Lavoro: meglio evitare i referendum

3 Ottobre 2012
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Alfiero Grandi 

I promotori dei referendum sull’articolo 8 - voluto da Sacconi - e sull’articolo 18 (versione Fornero) dello Statuto dei lavoratori fanno sapere che presto inizierà la raccolta delle firme.
E’ bene discuterne in vista di un percorso impegnativo, che non sarà breve e influenzerà la prossima scadenza elettorale. Sarebbe un errore rinviare la discussione solo perchè non si potrà votare per i referendum prima del 2014. Meglio affrontare il problema per tempo.
Occorre distinguere tra merito dei referendum e opportunità dell’iniziativa.
Nel merito ci sono valide ragioni per sostenere la cancellazione di queste norme.
L’articolo 8 è un regalo velenoso del Governo Berlusconi, che ha puntato sulla divisione tra la Cgil e Cisl, Uil. Con questo articolo si può derogare dai contratti nazionali e dalle leggi sul lavoro, con accordi aziendali raggiunti anche solo con alcuni sindacati e senza verifica con i lavoratori. L’articolo 8 contraddice l’accordo tra le parti del 28 giugno 2011 che cercava - sia pure con fatica -  di avviare una regolazione delle relazioni sindacali dopo la devastazione pervicacemente perseguita dalla destra e, purtroppo, largamente subita. L’articolo 8 ha una coda che legittima gli accordi separati imposti dalla Fiat. Fiat che oggi neppure mantiene gli impegni portati a giustificazione di questa scelta sciagurata.
L’articolo 18 è sotto attacco da due decenni. La reazione della Cgil bloccò dieci anni fa il tentativo di manometterlo. Oggi la pressione della destra europea, sintetizzata nella lettera della Bce, ha ottenuto il risultato di ridurne fortemente la tutela dei lavoratori. Il reintegro del lavoratore licenziato è ancora possibile per decisione del giudice, ma non è più regola certa, neppure quando sono inesistenti le ragioni addotte dall’impresa per il licenziamento. E’ vero che l’obiettivo era di cancellare l’articolo 18. E’ vero altresì che ci sono già casi di licenziamenti di delegati e lavoratori iscritti alla Cgil che prima non erano pensabili. Il Governo Berlusconi aveva concordato la lettera della Bce. Il Governo attuale si è fatto interprete della pressione europea, senza grande fatica viste le affermazioni di Monti sulla funzione dello Statuto dei diritti del lavoratori dal 1970 ad oggi.
I partiti che si sono assunti  l’onere di approvare i provvedimenti del Governo Monti hanno trovato una mediazione, ispirandosi più o meno al modello tedesco.
Il risultato ottenuto non può entusiasmare i lavoratori. In ogni caso un nuovo parlamento e un nuovo equilibrio politico possono porsi l’obiettivo di superare quel risultato. Un conto è la mediazione nelle attuali condizioni politiche, altro è non vederne gli effetti discutibili.
Sul piano dell’opportunità della scelta le questioni sono più complesse.
I referendum del giugno 2011 sono stati un successo, a cui ho partecipato attivamente. Tutti i promotori sapevano che occorreva superare il fallimento dei referendum da 16 anni. Era giusto provarci perché non c’erano alternative. Senza il successo dei referendum, la gestione pubblica dell’acqua sarebbe stata compromessa e l’Italia si sarebbe infilata nella follia nucleare. La sfida è riuscita.
Quel successo oggi potrebbe non riproporsi e questo sarebbe un serio problema per i diritti dei lavoratori, per l’agibilità sindacale, per la struttura contrattuale, per il valore delle leggi che tutelano i lavoratori.
Lo schieramento di sostegno dovrebbe comprendere tutto il centro sinistra, politico e sociale. Per il risultato del giugno 2011 furono decisivi i movimenti ma lo furono altrettanto i partiti che appoggiarono i referendum, sia pure con diversi gradi di entusiasmo.
I referendum sulle questioni sindacali in passato non hanno avuto fortuna. Come per la scala mobile e l’estensione dell’articolo 18 alle piccole aziende. Qualche volta hanno fatto danni, anche se promossi da sinistra, con l’abolizione del diritto di rappresentanza anche senza la firma dei contratti, che oggi penalizza la Fiom, la Filcams, ecc. Senza dimenticare il referendum radicale sulle quote sindacali.
Occorre valutare questo problema. Per questo occorre discuterne serenamente. Il tempo che separa dal voto nel 2014 può consentire di trovare delle soluzioni legislative in grado di evitare la prova referendaria che potrebbe lacerare pesantemente sia il mondo del lavoro che il centrosinistra e potrebbe non portare al risultato sperato.
Mi riferisco al programma di impegni che dovrà prendere la futura coalizione di Governo. C’è chi sente maggiormente i vincoli della fase politica che si sta chiudendo. Tuttavia la promozione dei referendum apre una fase diversa per tutti, mobiliterà energie. E’ prevedibile che le firme per arrivare ai referendum ci saranno. Anche quelle di chi, pur perplesso sulla scelta della via referendaria, non farà mancare la scelta di campo a favore dei diritti dei lavoratori.
Lo scenario di qui a qualche mese sarà comunque diverso. Sarebbe bene che la coalizione che si candida a governare, pur in presenza di posizioni diverse, affrontasse il problema con un impegno comune a superare le condizioni legislative che sono all’origine del referendum.
 

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