Andrea Pubusa
Abbiamo pubblicato ieri il resoconto e l’opinione di Marco Ligas sulle vicende del Manifesto, dove ormai c’è uno scontro aperto fra Direzione e circoli, coi quali si sono schierati anche alcuni storici giornalisti come D’Eramo e Halevi, e perfino la più autorevole dei fondatori viventi del quotidiano, Rossana Rossanda.
Dopo quella di Ligas ecco un’altra opinione.
Caro Marco,
credo che la direzione e la redazione de Il Manifesto prescindono dai Circoli perché li ritengono inutili. La Cooperativa proprietaria della testata è in liquidazione, E, si sa, la liquidazione comporta la vendita della testata al migliore offerente nell’interesse dei creditori. La Redazione ritiene evidentemente che ormai il destino de Il Manifesto sia segnato. La testata vale due milioni. Una cifra impossibile per i Circoli, fuori dalla loro portata. Ed allora? La redazione dà per scontato che il giornale finirà nelle mani di un altro editore. Un imprenditore. Potrà anche accadere lo scempio. Il Manifesto, giornale comunista, fondato da Luigi Pintor, alla corte di Berlusconi o di qualcuno come lui. La redazione sa insomma che ormai i suoi destini e quelli dei compagni dei circoli si sono definitivamente separati. Ed allora ognuno per la propria strada. Gelidamente e senza garbo. Se tutto va bene i redattori o qualcuno di essi salvaerà il posto. Il Comunismo, i grandi ideali dei nostri anni verdi sono solo nostalgie sentimentali di compagni invecchiati, fuori dal mondo e rincoglioniti. Questo pensa evidentemente la redazione se, senza alcun sussulto, legge le dimissioni di Rossana.
Caro Marco, il Manifesto è morto da molto tempo, anche se non è stato ancora sepolto. Da quando si è ingrossata la redazione fino all’assurdo. Un gionale come il nostro avrebbe dovuto avere una redazione con non più di quindici membri stabili e poi il volontariato generoso e di alta qualità dei sostenitori, come te, come noi, esistenti in tutta Italia. Invece si è arrivati a più di cento giornalisti. Ecco una prima ragione della insostenibile esposizione debitoria.
Poi, come ho avuto modo di dirti a suo tempo, dopo la morte di Luigi Pintor, occorreva una scossa, un sommovimento. Una nuova direzione di grande qualità, presa anche fuori dal giornale, capace di rimescolare le carte e rilanciarlo. Un po’ come fece l’Unità dopo la chiusura. Con Furio Colombo il giornale riprese autonomia, qualità e mordente. Ebbe una nuova felice stagione. Fu di nuovo un bel giornale. Questo scatto il Manifesto non lo ha mai voluto e si è spento e avvizzito, come tutte le cose comuniste, che finita l’epopea rivoluzionaria, si spengono nella routine monotona e triste, con una direzione ortodossa e senza slanci.
Caro Marco, tu ora proponi l’impossibile. raccogliere due milioni di euro e comprare la testata. So bene che l’impossibile è sempre stata la cifra che ha caratterizzato il Manifesto fin dalla sua nascita. Ricordi? Quando Luigi lanciò l’idea, ci parve un folle. Lo seguimmo per quella forza contaggiosa ch’egli aveva e per la nostra incoscienza giovanile. Eppure Il Manifesto è andato in edicola in quella bellissima ed indimenticabile giornata del 28 aprile del 1971 e c’è rimasto per 40 anni, anche quando quella corazzata ch’era l’Unità, fondata da Antonio Gramsci, rimase muta per sei lunghi mesi. Ora, l’impossibile è ancora possibile? Il quadro da allora è completamente cambiato. Non c’è più l’onda lunga del ‘68. La sinistra è moribonda e non c’è un Pintor. C’è però la sofferenza, c’è una lotta di classe aperta del padronato e della grande finanza contro i lavoratori, contro i giovani, una guerra feroce e senza prigionieri, che attacca il lavoro, i salari, i servizi. C’è da risvegliare una consapevolezza in questo scontro, se non si vuole che il diffondersi dei populismi travolga anche la democrazia. L’impossibile potrebbe essere ancora possibile. Ma la condizione prima è che ci sia un progetto condiviso di rilancio del giornale, che non può partire che da un’autorevole nuova direzione, come fece appunto l’Unità con Furio Colombo. In questo quadro forse, anche se acciaccati per l’età e per le molte ferite di una lunga e tormentata militanza nella sinistra, potremmo tentare la nuova impresa. pronti a raccogliere fondi e a collabroare gratuitamente al giornale. Dovremmo contestualmente passare il testimone a una nuova generazione, più in sintonia coi tempi e immersa nel vivo dello scontro, nei luoghi di lavoro o nella lotta per il lavoro. Una generazzione che si riappropidi quella idea grande, attuale e ricca di futuro che è il socialismo. Ma dubito che si crei il presupposto. Spero però di sbagliarmi Spero ardentemente che tu abbia ragione. Se c’è anche una piccola speranza, comunque noi ci siamo. Questo è certo.
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