Ci vuole l’Europa dei cittadini

4 Ottobre 2012
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Gianfranco Sabattini

Di recente, su “la Repubblica”, Ulrich Beck, noto sociologo e scrittore tedesco, ha pubblicato un lungo articolo a commento del manifesto-appello che tempo addietro aveva scritto, assieme a Daniel Cohn-Bendit: “L’Europa siamo noi, è il momento di costruirla”. L’appello, pubblicato su alcuni dei principali quotidiani europei (la Repubblica, Die Zeit, Le Monde, El Pais), accolto e condiviso da molte personalità della cultura e della politica, non ha suscitato molto interesse presso i cittadini tedeschi, come dimostra, secondo Beck, il “basso profilo” del dibattito seguito alla sua pubblicazione.
L’appello del manifesto invita ad aderire all’impegno per la realizzazione di un’Europa, che non sia l’”Europa della domenica, l’Europa senza europei”, ma un’”Europa di tutti i giorni, un’Europa dei cittadini, un’Europa dal basso; e non a parole, ma coi fatti”. In altri termini, l’appello invita ad aderire all’impegno per la realizzazione del disegno europeo dei “Padri fondatori”, nella consapevolezza però che una società civile europea non può essere creata sotto l’urgenza di rispettare determinati vincoli economici, per quanto gravi essi possano essere.
Se così fosse, verrebbe creata una società civile sotto il “segno della necessità” e non sotto il “segno della libertà di scelta”; della libertà cioè di scegliere di vivere in una società nella quale sia progressivamente allargata la consapevolezza dell’interdipendenza infragenerazionale ed intergenerazionale degli interessi esistenziali di tutti i cittadini ed un diffuso sentimento di empatia, utile all’allargamento e all’approfondimento della convivenza, dell’incontro e, soprattutto, dell’agire in comune, del dialogo e della condivisione di esperienze. Ciò perché, nel momento in cui il sentimento dell’empatia si diffonde e si radica nella coscienza dei cittadini dei singoli Paesi, è inevitabile, secondo Beck, che si abbia una considerazione cosmopolitica dei problemi esistenziali di tutti, come forma mentis di una reale ed effettiva società civile europea.
La crisi dell’euro, pertanto, non è solo una crisi economica, ma è anche crisi culturale, sociale e politica; per questo motivo, essa minaccia ab imis la coesione dell’Europa. Si tratta, perciò, di impedire non solo il crollo dell’euro, ma il fallimento delle realizzazione di una società civile europea, fondata sui valori dell’apertura al mondo e della tolleranza nei confronti dei diversi per trasformarli in vicini. L’Europa dei sogni non si può realizzare con l’”ombrello protettivo” del fondo salva-Stati; la sua irrealizzabilità allo stato attuale ha le sue radici nel fatto che sinora è stata costruita un’Europa “economica” senza europei. Ciò che manca, afferma Beck, è un’Europa dei cittadini; e per questo c’è bisogno del loro impegno per realizzarla.
Ma a non volere l’Europa dei cittadini sono soprattutto i tedeschi, a partire dalla loro Cancelliera, dai suoi ministri Wolfgang Schaeuble e Guido Westerwelle e da Thomas Schmid, editor del quotidiano conservatore “Die Welt”. Questi autorevoli esponenti della classe dirigente tedesca espongono tutti i cittadini del loro Paese al rischio di farsi interpreti dell’apologo contenuto nella celebre novella di Giovanni Verga, “La roba”, la cui trama può essere trasposta e riproposta come segue. Esisteva un Paese che, in un arco di tempo di oltre un cinquantennio, da una condizione di povertà, perché distrutto da un guerra della quale era stato uno dei massimi responsabili e dalla quale era uscito screditato per le atrocità commesse contro l’umanità, è passato a una condizione di Paese ricco. Con enormi sacrifici, fatti di disumane privazioni e durissimo lavoro, il Paese povero e screditato ha ricostruito la propria dignità a livello mondiale e la sua economia, risorgendo come l’Araba Fenice dal suolo patrio arso dalle bombe e partecipando entusiasta alla progettazione di un “Disegno europeo” per realizzare un’unione politica tra tutti i Paesi della vecchia Europa sconvolti dagli eventi bellici, al fine di creare le condizioni necessarie ad evitare i drammi dei decenni precedenti. Ma, successivamente, la ricchezza accumulata, la “roba”, è diventata per il Paese divenuto ricco la ragione stessa della sua vita e delle sue preoccupazioni più immediate e la conservazione della ricchezza accumulata un’ossessione che lo ha progressivamente perseguitato; sino al punto di non avere più tempo per pensare anche ai problemi degli altri, riservandolo per intero all’obiettivo di accumulare altre ricchezze.
Così, quando la crisi economica lo ha sorpreso e lo ha coinvolto, esso ha avuto un moto di ribellione ed è divenuto sprezzate nei confronti dei Paesi in stato di bisogno. Ciò perché, per l’ex Paese povero, la perdita della “roba” che gli era costata tanta fatica e sacrifici, è stata percepita egoisticamente come un dramma insopportabile. Quel Paese, o meglio gran parte della classe dirigente dell’attuale Germania Federale, prestigioso membro dell’Unione Europea, che si era riaccreditato al cospetto del mondo per l’empatia dimostrata originariamente nei confronti di tutti i Paesi in stato di bisogno, sta ora sacrificando la realizzazione del “Disegno” dei Padri fondatori dell’unità europea all’interesse immediato a conservare lo status quo, se non a farlo regredire alla situazione di conflittualità generalizzata tra “vicini” esistente all’inizio del XIX secolo.
Tuttavia, la responsabilità per il rischio della mancata realizzazione dell’unità politica dell’Europa e della costituzione di una società civile europea non ricade solo sulla Germania e sulla cecità politica di gran parte della sua classe dirigente attuale; ricade anche su molti altri Paesi europei e su gran parte delle loro classi dirigenti. Tra questi Paesi va annoverata anche l’Italia, che vede pochi adoperarsi per favorire la diffusione di un maggiore impegno di tutti a realizzare una condivisa e sentita identità europea, mentre sono in molti a brillare solo per la solerzia profusa nell’elaborare “marchingegni” consolatori, coi quali preparare la fuoriuscita dall’eurozona; un modo di operare, questo, che non contribuisce a realizzare l’Europa dei cittadini, ma concorre solo a creare una situazione politica tanto confusa da indurre le società di rating a declassare il Paese circa le sue possibilità di superare la crisi economica che l’affligge.
 

1 commento

  • 1 Elio
    4 Ottobre 2012 - 19:22

    Perchè ci rifugiamo sempre nei miti, “I Padri Fondatori”, “les citoyens”? I padri fondatori a cui si fa riferimento, risalgono a sessant’anni fa; “i cittadini” sono molto più anziani, bisogna riandare a quando arrivò “le jour de gloire”, all’ incirca 220 anni a oggi. Perchè siete così certi di conoscere il pensiero dei “fondatori”? Perchè avete letto i loro scritti? Mi pacerebbe leggerli, ancora una volta, con voi; considerate che gli ultimi cinqunt’anni, “il pensiero”, lo hanno completamente stravolto. Quanto a “les citoyens” di “marchons, marchons”, eh, se li hanno fatti marciare, anche al passo dell’oca: visto che parliamo di Tedeschi che pare vi piacciano, solo se morti di fame e solidali.

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