Crisi economica, quale ruolo per la sinistra?

13 Dicembre 2012
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Gianfranco Sabattini

Nel pieno della crisi economica, l’Italia sta vivendo gli esiti di un paradosso; così inizia il libro di Luciano Canfora,  “È l’Europa che ce lo chiede!” Falso!, edito da Laterza nella collana “Idola”, da poco inaugurata. Il paradosso consiste nel fatto che dopo un ventennio di culto del “bipolarismo” si è passati al culto della “coesione”; il tramonto del bipolarismo, tuttavia, ha lasciato un pesante lascito: la riduzione della sinistra “ad una macchietta speculare della destra”. Dovendo operare insieme, destra e sinistra hanno archiviato il bipolarismo, per realizzare con “efficacia” e “coesione” la fuoruscita dal tunnel della crisi; ma l’effetto della progressiva assimilazione dei due “poli” politici è stato l’allontanamento degli elettori dalla politica, che alcuni presunti politologi considerano un “segno della maturità della democrazia”.
L’assimilazione dei due “poli” è descritta come patriottismo repubblicano; in questo, secondo Canfora, vi è molto Risorgimento, “impastato in un’unica ‘polpetta’” per essere trasformato, contrariamente a ciò che è stato nella realtà, in “un moto corale, armonioso e univoco”; ma c’è anche un po’ di Resistenza reso apartitico nella prospettiva della creazione di un “partito della nazione”, affrancato dalla necessità di appellarsi ad una chiara distinzione tra politiche di destra e politiche di sinistra. La legittimazione politica dell’assimilazione è realizzata con la demonizzazione delle “ideologie”, intese maldestramente come ideali. In tal modo, osserva giustamente Canfora, la “polpetta coesa” ottenuta con l’impasto di destra e sinistra approva di continuo le proposte governative, deplorando “che ci sia ancora gente che pensa, e reagisce, e combatte in ragione di ciò che pensa” e, soprattutto, di ciò che assume come ideale di uguaglianza. Al riguardo, Canfora, citando Norberto Bobbio, ricorda che l’ideale dell’uguaglianza ha sempre rinverdito la distinzione tra destra e sinistra; basterebbe posare lo sguardo sulla questione distributiva riemersa con la crisi all’interno dei Paesi di più antica industrializzazione e sull’identica questione da sempre esistente a livello internazionale per rendersi conto che la sinistra non ha motivo di confondersi con la destra: non solo per assumere l’ideale dell’uguaglianza nella sua dimensione mondiale a fondamento della sua azione, ma anche e soprattutto perché nei Paesi di antica industrializzazione ha perseguito questo ideale solo in parte, benché sia sorta nel secolo scorso per la sua piena soddisfazione.
Per tutte le ragioni sin qui dette, per Canfora è necessario che la sinistra riacquisti la sua specifica autonomia ed identità in funzione della difesa degli interessi di chi vive del proprio lavoro, per contrastare l’”europeismo d’accatto” col quale, nel nome dell’Europa che “ce lo chiede”, sono giustificati gli attacchi al diritto al lavoro, inteso come primo dei diritti inalienabili costituzionalmente garantiti.
Il libro di Canfora è sicuramente una critica serrata e convincente all’azione dell’attuale governo italiano che, con la sua politica di austerità molto indiscriminata e formulata sulla base di direttive esterne, persegue il superamento degli effetti negativi dell’eccessivo debito sovrano; l’analisi di Canfora però manca di realismo, in quanto se è vero, come è vero, che il capitalismo non è l’approdo finale della storia umana, i diritti inalienabili dell’uomo non si possono garantire con regole costituzionali datate. Il diritto al lavoro poteva essere affermato e realizzato agli albori della Repubblica; nel frattempo, il capitalismo ha cambiato pelle e sin tanto che non sarà definitivamente superato occorre tener conto dei cambiamenti che in esso sono intervenuti; ciò per garantire su basi reali il diritto alla vita dell’uomo, con la sostituzione del diritto al lavoro con il diritto al reddito, garantito fuori dalla logica welfarista.
Il welfare State è stato utile per “addomesticare” la società industriale, nata dopo il 1945, attraverso le legislazioni sociali dell’epoca per “costringerla” a funzionare entro ambiti più ristretti. Ma le costrizioni, non avendo alcuna radice in una socialità vissuta, non hanno consentito di realizzare una società alternativa. Il welfare è divenuto così solo il “cane da guardia” del principio del libero mercato proprio della società industriale, proteggendo quest’ultima da sé stessa e difendendo gli interessi di tutti. Sin tanto che l’intero sistema istituzionale-industriale non sarà riformato, in modo che sia messo al servizio di forme di produzione e di scambio conformi alle aspirazioni di tutti a realizzare condizioni esistenziali più eque e sicure, per contrastare la logica di funzionamento del capitalismo che distrugge irreversibilmente le opportunità di lavoro, la garanzia alla sopravvivenza può essere difesa solo con l’istituzionalizzazione del diritto al reddito. Nella realizzazione di quest’obiettivo, la sinistra dovrebbe ritrovare la giustificazione politica della sua “rinascita”.

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