Michele Podda
L’altro giorno su questo blog Andrea Raggio ha polemizzato con le iniziative del Psdaz sull’indipendentismo, a suo dire, niente più che un diversivo. Risponde Michele Podda, già sindaco di Ollolai, con questo scritto.
Ammettiamo pure che la mozione sull’indipendenza venga dichiarata inammissibile, e dunque cestinata; oppure che venga messa in discussione e quindi respinta, come già altre volte è accaduto; o ancora che venga approvata in Consiglio e subito dopo cassata. Qualunque ipotesi porta ad una sola conclusione: tutto resterà immutato. A che serve dunque presentarla?
Serve. Innanzitutto per riconfermare e rafforzare una decisione del 1981 quando, a Porto Torres, il Psdaz aprovò la modifica dell’art. 1 dello statuto inserendo la parola INDIPENDENZA. Poi per creare un’occasione di dibattito fra tutti i partiti nella speranza che altri si associno all’idea o che comunque non contrastino in modo totale la proposta e la considerino una delle opzioni per il futuro dell’Isola. E ancora per fare chiarezza: in troppi ormai, nel Centrodestra come nel Centrosinistra, parlano di “superamento dell’autonomia”, di “sovranità”, di “contrapposizione tra Stato e Sardegna”, di “autogoverno” o di “ricontrattazione dei rapporti”; tutte ipotesi che vanno comunque nella stessa direzione. Gli stessi grandi partiti (ma anche gli altri) a cominciare dal PD, negli ultimi tempi hanno assunto in Sardegna atteggiamenti nuovi nei confronti dei partiti nazionali, ipotizzando una certa autonomia o persino separazione, pur mantenendo collaborazione e unità d’intenti. Beh, tutti questi partiti devono chiarirsi e chiarire quale deve essere il GRADO DI AUTONOMIA, che comincia col nulla o quasi (situazione attuale) e finisce con L’INDIPENDENZA. Il problema è capire bene che cosa si vuole o meglio conviene PER LA SARDEGNA.
Non sono e non sono mai stato di destra né di centro, ma addebitare la crisi al centrodestra…è troppo semplice e comodo. Io dico che tutta la classe politica e sindacale, in linea di massima, ha delle responsabilità, diversificate forse individualmente; io stesso, nel mio piccolo, avrò sicuramente sbagliato, la mia parte, anche se in buona fede, ma certamente chi ricopriva cariche più alte avrà sbagliato di più, e alcuni anche spinti da interessi diversi. Ci sarebbe un lavoro non indifferente da compiere per stabilirlo in modo credibile, ma a che pro? Meglio individuare soltanto gli errori, con lo scopo di elaborare programmi più validi, e guardare avanti.
Ricordo bene quanto fossimo critici, noi giovani, fra gli anni ’60 e ’70, sull’industria di Ottana: “mangiare questa minestra o saltare…” ci dicevano, “i miliardi sono vincolati a un settore portante dell’industria nazionale” e “la Sardegna entrerà a pieno titolo nell’Europa petrolchimica”. Come autonomia non mi pare che fosse un granchè, neanche allora. Però talvolta mi viene da pensare che i politici nostrani SCEGLIESSERO DI NON DECIDERE, adeguandosi di buon grado alle decisioni di Roma e ottenendo così almeno due piccioni: a) evitare responsabilità per scelte controcorrente b) rafforzare i rapporti genuflettendo con i politici nazionali di grosso calibro (male non ancora estirpato).
Sta Catalogna! Alle recenti elezioni si è avuto un ridimensionamento del Partito nazionalista (indipendentista), un calo ulteriore dei socialisti, una sostanziale tenuta del Centrodestra, e un raddoppio dei voti della Sinistra radicale (indipendentista), con una maggioranza comunque di indipendentisti, che non arretrano. E un 70% DI VOTANTI sugli aventi diritto, la percentuale più alta da quando si vota per il Parlamento catalano (1980). E dire che lì l’AUTONOMIA c’è davvero, con ampie competenze concesse da Madrid, ma con forti contrasti sulla…(ma guarda un po’!) QUESTIONE FISCALE. Forse che la Sardegna non avrebbe i titoli per aspirare ad una LEGITTIMA INDIPENDENZA, come fanno Catalogna, Scozia, Paesi Baschi, Irlanda del Nord e altri? Anche pensando soltanto alla nostra insularità, alle nostre radici culturali (in via di estinzione), alla nostra lingua (quasi estinta) di motivi ce ne sarebbero più che a sufficienza; ma credo che anche dal punto di vista dell’economia la nostra realtà presenti condizioni sicuramente peculiari, che necessitano dunque di interventi appropriati, adatti a questa realtà.
Certamente quel poco di autonomia di cui si disponeva, poteva essere meglio utilizzato, ma questo non significa che non sia urgente accrescerla, fino a sfiorare l’indipendenza. Anche se mi rendo conto che il vero problema è quello di poter disporre di POLITICI DEMOCRATICI che GUARDINO PRIMA DI TUTTO ALLA SARDEGNA, nel rispetto di quel che è dell’Italia, dell’Europa, del mondo. Ora che cipenso però c’è anche il problema di QUALE PROGRAMMA dovrebbero realizzare. E se questo programma deve rispettare la VOLONTA’ POPOLARE, il popolo lo deve approvare prima che venga affidato ai politici; e anche questa non è una questione da poco.
A proposito di un padrone esigente, da noi si raccontava che dicesse: ”In su mentres pasande, ispèrdia!” (mentre ti riposi raccogli pietre -“isperdiare”). Purtroppo così bisognerebbe fare anche qui: raccogliere idee e proposte concrete nel territorio per pianificare l’attività di governo e nel frattempo individuare i politici idonei e proporli al voto popolare; quindi seguire passo passo la loro attività politica per verificare il rispetto degli impegni assunti, senza trascurare la normale amministrazione che consente alla vita sociale di proseguire regolarmente. Cominciando, per esempio, dalla creazione di posti di lavoro, dalla riforma dello statuto, dall’introduzione dell’insegnamento della nostra lingua in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Per cominciare.
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