Gianfranco Sabattini
In Francia, il dibattito sull’Europa, e più in particolare sulla crisi dei debiti sovrani, è stato un po’ “ovattato” dal fatto che, in parte, si è svolto nell’imminenza delle elezioni presidenziali del 22 aprile e del 6 maggio 2012. I due principali contendenti per la Presidenza della Repubblica, l’uscente Nicolas Sarkozy ed il socialista François Hollande, sostenevano entrambi posizioni sostanzialmente filoeuropee, ma le rispettive visioni dell’Unione differivano su molti punti. Tuttavia, la posizione filoeuropea sul piano politico del conservatorismo e della sinistra socialista democratica è sempre stato euroscettica, non sempre per “nobili” ragioni. L’euroscetticismo francese ha una sua origine storica; su di esso però si è innestata l’evoluzione di una politica contingente il cui perseguimento non sempre è stato in linea con la realizzazione del disegno europeo.
Le tre sconfitte subite ad opera dai prussiani nel 1870 e dei tedeschi nel 1914-1918 e 1939-1945, hanno segnato indelebilmente la memoria della Francia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il problema della nazione transalpina si è sempre identificato sul come difendersi dal possibile “risorgere” della Germania dalle ceneri della sconfitta patita. A tale scopo, prima ha partecipato nel 1949 alla fondazione della NATO e, alla fine degli anni Cinquanta, nel 1956 ha considerato la possibilità di una fusione con l’Inghilterra o all’entrata nel Commonwelth e, successivamente, nel 1957, ha sperato di fare della costruzione europea una “camicia di forza” per tenere sotto controllo la Germania federale.
Nel 1966, la Repubblica transalpina del Generale de Gaulle, dopo aver subito le umiliazioni della sconfitta di Dien Bien Phu, del fallimento dell’occupazione franco-inglese del Canale di Suez e del ritiro dall’Algeria, è uscita dal comando integrato NATO, nella prospettiva di poter meglio condurre una sua politica di potenza autonoma rispetto all’URSS e agli USA, con una crescente ostilità nei confronti del Regno Unito.
Nicolas Sarkozy, consapevole dei limiti del suo Paese nel condurre autonomamente con successo la politica di potenza riproposta da de Gaulle, è stato protagonista nel 2009 del rientro di Parigi nel comando militare integrato atlantico, con l’intento di poter conseguire un maggior coinvolgimento degli Stati della UE nella realizzazione di una difesa europea, in alternativa alla NATO e soprattutto alla superpuissance statunitense.
Nonostante l’apparente disponibilità ad aprirsi alla realizzazione del progetto europeo, l’ossessione della Germania ha continuato ad influenzare la politica francese, a tal punto che Parigi ha persino tentato di impedire nel 1989 l’unificazione della Germania e nel 1995 ha provveduto a completare il programma di esperimenti atomici nell’atollo di Mururoa per “miniaturizzare” il proprio arsenale atomico da imbarcare sui sommergibili in funzione antitedesca.
Il Trattato di Maastricht, sostenuto in particolare dai francesi nella speranza di poter compensare gli sconvolgimenti dell’equilibrio delle forze in Europa occidentale dopo la riunificazione tedesca, ha in realtà offerto l’occasione alla Germania per “regolare i conti” con Parigi; la Germania ha, infatti, imposto le modalità di attuazione del Trattato più favorevoli alla sua economia. La conseguenza di tutto ciò è stata che, a partire dal 2008, la crisi economica ha messo Berlino in una posizione di forza, tanto da rifiutarsi di seguire Parigi nell’operazione militare libica e di riuscire ad imporre il rigore nella tenuta dei conti pubblici ai restanti partner europei. La crisi ha così consentito alla Germania di acquisire la leadership nell’Unione europea ed è a fronte di questa situazione, sicuramente contraria alle aspirazioni della Francia, che Holland ha vinto le elezioni presidenziali. Ma i vecchi e i nuovi traumi e le contraddittorie aspirazioni della Francia (grandeur e integrazione europea) hanno lasciato scarsi margini alla speranza che le forze socialiste francesi possano esercitare un’azione decisiva sulla via dell’unione politica dell’Europa; per le ragioni che seguono.
E’ senz’altro vero che il neo-presidente ha mostrato sin dal suo insediamento una spiccata propensione a rivedere la governance europea attualmente vigente. Ma, all’interno del quadro politico francese, Hollande deve vedersela, da un lato, con la dura e radicale critica contro l’Unione europea del Front National, partito di estrema destra e xenofobo che propone addirittura una rinegoziazione dei trattati comunitari esistenti e l’uscita della Francia dall’euro per recuperare la sovranità monetaria ceduta con l’accettazione della moneta unica nel 1999; dall’altro, deve vedersela anche con un blocco di forze economiche e sociali influenti che, appare più interessato a realizzare un’”Europa mercato” piuttosto che ad un’”Europa politica”, perché sorretto dall’idea che la Francia possa perseguire la propria politica di potenza che, secondo alcuni osservatori interni, rifletterebbe non solo un antico retaggio, ma anche un istinto di sopravvivenza per i traumi subiti. Infine, Hollande, se potrà contare sull’appoggio della Conféderation Générale du Travail per premere perché a livello europeo i Trattati e gli accordi intergovernativi esistenti siano “ammorbiditi” in quanto considerati troppo incentrati sull’austerità e sulla disciplina di bilancio, non potrà non tener conto del fatto che la fiducia della società civile francese nei confronti dell’Unione europea è largamente minoritaria.
In conclusione, anche con la Francia di Hollande, la probabilità che l’unità politica europea possa essere realizzata in tempi brevi è destinata ad assumere valori prossimi a zero.
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