Porcile

27 Settembre 2012
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Andrea Pubusa

Porcile”. Ha detto bene, una volta tanto, l’Avv. Taormina, difensore di uno degli imputati, nel descrivere l’andazzo del Consiglio regionale del Lazio. Non c’è nei fatti, che pian piano si conoscono, solo un desiderio di soldi e ricchezza. C’è degrado, sfacelo morale. L’indebito arricchimento è sempre stato un cancro che ha attraversato l’amministrazione e gli amministratori. In tutte le epoche. Ci sono stati però periodi in cui si è trattato di devianze in seno ad un ambiente caratterizzato da sufficiente moralità. In altri, invece, è la normalità, e l’eccezione è l’esercizio della funzione pubblica come servizio per la comunità. Oggi, tutti gli indicatori ci dicono che attraversiamo una fase di questo secondo tipo. Il che è comprovato dal fatto che l’appropriazione smodata non solo è disposta con legge, ma che la legge la fanno gli stessi fruitori. Ed ancor di più che l’arricchimento non è volto solo a consolidare patrimoni, ma ad utilizzi, segno di depravazione e di forte degrado morale. Insomma, emerge un quadro di sfacelo individuale e collettivo. Porcile, appunto.
Si invocano rimedi. La legge anticorruzione. La reclamano i cittadini onesti. La sollecita il Presidente della Repubblica. C’è tuttavia un però, piccolo piccolo come una montagna. Chi deve deliberare la legge sono gli stessi che ora godono dei benefici. Vorranno privarsene? Vorranno tornare ad essere virtuosi? Potranno con un semplice scatto di dignità tornare a quel rigore che non fa parte della loro formazione? Si può con legge decretare il dominio della virtù?
Ma c’è un’altra controindicazione ancor più pesante. L’attuale degrado è frutto dei mutamenti strutturali della politica italiana negli ultimi vent’anni. Profeti e riformatori istituzionali improvvisati hanno lavorato a smantellare la rete organizzativa dei partiti che ha caratterizzato i primi cinquant’anni di vita repubblicana. Ora, tutti ammettono che il fenomeno delle tangenti scoperto da “Mani pulite” era volto, non sempre, ma generalmente a finanziare l’attività dei partiti. L’attenuarsi della militanza volontaria e l’esigenza di ricorrere a forme di pubblicità televisiva rendeva molto onerosa la politica e richiedeva fondi sempre più consistenti. Si trattava però di una corruzione “a fin di bene”, per alimentare un’attività  politica. Negli USA questi finanziamenti sono addirittura pubblici e volontari. Distrutta la rete dei partiti, oggi ognuno mette il malloppo nel suo conto personale. Pensa a sistemarsi. E nel frattempo a divertirsi con nani e ballerine.
In questo nuovo ambiente, è difficile individuare vie d’uscita. S’invoca il controllo esterno della destinazione dei fondi ai gruppi consiliari e parlamentari. Ma già questo è indice di degrado. Prima non era necessario perché c’era l’autocontrollo. Ricordo nel gruppo consiliare regionale del PCI che l’uso dei fondi era rigorosamente deciso dal gruppo e non contemplava orge o festini. Anzi spesso dovevamo mettere mano al portafoglio per finanziare congressi o eventi politici particolari (le feste de L’Unità, ad esempio). Dirò di più: noi consiglieri comunisti delegavamo il Gruppo al ritiro delle nostre indennità, ricevendo poi solitamente la metà, mentre l’altro 50% alimentava l’attività del partito e gli stipendi dei funzionari. Se mi è consentito un cenno personale. In dieci anni di presenza in Consiglio regionale, non ho mai saputo a quanto esattamente ammontasse la mia indennità, perché gestita dal Gruppo. Troppa virtù? No. Semplicemente l’idea che si stava lì per svolgere un servizio, essendo già un onore ed un privilegio l’elezione e il trattamento economico ancorché dimidiato.
Se non c’è una ripresa dell’idea che la politica dev’essere un fatto collettivo, non c’è riforma che tenga. La legge può far poco. Anzi, assecondare gli umori verso un taglio netto dei fondi per la politica può accentuare il male, mettendo la politica in mano ai grossi centri finanziari, come in larga misura è già oggi. Insomma, lo sbocco può essere, come in larga parte già è, il formarsi di una plutocrazia, mentre le classi deboli rimarranno ancor più senza voce e rappresentanza.

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