Andrea Raggio
La segreteria nazionale ha trattato la crisi del PD sardo alla stregua di un mero conflitto statutario, lasciandola alla competenza della Commissione di garanzia. La quale non poteva fare altro che leggere le carte alla luce dello Statuto. Le ha lette male? Può darsi. Se le avesse lette diversamente, sarebbe cambiata qualche cosa? Niente affatto. Perché la lacerazione nel PD sardo non è bega condominiale e neppure soltanto scontro di potere ma conflitto tra culture politiche diverse.
Vero è che i protagonisti stentano a esplicitare la vera natura del conflitto, ma questa non dovrebbe sfuggire ai dirigenti nazionali del partito. Ecco perché il loro lavarsene le mani appare come avallo a una posizione contro l’altra, in coerenza con quell’orientamento che nel 2003-2004 ha portato al sostegno della candidatura di Soru contro le resistenze e le perplessità di parte consistente dei DS sardi e che nel 2007 ha spinto alla fusione tra DS, Margherita e Progetto Sardegna. E’ sempre bene ricordare i fatti. L’11 marzo 2007 – eravamo in piena attività congressuale DS - si è tenuta a Cagliari un’iniziativa promossa dalla mozione del segretario nazionale, presenti lo stesso Fassino, il segretario regionale della Margherita e il fondatore di Progetto Sardegna. L’iniziativa era in realtà un pretesto per presentare come cosa oramai fatta la fusione a tre, anticipando decisioni che spettavano al Congresso regionale. Una forzatura, una delle tante.
Nel Congresso il tema della costituzione del nuovo partito nella realtà sarda è stato abilmente oscurato. La relazione del segretario e le conclusioni, inusitatamente affidate, di fatto, al fondatore di un altro partito, qual era Renato Soru, hanno imposto al centro del dibattito la Giunta regionale e il rapporto tra il “governatore” e la maggioranza. Soru, messo l’abito di sinistra, ha bacchettato tutti, gruppo regionale e partito, guadagnandosi sul campo la ricandidatura per il 2009 alla presidenza della Regione da parte del rappresentante della segreteria nazionale. A distanza di pochi mesi il risultato negativo delle amministrative e l’auto candidatura del Governatore alla segreteria del nuovo partito hanno costretto tutti a riconsiderare le conclusioni congressuali.
Il PD sardo è nato, dunque, da un’imposizione. Ed è nato nella sottovalutazione dell’incidenza che la fusione tra partner con storie e culture non solo differenti ma su questioni cruciali addirittura contrastanti, avrebbe avuto sulla vita e sulle prospettive del nuovo partito. DS e Margherita erano, infatti, gli eredi di un grande patrimonio ideale e politico, quello della sinistra comunista e socialista e quello della sinistra cattolica, costruito attraverso un fecondo rapporto tra la cultura del movimento operaio nazionale e internazionale e del cattolicesimo democratico con la questione sarda, la cultura e il sentimento sardista. Un’esperienza, questa dell’autonomismo sardo, unica nel Mezzogiorno. Progetto Sardegna, invece, era ed è un partito sui generis, senza storia, portatore di una cultura abborracciata attingendo al vecchio rivendicazionismo “riparazionista”, all’etnocentrismo, a un decisionismo di stampo imprenditoriale. Un partito, ecco il punto cruciale, che ha fatto della democrazia autoritaria la sua bandiera, in alternativa alla democrazia partecipativa che aveva animato il grande movimento di popolo del secondo novecento sardo. Vero è che anche DS e Margherita negli anni recenti hanno ceduto all’influenza dell’autoritarismo, ma il conflitto latente tra le diverse visioni della democrazia non poteva non manifestarsi apertamente quando Progetto Sardegna ha forzato le cose nell’intento di dominare sia l’Istituzione sia il partito appena nato. In conclusione la costituzione in Sardegna del partito è nata da una fusione non solo fredda, ma ibrida. La causa della particolare acutezza della crisi del PD sardo è principalmente questa.
La fusione ibrida non si doveva fare. Non solo perché con la storia bisogna sempre fare i conti, ma perché una politica di sviluppo fondata sulla democrazia autoritaria non ha futuro, soprattutto nell’isola. Occorreva, certo, tener conto della realtà e Progetto Sardegna era ormai parte importante della realtà. Era sorto in polemica aspra con i DS, rivendicando la guida della lotta al centrodestra e pretendendo conseguentemente di confinare in un ruolo subalterno i partiti del centrosinistra. Nella costruzione dell’alternativa era invece indispensabile lasciare campo libero alla competizione, in un rapporto di pari dignità, fra forze diverse ma convergenti nel conseguimento dell’obiettivo. La competizione, se è vera, giova alla Sardegna e favorisce il rinnovamento della politica. Ma i DS, purtroppo, hanno ceduto.
Il conflitto tra democrazia autoritaria e democrazia partecipativa è, dunque, la questione che caratterizza la crisi del PD sardo. Ed è la questione che ha agitato e agita la vita politica regionale, trascinandola nella confusione e nel vuoto di prospettiva. Per prima cosa occorre risolvere questo conflitto. Tutto il resto viene dopo. Ecco perché a mio parere la preoccupazione principale di tutte le forze di sinistra e democratiche, comunque dislocate, deve essere quella di concentrare in questa direzione il dibattito e l’iniziativa. Il potenziale di sinistra e democratico in Sardegna è notevole, ma è frantumato e diviso in mille rivoli o congelato in quel partito - non partito che è oggi il PD. Degli appelli all’unità della sinistra apprezzo la buona intenzione, ma ritengo che nell’attuale situazione siano destinati a cadere nel vuoto perché privi di contenuti politici concreti e sovrastati da spinte concorrenziali. Ritengo, invece, possibile un’ampia convergenza su un obiettivo preciso, quello del superamento dell’autoritarismo nella prospettiva di una nuova Autonomia.
3 commenti
1 Sergio Ravaioli
10 Settembre 2008 - 10:44
Finalmente un intervento che parla chiaro e va al cuore del problema:
CULTURE POLITICHE DIVERSE
Non è questione di chi ha ragione e chi torto: sono diverse.
La storia (e non una commissione) dirà chi ha ragione. Intanto registriamo in Sardegna che la “democrazia autoritaria” negli ultimi quattro anni ha prodotto fallimenti più gravi e dannosi delle inefficienze e pasticci vari accumulati dalla “democrazia partecipativa” nei decenni precedenti, nel corso dei quali si sono anche avute stagioni apprezzabili (per gli addetti ai lavori: legge 268 e legge regionale 33).
Ad otto mesi dalle elezioni regionali il CHE FARE è drammatico: senza grossi fatti nuovi assisteremo non solo alla stracciante vittoria della destra (molti elettori popolari e di sinistra si rifiuteranno di votare Soru), ma anche alla successiva dissoluzione del Partito Democratico.
Una prospettiva grave ed ogni giorno più concreta.
Occupiamoci delle scialuppe e non mettiamoci a lucidare le maniglie: il Titanic sta affondando!
2 Carlo Dore jr.
10 Settembre 2008 - 14:22
“…Finalmente un intervento che parla chiaro e va al cuore del problema:
CULTURE POLITICHE DIVERSE
Non è questione di chi ha ragione e chi torto: sono diverse…”
Caro ing. Ravaioli, non me ne voglia: perchè non ha espresso queste considerazioni ai tempi dell’ultimo congresso dei DS, quando chi denunciava i pericoli relativi all’attuazione del progetto del PD veniva arbitrariamente bollato come estremista, e non esaltato come difensore della “democrazia partecipativa”? Mi piacerebbe che, per una volta, certi rilievi critici cambiassero obiettivo: se il centro-sinistra sardo perderà le prossime elezioni, le responsabilità non sono da imputare esclusivalmente al Presidente della Giunta. Sono da imputare in massima parte a quei capi-bastone che da un lato non hanno saputo porre un freno allo strapotere del Governatore che ora paragonano a Mugabe, e che d’altro lato non hanno esitato a barattare l’identità stessa del loro partito di riferimento con qualche altro anno di permanenza al potere. La sinistra italiana non aveva bisogno di un nuovo partito, aveva bisogno di un nuovo gruppo dirigente: peccato non averlo capito un anno e mezzo fa….
3 Sergio Ravaioli
11 Settembre 2008 - 09:32
Ai tempi dell’ultimo congresso DS ero senza tessera DS da ormai diversi anni.
Peraltro il progetto PD mi convince abbastanza: non ho aderito perchè la “governance” (cioè il gruppo dirigente e la gestione) mi sembra contraddire i principi che stanno alla base della sua fondazione.
Ciò che mi vede molto critico è l’inserimento nel Partito Democratico di Progetto Sardegna (se ho ben capito anche Raggio la vede così).
PCI-DS da una parte e Popolari-Margherita dall’altra hanno una “cultura politica” sostanzialmente uguale, e nessuno dei due si sogna di mettere in discussione il metodo della “democrazia partecipativa”.
Non così Progetto Sardegna, che svolge la parte della mosca nel latte.
Quando una mosca va a finire nel latte, le buone pratiche prescrivono che si butti il latte: questa è la mia preoccupazione (non solo mia).
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