Andrea Pubusa
Stamane è morto Emanuele Sanna, un protagonista della vita regionale nell’ultimo quarto di secolo. E, in questo periodo, specchio fedele della fase discendente della sinistra italiana e sarda. E proprio per questo, a caldo, non è possibile tracciare un profilo pensato di Emanuele, ma solo ricordarne il percorso politico.
Si scrive al PCI che è ancora studente universitario. A differenza di Luigi Cogodi, suo coetaneo e compagno di partito, vive il ‘68 in una versione “moderata” più con l’occhio alle riforme possibili che alle soluzioni più radicali. Da medico si iscrive alla CGIL e si batte per la diffusione del sindacato nel settore. Sono gli anni in cui parallelamente viene fondata la CGIL scuola e si allarga la presenza di questo sindacato nel pubblico impiego. Emanuele vive in questo periodo la sua stagione migliore, diviene un punto di riferimento per molti dei giovani medici, anche se nel periodo sorgono movimenti più radicali come “Medicina democratica”, che tuttavia gli rimangono estranei.
Il PCI, quando vede giovani di valore, non ci pensa due volte a lanciarli. E così, insieme a Luigi Cogodi, la variante movimentista del PCI di allora, approda in Consiglio comunale e, poi, senza soluzione di continuità nel 1979 in Consiglio regionale, dove sta per più di vent’anni. Alla sua seconda legislatura (1984) è presentato come capolista, seguito da Cogodi e da chi scrive, allora esponente del Pdup di Lucio Magri, ormai prossimo alla confluenza nel partito comunista. Eravamo sulla quarantina, la testa di lista e la lista (con la presenza di intellettuali del calibro di Francesco Cocco e di operai amati come Giovanni Ruggeri) ebbero un grande impatto e ci fu un travolgente balzo in avanti del PCI, insieme al forte successo del PSDAZ di Mario Melis. Mario divenne presidente della Regione, Emanuele del Consiglio regionale. E’ stata la legislatura più produttiva degli ultimi trent’anni. L’impianto delle discipline più importanti, dal territorio all’ambiente, alla trasparenza della pubblica amministrazione, sono di quegli anni.
Poi, lentamente, l’involuzione del PCI, dopo Berlinguer, la formazione del PDS e poi dei DS. Declino che attraversa anche le vicende personali dei giovani di allora. Molti lasciano. Cogodi, dopo molti tentennamenti, esce dal PDS. Emanuele ci resta e ne diventa uno dei massimi esponenti. Cambia anche il suo atteggiamento: dal riformatore deciso dei primi anni si trasforma, pian piano, in un riformatore moderato e poi, con la trasformazione del partito, in un notabile. E in questa sua condizione vive ed è specchio di tutti i travagli di tanti ex comunisti che hanno seguito D’Alema, Veltroni & C.
E’ rimasta però sempre in lui una naturale gentilezza ed una disponibilità all’ascolto anche dei compagni più modesti. Da buon pediatra era sempre disponibile a prendere la valigetta degli attrezzi e recarsi a casa a visitare il figlio di un compagno o amico. Non mancava di dare una mano a compagni ed amici nei casi personali e familiari più difficili.
L’ho incontrato un mese fà in via Sardegna e abbiamo fatto un tratto di strada insieme. Come sempre è stato molto cordiale e affettuoso. Questo era un suo tratto distintivo. E’ sempre stato nei modi un gran signore. A suo modo ha mantenuto il suo piglio riformatore dell’età giovanile. Ha lamentato l’involuzione della politica e mi ha confessato la sua difficoltà a stare nel nuovo ambiente. Mi ha detto - lui molto scafato - di sentirsi spesso smarrito e in un mondo di vipere. E certo lo pensava. Ricordò, con rimpianto, i tempi della comune militanza nel partito comunista, la cui vita - diceva - non era sempre rosa e fiori, ma era pur sempre caratterizzata da un’alta tensione morale e da un impegno incessante per il rinnovamento del Paese e il miglioramento della condizione di lavoratori.
Ormai, la sua parabola politica era esaurita. Eppure con Emanuele si spegne una delle figure che più ha incarnato il sogno progressista degli anni ‘70 e ‘80. I comunisti al governo, come alternativa al malgoverno democristiano. Per me che ho vissuto quella stagione dal di dentro è una perdita dolorosa. Emanuele era una di quelle persone che potevi contrastare (e, a un certo punto, ho contrastato) politicamente, ma che non potevi non apprezzare sul piano dei rapporti personali, che lui sapeva ben disgiungere dalla battaglia politica. E, perché, in fondo, lui rispettava chi aveva un’idea diversa dalla sua, che ben distingueva da chi invece era mosso soltanto dal proprio tornaconto.
Sit tibi terra levis, Emanuele.
1 commento
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1 Ottobre 2013 - 14:19
era un grande
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