risorse senza l’alleanza con il PD non avrebbe potuto eleggere propri rappresentanti in Parlamento. Se nel 2006 questi partiti esprimevano quasi il 15% dei voti, ora a stento ci si avvicina al 6. Non servono ragionamenti troppo sofisticati per suggerire alle forze di questo campo di voltare finalmente pagina e dar corso a una nuova fase costituente, per un progetto unitario e credibile, almeno che non si vogliano lasciare battaglie e quel che resta del vecchio consenso nella società al Movimento di Beppe Grillo.
Nei mesi precedenti al voto non sono mancate le polemiche e, in più di un caso, si sono levate voci che invocavano l’azzeramento non solo di organismi dirigenti, ma anche delle stesse organizzazioni della sinistra. L’invito non è stato accolto, si è preferito ripercorrere le strade già battute, mantenendo ben in sella gli stessi gruppi dirigenti protagonisti e responsabili delle sconfitte precedenti. Oggi il tempo dei bilanci non potrà essere nuovamente rinviato, così come quel cambio di gruppi dirigenti necessario ad aprire una fase nuova a sinistra. L’azzeramento sembra essere stato decretato dagli elettori. Del resto non si è mai visto un esercito guidato dagli stessi generali reduci da cocenti sconfitte militari e non si capisce perché questa regola non dovrebbe valere in politica, tanto più in un’area con ambizioni progressiste. C’è un intero campo da ricostruire, a partire però non dalle esigenze elettorali, bensì dai suoi contenuti economici, dalla sua ragion d’essere sociale. Nella realtà sono presenti tutti gli elementi su cui articolare un simile progetto a partire dalla scelta di campo rispetto al conflitto, oggi più che mai vivo, tra capitale e lavoro, ai temi dell’accumulazione e ripartizione delle ricchezze prodotte, della precarietà distruttiva imposta al mercato del lavoro dalle politiche liberiste del decennio passato, vere responsabili della crisi da cui stentiamo a uscire. Una ricomposizione di questo tipo potrebbe finalmente mutare i rapporti anche con il Partito democratico, andando finalmente oltre l’alternativa, comunque perdente tra subalternità e isolamento minoritario.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.
Lascia un commento