Carlo Dore jr.
“Perché Bersani?” Mi chiedono tanti amici sparsi per la città, o mobilitati lungo le frontiere virtuali dei social network. Perché affidarsi ad un esponente della “vecchia guadia”, dell’apparato, della “nomenklatura” quando si può scegliere la freschezza ridondante e vagamente stucchevole di un candidato “giovane” e “nuovo”, ancorché pericolosamente basculante sul mobile confine che separa il concetto di rinnovamento da quello (assai meno nobile” di nuovismo? Perché ripiegare sulla tradizione, dinanzi all’opportunità di rompere con il passato recente e di aprire una fase nuova, governata da protagonisti accattivanti nel loro disinvolto look da happy hour?
“Perché Bersani?”. La mia risposta suona drammaticamente complessa nella sua paradossale semplicità: per il nostro passato, e per il nostro futuro.
Nel bel mezzo del “post-ideologismo”, di una fase storica nella quale concetti fondamentali come “solidarietà”, “eguaglianza”, “giustizia sociale”, destra e sinistra sfumano pericolosamente dinanzi alle fredde logiche di Sua Maestà il Mercato, Bersani comunica il senso di appartenenza a una storia: la storia che unisce tre generazioni lungo la sottile linea rossa dell’antifascismo e della lotta partigiana, della Costituzione e della democrazia parlamentare, delle grandi battaglie per i diritti dei lavoratori e della lunga marcia verso un socialismo di dimensione europea. La storia della sinistra italiana, la nostra storia: un valore non rottamabile in ragione di una discutibile idea di cambiamento, il presupposto imprescindibile per la costruzione di un futuro diverso da questo triste presente.
Già, il futuro: ai miei occhi, Bersani incarna un’idea di futuro, o, se si preferisce, declina un modello di “cambiamento possibile” in un Paese costretto da un nocchiero incapace ed ebbro a navigare per vent’anni all’inseguimento di uno sciame di favole: la favola del milione dei posti di lavoro, dei ristoranti pieni e del boom nel consumo di cosmetici; la favola dell’efficentismo di Bertolaso, affogata tra le risate degli imprenditori pronti a lucrare sulle lacrime del popolo aquilano; la favola della nipote di Mubarak, ennesimo sfregio arrecato alla dignità di un Parlamento perennemente asservito alla logica del “ghe pensi mì”.
Il tempo del leaderismo plebiscitario volge oggi al termine, spazzato via dal vento di una crisi che non accenna ad allentare la sua morsa sull’Europa: rimane spazio solo per un salutare bagno di realtà, e per quel “cambiamento possibile” di cui Bersani cerca di farsi interprete, liquidando con una battuta ad effetto gli artifizi verbali dei funambolici venditori di sogni. Realtà, realtà, realtà: Bersani non incanta, ragiona; non fa proclami, snocciola dati e propone soluzioni; al carisma dell’uomo solo al comando contrappone la consistenza di un progetto collettivo.
Più tutele per i lavoratori senza certezze; più attenzione alle esigenze di un sindacato troppo spesso abbandonato ad urlare la sua rabbia al cielo di una piazza vuota; più solidarietà per i figli degli immigrati nati in Italia, da qualificare a tutti gli effetti come cittadini italiani; più moralità per un Paese assuefatto alla corruzione, attraverso il ripristino del reato di falso in bilancio ed un’ulteriore revisione delle norme relative alla criminalità economica; più giustizia sociale per ridurre le troppe disuguaglianze di un Paese sempre meno solidale. Lavoro, diritti, solidarietà, moralità giustizia sociale: ecco l’Italia che Bersani ha in mente, ecco la prospettiva di “cambiamento possibile” che può caratterizzare il nostro futuro.
Il profondo di appartenenza ad una storia che non sono disposto ad archiviare o a rottamare, l’adesione ad un progetto collettivo, l’orizzonte di un cambiamento possibile sono le ragioni della mia scelta, le ragioni che stanno alla base della mia risposta all’interrogativo: “perché Bersani?”. Per il nostro passato, e per il nostro futuro: ecco perché Bersani.
1 commento
1 admin
2 Dicembre 2012 - 10:58
Da Andrea a Carlo
Caro Carlo,
condivido gran parte delle tue considerazioni. Solo una precisazione: Renzi è uomo d’apparato, per così dire, integrale. Non ha fatto altro in vita sua, Basta leggere il suo curriculum. E’ sempre stato nelle segreterie. Rispetto a Bersani, quanto ad apparati, ne ha frequentato meno sol perché è più giovane. Ma Bersani ha frequentato quelli giusti, fatti di serietà ed impegno. E dove è stato ha operato in modo equilibrato ed unitario. Gli apparati di Renzi sono meno affidabili. E lui più di frasi fatte non sa dire. Troppo poco per pretendere di governare un Paese.
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