Gianna Lai
Per non dimenticare, c’è stato il ricordo delle foibe e il giorno della Memoria. Torniamo alla shoa e alla lezione dello storico, scrittore e critico musicale, Alessandro Portelli sulla deportazione degli ebrei romani. Una delle pagine più vergognose e terribile nell’orrore del nazifascismo.
In occasione della Giornata della memoria, c’era anche Alessandro Portelli il 28 Gennaio all’Università di Cagliari, per parlare di Deportazione e Resistenza nella Roma del 1943. Con un racconto molto intenso e di denuncia, sopratutto attraverso le voci dei testimoni e di chi è scampato alla morte. Il 16 ottobre 1944 Kappler dà inizio all’azione antigiudaica nel Ghetto, bombe e mitraglie già dalla notte prima, raccontano i testimoni, per indurre la gente a scappare dalle case. ‘Ci hanno chiamato con i nostri nomi esatti e imbarcati nei camion verso il Collegio Militare, dove ci hanno trattenuti alcuni giorni, prima della partenza per Auschwitz’.
L’evento deportazione è stato accuratamente preparato, dice il professor Portelli, prima il rastrellamento al Portico d’Ottavia, poi 2 notti al Collegio Militare, quindi alla Tiburtina nei treni blindati, verso Auschwitz. E’ un lungo processo quello della deportazione del Portico d’Ottavia, della deportazione degli ebrei di Roma. Non è avvenuto nè in poco tempo, nè in poco spazio, prosegue lo storico. Il tempo è quello del rastrellamento, che incomincia con le leggi razziali del ‘38. Per il Portico inizia il 3 Settembre, quando Kappler chiede 50 chili d’oro alla Comunità ebraica, minacciando altrimenti la deportazione in Germania di 250 capi famiglia. La città sa cosa succede, la Comunità è divisa, ma l’oro viene tuttavia consegnato. E subito dopo c’è la retata, il rastrellamento che coinvolge l’intera popolazione del Ghetto, in maggioranza donne e bambini. A tradimento rispetto alle rassicurazioni ottenuto con la consegna dell’oro. E De Benedetti racconta di una donna ebrea, domestica presso un’importante famiglia di fascisti, che aveva già annunciato nei giorni precedenti ‘ci vengono a prendere tutti’. A sottolineare il prima, nel tempo della deportazione. Poi il durante. Portati nel Collegio Militare per 2 notti, dice Settimia Spizzichino l’unica donna del Portico d’Ottavia tornata a Roma da Auschwitz, restammo sospesi in uno spazio incerto, senza mangiare, senza poterci lavare. Ci dicono in tedesco, state per partire per il campo di lavoro in Germania, gli uomini lavoreranno, le donne staranno a casa con i bambini. Qualcuno traduce in italiano, e la gente ci crede. E solo arrivati nel campo di sterminio di Auschwitz gli internati ci dicono cosa è la realtà, che cosa ci aspetta. Pensavamo, dentro il Collegio a 100 metri dal Vaticano, entrasse da un momento all’altro il Cardinale inviato del Papa per liberarci. Speravamo nel Papa. Dato che a Roma si sapeva della retata, tutti lo sapevano, sapevano dove ci trovavamo e la gente ci portava da mangiare. E Claudio Alfano ‘Al Collegio eravamo a 100 metri dal Vaticano, ma non si è visto nessuno’. Eppure il Vaticano sapeva, e una testimone che lavorava presso una famiglia ebraica, interamente deportata e sterminata, racconta dell’intervento del Vaticano che ne aveva chiesto la salvezza. Inizia la costruzione della memoria. Di 1022 persone trascinate fuori dalle loro case, più una bambina che nasce nel Collegio Militare, solo 15 sono tornate. E poi c’è il dopo. L’operazione tedesca provoca la deportazione di altre 1800 persone, prese dai fascisti e consegnate ai nazisti. ‘Per un ebreo che si è salvato, c’è stato un italiano che lo ha aiutato, per ogni ebreo deportato, un italiano che lo ha denunciato’, si diceva.
Lo spazio, dice Portelli, si riferisce ai luoghi del rastrellamento. Che non avviene solo nel Ghetto, molti ebrei vivevano infatti altrove, ma coinvolge l’intera città. Ancora De Benedetti ‘ I soldati tedeschi che attraversano Roma con gli ebrei sui camion della deportazione, si fermano a S. Pietro, si fermano a vedere la città, che non conoscono’. E intanto gli scambi diplomatici ribadiscono che il Papa è addolorato, perchè tutto questo si svolge sotto le sue finestre, e continua a tacere pur essendo chiamato in causa. La dimensione spaziale comprende quindi anche altre modalità, altri aspetti peculiari, la complicata questione degli italiani brava gente innanzitutto, brava gente che aiuta, che salva i perseguitati. Ester Fano, che racconta dei vecchi fino all’ultimo convinti di essere trasferiti nei campi di lavoro, si è salvata perchè la sua vicina, pur di fervente fede fascista e ben inserita nella macchina persecutoria, dice ai tedeschi sulle scale, pronti ad andare a prenderla, che in casa non c’è più nessuno. Tempo e spazio determinano il carattere della deportazione degli ebrei del Portico d’Ottavia, che ha avuto bisogno di tempi lunghi, dice lo storico avviandosi alle conclusioni. Mentre concentrarsi solo sul momento centrale, spettacolarizza gli avvenimenti, e ci illude che siano iniziati e finiti in poco tempo. Invece i tempi sono lunghi, fino all’evento ricordato che, proprio per questo, non finisce mai, non ha mai fine. Per evitare che la Giornata della memoria diventi mera commemorazione, dobbiamo chiederci, è giusto? E’ finito? Non da un giorno all’altro si è deciso il genocidio, il processo è stato lungo, e come iniziano questi processi, nei loro passi intermedi, noi lo stiamo rivivendo oggi con la schedatura dei Rom, con la nascita dei movimenti neofascisti. Se ragioniamo solo sul momento estremo, forse irripetibile, della Shoa, non ci rendiamo conto delle tragedie che stanno avvenendo ancora oggi. Anche se il momento cruciale non sarà simile a quello già vissuto. La cosa importante è richiamare alla memoria tutto il processo, conclude Portelli, attraverso la lucida partecipazione al presente, se è vero che la memoria è ricordo del passato e, insieme, rapporto col futuro. Perchè il dono ricevuto dalle persone che hanno vissuto e narrato quegli eventi, che ci hanno spiegato l’impatto con le loro vite di quel dramma, consiste principalmente nel comprendere che il ricordo del nostro presente potrebbe essere cancellato nel futuro, se non sapremo cominciare a costruirlo già adesso, in questo momento. E la memoria del nostro tempo vivrà se la costruiremo fin da ora, seguendo l’esempio dei testimoni della Shoa, che ci insegnano come si diventa testimoni del nostro tempo, per il futuro.
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