Cos’è rimasto della vecchia “nuova sinistra”?

27 Febbraio 2013
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Andrea Pubusa

Cos’è rimasto della sinistra in Italia? Quella sinistra variegata formata dalla vecchia “nuova sinistra” nata negli anni ‘70, le schegge prodotte dalla deflagrazione del PCI e non confluite nel PDS prima e quelle non entrate nel PD poi. Nelle scorse elezioni politiche erano uscite dal Parlamento, dopo il gran rifiuto all’alleanza di Veltroni e il flop della lista Arcobaleno. Gli insuccessi, come si sa, producono solitamente nuove divisioni. E così a PCDI, Rifondazione comunista, si è aggiunta SEL. Simboli di gruppi autoreferenziali, con scarso radicamento sociale. Sigle utilizzate più per mantenere alcuni rappresentanti nelle istituzioni (consigli regionali etc.) e piccoli apparati intorno a loro. Partitini che parlano di operai, di ceti deboli e di tutte le storiche tematiche della sinistra, senza però organizzare i soggetti che di tali situazioni sono titolari.
Vendola in questo contesto è stato il più abile. Sfruttando un suo indubbio fascino e le sue doti di grande affabulatore ha lavorato a fare di SEL una costola del PD. Negli interstizi dell’attività di questo partito, sopratutto inserendosi abilmente nelle primarie, ha realizzato alcuni colpi importanti, primo fra tutti il suo successo, che lo ha portato due volte alla Presidenza della Regione Puglia. Poi alcuni sindaci di città di rilievo, Milano e Cagliari. A livello nazionale ha fatto come Cavour in Crimea, che con la spedizione di pochi uomini, si è guadagnato un posto nel tavolo delle trattative. Vendola, in realtà, in queste elezioni voti non ne ha portato. Anzi, ne ha preso. Molti che avrebbero comunque votato il centrosinistra, hanno scelto SEL per dare un segnale o salvare la propria coscienza. o per dare un voto utile. Insomma, un’opzione per la sinistra di uno schieramento unico, una sorta di PD allargato, di cui Vendola fa parte ormai stabilmente. Se SEL si fosse presentata da sola, avrebbe avuto l’esito di Rivoluzione civile. Ingroia ha tentato di mettere in ombra le sigle sottostanti, facendo anche alcune scelte di movimento sulle candidature, ma non è riuscito a sfondare il muro dello sbarramento, anche a causa dello tsunami di Grillo, che ha captato tutto il dissenso e la critica alla vecchia politica. Ingroia dice di voler continuare. Ma, dovrebbe farlo su nuove basi, la vecchia “nuova sinistra”, morta con l’Arcobaleno nel 2008, oggi è stata definitivamentte sepolta.  E’ difficile, in presenza di Grillo, pensare di recuperare consenso “a sinistra”.  Ci vorrebbe un lungo e paziente lavoro di radicamento. Ma chi lo fa? Chi è in grado di farlo? Chi ne ha voglia? Si potrebbe pensare ad un raggruppamento insieme a SEL, ma sarebbe una riunione di piccoli apparati, rissoso e poco operativo. Chi lì dentro è disposto a mettere in discussione le posizioni acquisite? No, bisogna ammetterlo, prevale la difesa con le unghie e i denti delle piccole posizioni raggiunte.
In questo contesto, non è senza rilievo l’agonia de “Il Manifesto”, nella sua essenza originaria, già morto da tempo, mentre sorgono altri modi di comunicazione e organizzazione come “Il Fatto” nella stampa quotidiana e poi il web, l’arma vincente di Grillo.
Nel grande sommovimento di queste elezioni, c’è anche questo. La fine di una storia, nata in altri tempi per cambiare il mondo, e ormai ridotta a difendere lo “status” di un ceto politico di secondo ordine.
La radicalità è passata a Grillo. La sua vittoria è un fatto straordinariamente spiazzante. Tutti guardavano fino a poco tempo fà verso Monti, ora pendono dalle labbra del comico genovese e questa è la prova lampante dell’incapacità della vecchia politica di comprendere la realtà. Chi oggi riproporrebbe ministro del lavoro la Fornero, una donna ottocentesca? Chi potrebbe rimettere al centro delle cosiddette riforme la stravolgimento dello Statuto dei lavoratori? Chi attaccare impunemente i piccoli pensionati? Chi tassare i normali cittadini proprietari della casa di abitazione e magari ancora col mutuo da pagare? Chi proporre Monti o Amato al Quirinale o a Palazzo Chigi?  Chi può pensare a ministri-affaristi?  Chi a un governo delle banche e della finanza? Messo da parte quel mortifero di Monti, si apre uno scenario completamente diverso. In una settimana, sembrano passati cent’anni! Si parla con maggior speranza anche, in chi non vede bene il M5SS, di riforma delle istituzione, di nuova legge elettorale, della legge sul conflitto d’interessi, di riduzione dei privilegi della casta e d’altro ancora. Si parla di Dario Fò alla presidenza della Repubblica! Un’Italia di nuovo in movimento, che riprende speranza. E il motore è il comico genovese.  Solo con lui Bersani può pensare di governare. Non rimane che augurarci che il PD non sbagli, per l’ennesima volta, le future mosse e che lui, Grillo, non perda di vista i problemi degli italiani che lo hanno premiato così generosamente.

1 commento

  • 1 Antonello Murgia
    27 Febbraio 2013 - 14:23

    passato lo sgomento iniziale, forse possiamo dire che questo risultato è il migliore fra quelli che il Porcellum poteva consegnarci. Pensiamo per esempio a quello, dato per certo alla vigilia da tutti i sondaggi, di buona affermazione di Bersani e di Monti: che speranze avremmo avuto che non avrebbero proseguito le politiche neoliberiste? Oggi invece viene dato l’annuncio di abbandono definitivo del Ponte sullo Stretto, che mi sembra emblematico di un possibile nuovo corso, con gli interessi del Paese e la tutela dei più deboli al primo posto. E se fosse iniziata la nostra Primavera?

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