Aldo Lobina
Le cronache di questi anni traboccano di inchieste, avvisi di garanzia, condanne, arresti eccellenti e non. Ce n’è per tutti! I mille e uno processi di B – che per sua fortuna riesce a saltare anche qualche udienza, impedito come è – non fanno più quasi notizia, rischiando di trasformarlo davvero in una vittima perseguitata con ostinazione dai giudici “comunisti”. Sarà per questo che B vagheggia la reintroduzione dell’immunità parlamentare, esaltando di fatto il privilegio genealogico porcellino per i deputati.
Le indagini giudiziarie coi loro risvolti pesanti riguardano rappresentanti politici di ogni ordine e grado, menager, alti gradi dei Servizi segreti, lambiscono perfino le più alte cariche dello Stato, arrivando a sfiorare il Presidente della Repubblica, che è costretto a difendere il prestigio dell’alto incarico attraverso le sentenze degli organi costituzionali preposti.
L’immagine che si ha dell’Italia è quella di un Paese infelice, dominato ormai a tutte le latitudini dalle mafie, e dalla corruzione politica. Non si può non concordare col professor Andrea Pubusa, che ne ha scritto recentemente in un suo corsivo.
Intanto la cosiddetta società civile, cioè la maggioranza degli italiani con e senza lavoro, si dimena anch’essa nel vortice di cause civili e penali, non sempre intentate per chiedere giustizia, ma sempre più spesso per soddisfare l’uggia del denaro. Ecco allora avvocati invocati per ogni dove e uffici giudiziari affogati di lavoro. Cittadini costretti a difendere i loro diritti contro le omissioni o le vessazioni delle pubbliche amministrazioni, talvolta insensibili e ciniche nei loro confronti. Pubbliche amministrazioni a loro volta paralizzate dalla paura di sbagliare , che si affidano a (im)probabili e onerose consulenze, rinunciando al necessario coraggio di scegliere, senza offendere la Legge. Già la Legge. Ma… chi la scrive?
Ho riflettuto: chi la detta talvolta non è mosso da buone intenzioni, altre volte gli intenti determinati, pure plausibili, sono difficilmente applicabili anche per carenza di mezzi. Per non parlare della selva di norme il cui moltiplicarsi finisce per favorire il “rovescio” e non il diritto. Cosa che può generare conseguenze nefaste con relativi capri espiatori di turno, colpevoli o innocenti che siano. Penso per esempio alle leggi sulla privacy e ai documenti sensibili non protetti neanche fisicamente. Ce ne sono nei tribunali, negli ospedali, negli scaffali degli enti pubblici, in materiale cartaceo o informatico, poco importa. Penso anche a questo diritto alla privatezza calpestato da un malinteso dovere di cronaca, quando un certo coinvolgimento riguarda qualcuno che non sia il Capo dello Stato, quando l’informazione diventa merce, a volte avariata – sempre per uggia di denaro – e alimenta una avvilente gogna mediatica.
E’ anomala una Italia così, è davvero malata. Ma è in un certo senso anche anomalo il coinvolgimento diretto in politica di magistrati, impegnati precedentemente in qualità di pubblici ministeri, che si mettono insieme per dire “Basta!”.
Brandire prima il codice penale (per mestiere e vocazione) e poi la Costituzione è certo un grande passo avanti per chi lo compie, una evoluzione. Purché gli attori comprendano bene la differenza tra l’applicazione del primo e quella della seconda. Proprio codice penale necessita di opportune modifiche, che accanto alle sanzioni limitanti la libertà personale, che affollano le carceri della Repubblica, ne scopra e attui altre più civili e in sintonia con la stessa Carta, tesa a proteggere il cittadino, l’uomo nella sua interezza, anche quando sbaglia.
Serve una rivoluzione civile anche da questo punto di vista, dottor Ingroia, prima personale e poi collettiva, ora che si è proposto – e ha fatto bene! Una rivoluzione personale che La porti a non ridurre la politica a una resa di conti giudiziaria, ma a scelte sociali di ampio respiro sul fronte del lavoro e dei diritti civili, da cui la stessa amministrazione della giustizia potrebbe trarre beneficio.
Solo così potrà chiudersi finalmente questa triste fase storica che vede la classe dirigente italiana – a torto o a ragione – avvilita e infangata, in preda oggi a una degenerazione putrefattiva, che ci toglie credibilità di fronte al mondo intero.
Con coraggio e con serietà, senza qualunquismi, possiamo riprenderci. Ma bisogna crederci con la Costituzione in mano e nel cuore!
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