Gianna Lai
Italia 1943. Guerra, deportazione, Resistenza. Di questo ha parlato Enzo Collotti nella Facoltà di Lettere nel Giorno della Memoria. Ce ne riferisce Gianna Lai.
Molto bella la lezione su ‘Guerra, deportazione, Resistenza’ di Enzo Collotti, l’altra sera all’Università di Cagliari, in occasione della Giornata del 27 Gennaio. Un tema importante e centrale sull’Italia della 2^ Guerra mondiale, come tutti quelli che il Professore affronta ogni anno nelle lezioni cagliaritane, per restituire ai popoli una memoria fondata sulla lettura critica della storia del tempo, oggetto ancora di seria ricerca, e di ampio dibattito fra gli studiosi. Ha detto che la deportazione coinvolge l’Italia dopo l’8 Settembre, accomunandola al fenomeno ormai generalizzato nel Continente occupato. E che, comune alle altre deportazioni europee rispetto agli ebrei, è caratterizzata nel nostro paese dalla deportazione dei politici, e poi dei soldati italiani disarmati, e da quella dei civili, tutti destinati ai campi di concentramento. Alla base della deportazione degli ebrei vi è il razzismo. Abrogate più tardi nel Regno del sud, il Governo non abroga le leggi razziali dopo l’8 settembre, quando già c’è stata in tutta Europa una larga deportazione di ebrei. Ed era cosa nota anche in Italia, lo sapevamo, dice Collotti, ci era stato raccontato dai soldati tornati dal Fronte occidentale, e dalla gente fuggita dalle nazioni occupate. Per comprendere il fenomeno bisogna pensare al precedente isolamento in cui è vissuta l’Italia prima dell’8 Settembre, e alla persecuzione degli ebrei a seguito delle leggi razziali del ‘38, nate per iniziativa interna del regime fascista nell’epoca della campagna razzista contro le popolazioni africane, che si inasprisce con l’Impero. Da qui il 16 Ottobre e la deportazione in massa degli ebrei di Roma, e poi di Firenze e di Trieste. E l’elemento che la caratterizza è la collaborazione consistente della Repubblica di Salò, su cui bisogna insistere, perchè il programma di Verona, del Novembre 1943, proclama gli ebrei italiani privi di cittadinanza, cittadini stranieri di paesi nemici, privati quindi della tutela giuridica dello Stato. Ed è del 30 Novembre ‘43 il Decreto della Repubblica di Salò, che proclama la necessità di chiudere gli ebrei in campo di concentramento, così come avvenne, per poi consegnarli ai tedeschi. Borgo San Dalmazzo presso Cuneo, Fossoli a Modena, S. Sabba a Trieste, Gries a Bolzano. Gli ebrei furono ricercati in maniera capillare dai militari della Repubblica di Salò, raccolti e deportati in Germania, non verso i campi di concentramento, ma di sterminio. E se Primo Levi non viene mandato subito nelle camere a gas, è perchè conosce la lingua ed è un chimico di cui i tedeschi intendono servirsi.
E poi i deportati politici e i partigiani, quadri politici della Resistenza deportati integralmente, come i primi due Comitati di Liberazione Nazionale di Trieste. E i responsabili della stampa clandestina e gli organizzatori degli scioperi nelle città del triangolo industriale, destinati ai lavori forzati, tutti inviati in Germania col concorso determinante delle autorità di Salò. Del prefetto repubblichino di Genova e Spezia che, dovremmo vergognarci, aggiunge il professor Collotti, ritroveremo subito dopo nei banchi del Parlamento della Prima Repubblica italiana.
L’ultima categoria, i militari disarmati dai tedeschi dopo l’8 Settembre, di cui si parla così poco, pur essendo il gruppo più ampio di deportati. 600mila uomini destinati per lo più ai lavori forzati, che avrebbero dovuto essere prigionieri di guerra, secondo la legge, invece sono ostaggi della Wermacht (nonostante li rivendichi Salò), per punire il paese traditore. Dopo aver disarmato l’Italia, nell’autunno del ‘43 la Wermacht chiese 1milione e mezzo di uomini per il 3^ Reich, e furono intorno ai 100mila i lavoratori coatti deportati dall’Italia, oltre ai detenuti politici e ai militari, cui si aggiungono quelli che spontaneamente partono, attratti da buone paghe. Nei giorni scorsi, dice Collotti avviandosi alle conclusioni, la Commissione di storici italiani e tedeschi che lavora dal 2009 sui militari destinati al lavoro coatto, ha consegnato la sua relazione, perchè il discorso è ancora tutto aperto sulla questione. Come dimostrano le nuove richieste di risarcimento dell’Italia, respinte dalla Germania, che ha pagato una cifra forfettaria negli anni Sessanta, quando era del tutto sconosciuta la dimensione della deportazione, non avendo i nostri governi promosso ricerche e censimenti, secondo la ben nota e diffusa abitudine a dimenticare, a non voler ascoltare. Quella che impedì ai deportati di parlare, di raccontare gli orrori dei campi, agli italiani di conoscere e di riflettere sulla loro storia.. Ed allora capiamo perchè tutta la vicenda dei deportati assolve a un ruolo importante nella politica del dopoguerra in Italia: in che misura lo Stato italiano se ne occupa, quale assistenza per i reduci dai campi, quale impegno a non dimenticare. La nostra storia è fatta di ambiguità e di cose non risolte, dice Collotti, e mentre la Francia ha sempre censito in maniera capillare la sorte dei suoi cittadini, in Italia niente di tutto questo c’è stato durante il dopoguerra. Oggi vi è una ricerca dell’Università di Torino sui lavoratori coatti, che si aggiunge all’ampia e attendibile memorialistica sui detenuti politici. Ma vi son molte richieste di risarcimento da parte dei familiari, e resta ancora difficile sapere della sorte delle persone portate via senza lasciare traccia, come nelle stragi perpetrate dai tedeschi durante la ritirata, Strazzena, Marzabotto. Popolazioni che hanno subito i soprusi dei tedeschi prima, e poi il sopruso di non esser ascoltate nel dopoguerra. Ecco perchè, sottolinea il Professore, non possono esistere le basi per la costruzione di una memoria comune. Le tracce che la deportazione ha lasciato son qualcosa di così profondo e impresso nell’animo della comunità, che non ha senso perorare una sorta di lavacro della memoria in modo platonico. Non si deve invece perdere la coscienza di ciò che è costata questa guerra e questa deportazione. E il dato positivo della sua eredità: il filo che può contribuire a mantenere la memoria per le prossime generazioni è proprio l’insegnamento a opporsi ai soprusi. Perchè la democrazia non ci è stata regalata, ma è frutto di opposizione ai soprusi, e la memoria ricordo di ciò che è stato.
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