Sul PD e il centrosinistra sono pessimista

29 Settembre 2012
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Emanuele Macaluso

Valentino Parlato ha commentato sul manifesto (25 settembre 2012) un articolo di Alfredo Reichlin e uno mio, apparsi sull’Unità, molto diversi, dedicati al ruolo del Pd e del centrosinistra nella situazione politico sociale di oggi. Alfredo scrive spesso articoli interessanti sul ruolo che il Pd assolve per salvare il paese dalla rovina e dall’emarginazione dopo i governi della destra berlusconiana. La mia opinione è un po’ diversa: io metto il condizionale su quel che oggi il Pd e il centrosinistra potrebbero fare.
Metto il condizionale per una ragione che a me pare evidente: il Pd, così com’è in quasi tutte le regioni non ha i caratteri, la forza politica, i dirigenti, la consapevolezza e la tensione politica e morale per assolvere al ruolo che Alfredo gli assegna. Oggi, di fronte allo sfascio, alla corruzione, all’avventurismo della destra, il centrosinistra non appare un’alternativa reale. La presenza del governo Monti, dopo il disfacimento della coalizione berlusconiana, testimonia questa verità. E coloro i quali attaccano a testa bassa questo governo (il manifesto tra questi) non vedono che l’alternativa era il caos greco. La crisi della politica ( la turpe vicenda laziale è solo una delle tante facce del prisma) rende sempre più incerto l’avvenire di questo paese. In questi venti anni, dopo lo sfascio del sistema politico della prima Repubblica (espressione equivoca), a sinistra non c’è più stato un grande partito, come lo vediamo in tanti paese europei. Il Pds-Ds ha teso a stare al governo diluendosi nell’Ulivo e nelle Unioni prodiane per approdare nel Pd insieme alla Margherita: un partito senza radici, senza una base politico-culturale, senza riferimenti europei. Le piccole, modeste, insignificanti formazioni comuniste hanno oscillato tra governismo e radicalismo, spegnendosi nel nulla. E se non c’è un grande partito, radicato nella società di oggi, non c’è un riferimento alle forze che si vogliono rappresentare, non emerge un articolato blocco sociale, alternativo a quello conservatore che ha radici in tutto ciò che comunque resiste, per interesse o cultura, al cambiamento. Se oggi il maghetto di Firenze, raccoglie consensi è dovuto al fatto che al centro dei dibattiti per un «nuovo partito» c’è sempre stato un assioma: «discontinuità»: le ideologie del novecento sono morte e con loro i partiti che li esprimevano. E’ facile dire quel che non si vuole , più difficile è dire quel che si vuole e farlo in concreto. E’ questa la ragione per cui i partiti che abbiamo visto sono apparsi ( e lo sono stati) transitori verso l’ignoto. Non è un caso che oggi Renzi, proponendo rottamazione, discontinuità rispetto ai discontinuatori del Pd; proponendo discontinuità, perché non c’è più né sinistra né destra , ottiene consensi nel Pd e fuori. Tanti (tra questi anche il manifesto) pensano che la debolezza del Pd è testimoniata dall’appoggio al governo Monti. Io penso il contrario: un grande e forte partito , sicuro del suo essere, non teme, in una fase di crisi acuta, un compromesso con forze moderate se ha una prospettiva. Lo fece Togliatti per arrivare alla Repubblica e alla Costituzione, l’ha fatto il Spd in Germania. La debolezza del Pd non è nell’appoggio a Monti, ma nel modo in cui lo fa, tra essere e non essere; è nel fatto di non indicare una prospettiva, un futuro. La confusione è grande anche perché si sottovaluta il carattere della crisi. Vendola dice che «vuole rovesciare l’agenda Monti». Ma per fare cosa? Come regolerà i rapporti con l’Europa? Cosa propone per adeguare il welfare, che i liberisti vogliono liquidare, alle condizioni di oggi (allungamento della vita ecc.)? Cosa vuole fare con i conti pubblici? Nella stessa pagina in cui è apparsa la nota di Valentino, ho letto, sul tema, un ampio articolo di Alberto Burgio, in cui si analizza tutto senza nemmeno accennare ai caratteri della crisi economica e sociale che attraversa l’Europa e in modo particolare il nostro paese. Il professore nota che, dall’inizio degli anni novanta , «la corruzione diventa una componente strutturale del discorso pubblico» e assume un «ruolo decisivo» nell’implosione della prima Repubblica e la nascita della seconda. Insomma, scrive Burgio, tutto è corruzione non c’è più la questione sociale, il parlamento e i partiti vengono archiviati come ferri vecchi. L’analisi è in buona parte condivisibile, anche se Burgio non dice che oggi alfieri di questa campagna sono Di Pietro e il Fatto. Tuttavia, se la campagna sulla corruzione mette in crisi la politica vuol dire che questa è fragile ed inquinata. E se la sinistra non è in grado di fare emergere i temi sociali e quelli che attengono al funzionamento della democrazia una ragione c’è: non c’è un partito in grado di farlo. Burgio è uno studioso, ma cosa dire quando dopo tanti ragionamenti scrive: «Proviamo a trarre qualche conclusione. La prima è che i corrotti fanno parte a buon diritto di quanti fustigano la casta, reclamano la gogna , si appellano all’elite per un ripulisti meritocratico. E finalmente invocano il passaggio organico alla sovranità dell’esecutivo nel nome della ‘tecnica’. Rizzo, Stella, Grillo e Monti - tra loro assai più prossimi di quanto non confessino o non sospettino - dovrebbero concedere ai vari Lusi e Fiorito la tessera onoraria dei rottamatori della Repubblica costituzionale». Con queste «conclusioni» la critica che viene mossa «da sinistra» al governo Monti, e al Pd come ingrediente di questo minestrone, è inconcludente e alla fine inesistente. La sinistra italiana oggi conosce una totale incomunicabilità tra coloro che dicono di appartenervi . E non si vede luce. Valentino scrive che sono pessimista. E’ vero. Leonardo Scascia, a chi l’accusava di eccessivo pessimismo, diceva: se la situazione è pessima come si fa a non essere pessimista?

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