Keynes, l’economista della solidarietà

9 Dicembre 2012
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Gianfranco Sabattini

La Casa editrice Adelphi ha pubblicato in un unico volume due scritti di John Maynard Keynes dal titolo “Le mie prime convinzioni”; i due scritti sono stati originariamente pubblicati a tre anni dalla scomparsa del grande economista, avvenuta il 21 aprile del 1946. Era stato lo stesso Keynes ad affidare ai suoi curatori testamentari la pubblicazione post-mortem dei due testi; il primo, “Melchior: un nemico sconfitto”, è stato presentato al pubblico italiano nel 1951, incluso nella raccolta di scritti di Keynes “Politici ed economisti”, mentre il secondo, “Le mie prime convinzioni”, è presentato per la prima volta ai lettori italiani nel volume dell’Adelphi.
Il primo scritto è il ritratto di un banchiere ebreo, membro della delegazione tedesca alla Conferenza di pace di Parigi del 1919; Keynes ha avuto occasione di incontrarlo durante i lavori della Conferenza in sede di determinazione delle clausole dell’armistizio, firmato dalla Germania, per la regolazione delle modalità con cui il Paese sconfitto poteva rifornirsi di viveri, senza però ricorrere ad alcuna linea di credito con i Paesi esportatori e tanto meno con i Paesi vincitori. A queste condizioni, alla Germania non restava che ricorrere alle riserve auree della quali ancora disponeva; la Francia però si opponeva, mostrandosi irremovibile nella richiesta che le riserve auree restassero integre per pagare le future riparazioni che il Trattato di Pace avrebbe imposto al Paese sconfitto.
Dalle righe dello scritto emerge, oltre che il ritratto di Melchior, la dura denuncia che Keynes ha sempre rivolto alla cecità con cui gli Alleati hanno pensato di “spremere” la Germania sotto forma di riparazioni per danni di guerra, esigendo una “pace cartaginese”, che prevedeva l’imposizione di un onere tale da impedirle di risollevarsi economicamente. Keynes rievocherà, con molto anticipo sui tempi, che il mondo avrebbe avuto un futuro radicalmente diverso se il primo ministro inglese David Lloyd Gorge e il segretario di Stato americano Thomas Woodrow Wilson avessero capito che il loro impegno doveva essere rivolto non a risolvere problemi territoriali, ma problemi finanziari ed economici; e soprattutto avessero valutato che i pericoli non stavano nella definizione di nuove frontiere, ma nelle pretese esclusive della Francia, che non tenevano in alcuna considerazione le conseguenze fatali di quel genere di pace. Secondo Keynes, ciò avrebbe favorito la diffusione di uno spirito di vendetta al quale avrebbero fatto seguito nuovi conflitti, come di lì a poco si sarebbe verificato a danno di tutto il mondo.
Ma, sul piano della novità, è il contenuto del secondo scritto a risultare interessante; questo, “Le mie prime convinzioni”, è stato redatto nel 1938 e letto ai membri del Memoir Club, fondato nel 1920 all’indomani della Grande Guerra da un gruppo di amici, fra i quali Keynes, che negli anni precedenti avevano fatto parte del Gruppo di Bloomsbury. Il Memoir Club voleva evocare, almeno per il grande economista, l’esperienza creativa vissuta, nei primi anni del secolo, con la sua ammissione alla Cambridge Conversazione Society (detta anche Società degli Apostoli, perché il numero dei suoi membri era limitato a dodici). Di questa Società elitaria faceva parte il filosofo George Edward Moore, le cui idee sul problema dell’etica hanno contribuito in maniera determinante alla formazione delle “prime convinzioni” delle quali parla Keynes; in particolare hanno contribuito ad affrancare la cultura dell’economista di Cambridge dall’edonismo imperante. Moore respingeva la fallacia naturalistica riguardo ai giudizi morali, nel senso che il valore del bene poteva essere colto solo attraverso un’intuizione non empirica; partendo da questo assunto, egli criticava il prevalente pensiero di John Stuart Mill, di Herbert Spencer e di Jeremy Bentham, per i quali il valore del bene poteva invece essere derivato solo da sue proprietà naturali, quali il piacere o l’utile.
Di Moore, tuttavia, Keynes ha “accettato la religione”, ma ne ha “rifiutato la morale”; infatti, almeno in un primo tempo, gli è parso, sbagliando, che uno dei vantaggi della religione di Moore fosse il fatto di poter ripudiare l’obbedienza a regole generali e di poter rifiutare il convincimento che la natura umana fosse sorretta da una generalizzata razionalità, tale da consentire il conseguimento di risultati identici sulla base, indifferentemente, di valori egoistici o di valori altruistici. Tutto questo avveniva, come Keynes stesso afferma, senza alcuna consapevolezza che “la civiltà è una crosta fragile e sottile creata dalla personalità e dalla volontà di pochissimi, e mantenuta in vita solo da regole e convenzioni abilmente imposte e astutamente preservate”. L’assenza di questa consapevolezza, però, ha avuto sulla formazione di Keynes l’effetto di indurlo progressivamente a interiorizzare l’idea che l’attribuzione a priori di una presunta razionalità alla natura umana finisse per impoverirla, piuttosto che arricchirla; e man mano che si avvicinava il 1914, cioè la tragedia della Grande Guerra, l’inconsistenza, la superficialità e la falsità della sua originaria visione della natura umana hanno incominciato ad irrobustirsi, sino ad indurlo a sospettare d’essere “spacciato”.
Se si considera che “Le mie prime convinzioni” sono state scritte alla vigilia della seconda guerra mondiale è plausibile pensare che Keynes abbia avuto modo di liberarsi dall’incubo d’essere “spacciato” scrivendo la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”. Con quest’opera, Keynes ha contribuito a formulare nuove regole di governo dei moderni sistemi economici, ampiamente aperti alla solidarietà; regole che non avevano niente a che vedere con i principi egoistici ed individualistici di cui era intrisa la sua originaria cultura vittoriana. E’ un travaglio culturale, quello di Keynes, dal quale dovrebbero trarre ispirazione coloro che, nella fase acuta dell’attuale crisi economica dei Paesi UE, ancora si ispirano all’ordoliberismo di hayekiana memoria, senza alcuna contezza d’essere sicuramente “spacciati” in un futuro molto prossimo.
 

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