Francesco Cocco
Ho letto il libro “Eredità” (Ed. Rizzoli) di Lilli Gruber. A spingermi alla lettura di questo lavoro della simpatica giornalista ed ex-parlamentare europea è stata la curiosità di conoscere le sue radici culturali. Di sapere se come sud-tirolese propende per l’italianità o la germanicità . L’ ho letto con interesse perché non è solo la storia di una famiglia che dal 1918 al 1945 lotta per mantenere la sua identità, ma è nondimeno la lotta di un intero popolo (quello sud-tirolese) che per raggiungere un tale obiettivo affronta sia l’arroganza fascista che il disinteresse di Hitler per i loro problemi.
La Gruber, anche se afferma di sentirsi cittadina europea e come tale di superare la diatriba tra due culture (italiana e tedesca) ha radici chiaramente orientate verso la cultura germanica. Su questo niente da dire. In fondo, come insegnano i classici della nostra autonomia, si può essere cittadini del mondo solo se si è capaci di essere cittadini del proprio villaggio.
Nella mia vita mi è spesso capitato di soggiornare in Alto-Adige e di avvertire atteggiamenti scostanti di quella popolazione nei confronti degli italiani (specie negli anni 60 del secolo scorso), poi , in qualche modo , l’avversione è andata scemando . Anzi si sono realizzate situazione di amicizia. In particolare voglio ricordare la signora Luisa Corner che con grande confidenza (era del 1901 ed aveva l’età di mia madre) mi parlava della sua famiglia e della più complessiva situazione che nella sua lunga vita aveva vissuto “ tra due lingue” (uso la locuzione nei significati che ad essa dà Michelangelo Pira).
Ma non mi sarei soffermato a parlare di questo lavoro della Gruber se esso non fosse anche un’analisi dei problemi e della lotta che una popolazione deve vivere per salvaguardare la sua cultura contro chi, da una posizione di mero dominio, è incapace di comprendere che non ci si arricchisce soffocando l’altro ma solo dialogando tra due mondi, con la capacità di sviluppare la propria cultura con quella dell’ altro senza annullarsi reciprocamente.
E’ evidente nell’autrice il fastidio per un dominio, quello fascista, che non solo ha mirato a sradicare una grande cultura ma ha anche realizzato opere materiali dirette ad esternare e perpetrare quel dominio. Il rferimento è a quel monumento alla vittoria costruito a Bolzano sulle rive del Talvera . Riporto alcune frasi della Gruber riferite ad una sua antenata:” Per gli Italiani è un monumento che celebra una vittoria. Ma per noi è il ricordo di una grave sconfitta…………(recita l’iscrizione latina che campeggia sull’ architrave : HIC PATRIAE FINES , SISTE SIGNA, HINC CETEROS EXCOLVIMUS LINGUA LEGIBUS ARTIBUS (qui sono i confini della Patria .Pianta le insegne. Di qui educammo tutti gli altri alla lingua, al diritto, alle arti) “.
Certo sono parole grondanti di retorica che possono gonfiare il petto di chi in fondo avverte nel proprio subconscio una sostanziale incapacità di affermare pienamente sé stesso e ritiene di raggiungere il proprio obiettivo con la tracotanza.
Mi è capitato di commentare il senso di questo massiccio e retorico monumento con un amico sardo che da anni risiede in Alto Adige per ragioni di lavoro. Il mio amico è di indiscutibili sentimenti italiani, ma concordava con me quando gli ho espresso un senso di profonda indignazione per quello che giudico un monumento alla stupidità. Come si può pensare alla conquista di un popolo (innanzitutto sul piano culturale) quando con opere visibili gli si vuole ricordare che la presenza è frutto di conquista?. Nell’atrio del Municipio di Merano ho letto scolpito su una grande lapide di marmo il bollettino della vittoria del 1918. Ma che senso ha ricordare alla popolazione sud-tirolese che sono dei conquistati? Altro che educazione alle leggi, semmai educazione ad una rozza tracotanza!!!.
Sono e mi sento italiano, e sono e mi sento profondamente sardo. In quanto tale erede di un popolo che combatté per l’Unità dell’ Italia e nella Grande Guerra del 1915-18 pagò un pesantissimo tributo di sangue perché i confini d’Italia fossero quelli naturali delle Alpi. Come figlio di questo popolo mi sento di dire: perché non togliere dai Palazzi civici alto-atesini quei “bollettini” incisi sul marmo che finiscono per essere orribili simboli piuttosto dell’ idiozia umana che della vittoria? Perché non trasformare il massiccio monumento sulle rive del Talvera in un memorial dedicato alla pace ed alla amicizia tra i popoli ?
2 commenti
1 Gidì
12 Febbraio 2013 - 09:24
Dai tirolesi noi sardi abbiamo molto da impare su quello che è il VERO orgoglio di appartenenza, il rispetto e la gestione loro territorio. Mai i tirolesi svenderebbero la loro terra a uno sceicco arabo e mai si sognano di tradire la loro vera nazionalità.
2 michele podda
13 Febbraio 2013 - 13:38
Totu bonu e totu zustu in s’articulu tuo, Franziscu istimadu; ma in sa cuncruida tue puru mi paret chi che ses ruttu in sa “retorica”, nande chi “su populu sardu at dau sambene meda pro mantenner sas lacanas de s’Italia in sas Alpes”. Dae sa Sardinna “in proporzione” sos mortos sun prus de calesisiat regione de s’Italia, ma ite nde dian ischire de lacanas e de Alpes sos pastoreddos movios dae cada bidditzolu? Corazudos emmo, bonos e àbiles che fogu semper, ma chi apan aggraiu a intrare in gherra, cussu ja mi paret ispantu: a chie no at lassau sa pedde, su bestiamene l’at perdiu etotu, sa parte manna. Sa Sardinna podiat esser puru Patria, ma s’Italia che resurtaiat tropu allargu. E sa zente de Italia gherra non nde cheriat mancu issa.
A chie la cheriat, sa gherra, jai tenian ateru iscopu, a parre meu.
Lascia un commento