Francesco Cocco
Non so se la trasmissione “Servizio Pubblico” faccia guadagnare due o tre punti di consenso elettorale al “caimano”. E’ quanto sostengono alcuni organi di stampa, e forse non è da escludere che così sarà visto il degrado della società italiana. Degrado – va sottolineato- che i mass-media del “caimano” hanno contribuito a creare negli ultimi decenni.
Quel che però mi interessa sottolineare è che ancora una volta è venuto fuori il solito insulto dei “comunisti invidiosi”: leit-motiv frequente nei torrenziali discorsi dell’ex-premier , e che tende a diventare luogo comune delle rozze categorie mentali della destra populista.
Bisogna riconoscere che l’accusa d’invidia rivolta ai “comunisti” è una parola propagandistica efficace. C’è da chiedersi chi sono i comunisti per Berlusconi: forse Gramsci che, per idealità e coerenza, morì ancora giovane in carcere, forse Giancarlo Pajetta, che sacrificò nelle patrie galere una gioventù agiata, forse Umberto Terracini che in carcere trascorse 20 anni? Così potremmo continuare con migliaia di nomi. Non mi pare che la loro mente fosse offuscata dall’invidia, contrastante per sua natura con l’alto sentire umano di cui seppero dare testimonianza.
L’invidia è un sentimento esecrabile che subito evoca meschinità, incapacità di raccordarsi agli altri, piccineria nella visione dei rapporti umani. In fondo è il vizio “capitale”, come insegna il catechismo, che più impoverisce ed intristisce l’animo umano. Un sentimento molto presente in quella letteratura mass-mediale, rappresentata massicciamente nelle emittenti televisive private.
Tutta l’educazione politica portata avanti in Italia dalla sinistra di classe è stata per sua natura contraria al sentimento dell’ invidia. Esso s’interiorizza, per sua natura, in persone con orizzonti mentali chiusi, in chi non riesce ad elaborare una concezione che mira ad una “società altra”. Nel mio impegno politico ho partecipato a centinaia d’incontri che miravano al superamento dello stato presente e quindi avevano come finalità non quella di sostituirsi alla condizione dei più favoriti ma di creare un nuovo ordine sociale ed umano. Cioè superare un sentimento - come avrebbe detto Marx- proprio dei servi che non hanno coscienza di classe.
Con l’affievolirsi delle battaglie portate avanti dai partiti storici della classe operaia, il sentimento dell’invidia é andato rafforzandosi e diffondendosi . Non è solo indotto dalla diseducazione dei mass-media ma anche dalla mancanza di prospettive e dalla cristallizzazione delle posizioni sociali che negli esclusi genera rancore.
La società italiana (quella sarda in particolare) si è talmente cristallizzata nelle posizioni sociali ed ha creato tali e tante forme d’emarginazione da mettere in discussione, come ci ricorda Marco Revelli, il motto del Boccaccio per cui “solo la miseria è senza invidia”.
Dorma sonni tranquilli il magnate Berlusconi: non è il pensiero comunista che crea sentimenti d’ indivia ma piuttosto l’odio di classe che alberga nell’animo dei capitalisti. Essa viene proiettato nella vita sociale da personaggi che quotidianamente rapinano ed impoveriscono la società italiana non solo sul piano finanziario ma nondimeno su quello delle idealità.
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