Carlo Dore jr.
Dal verde del pratone di Campovolo, Bersani prova a gettare uno sguardo sull’oltre-Monti, a declinare ai militanti accorsi al comizio conclusivo della Festa del PD il progetto che ha in mente per l’Italia di domani. Tra qualche ombra (specie nel passaggio relativo all’istituzione di un organo parlamentare preposto all’elaborazione di una riforma della seconda parte della Costituzione) e varie luci (legge anticorruzione e ripristino del reato di falso in bilancio; attribuzione della cittadinanza ai figli degli immigrati; centralità assoluta per i temi del lavoro e dei diritti sociali), la proposta del Segretario sa di buona idea. Realismo e razionalità per collocare i progressisti italiani in una posizione di sostanziale continuità rispetto ai programmi dei principali partiti socialdemocratici europei.
Eppure, un vago senso di inquietudine serpeggia tra le bandiere assiepate sotto il palco, tra i sorrisi dei volontari impegnati nei vari stand, tra i sostenitori incollati al computer o alla diretta di Youdem. Inquietudine per le sorti del Paese, dilaniato da una crisi sociale che si dimostra ogni giorno più profonda; inquietudine per le sorti del centro-sinistra, aggredito dall’esterno dalle invettive di Grillo e minacciato al suo interno dall’OPA lanciata da Renzi per la guida della coalizione. Inquietudine, sguardi che si perdono verso il cielo di Campovolo: cosa c’è nell’oltre-Monti?
C’è un Paese chiamato Italia, che il gelido rigore dei tecnici di governo ha salvato dalla schizofrenia dei mercati ma non dalle diseguaglianze figlie tanto della drammatica congiuntura economica quanto delle sciagurate politiche imposte sub divo Berluscone. Ci sono i lavoratori del Sulcis, che trasformano in odio e furore la frustrazione collegata alla mancanza di tutele e al vuoto di rappresentanza da cui si sentono strangolati. E c’è un partito, il PD, che non è in grado di colmare questo gap di rappresentanza, ingessato com’è tra le ragionevoli posizioni di Damiano e Fassina e le istanze ultraborghesi di quell’area moderat, sempre disposta a strizzare l’occhio a Fornero e Passera.
Lavoro, diritti, tutele, giustizia, crescita: la proposta di Bersani sa di buona idea, ma rischia di dissolversi nella folle ordalia delle primarie aperte, terra di conquista per cacicchi affamati di visibilità e per giovani semi-leader dal sorriso facile. Il camper di Renzi parte da Verona: battute al vetriolo e pacche sulle spalle, smargiassate tipiche del miglior Grillo e magnetismo degno del primo Berlusconi. Rinnovamento, rottamazione, tutti a casa: non si discute, il Sindaco di Firenze è un abilissimo moltiplicatore di consensi. Piace ai pasdaràn del rinnovamento ad ogni costo, ansiosi di intraprendere una nuova crociata anti-casta; piace agli scanzonati rampolli del giovanilismo glamour, lontani anni luce dalla storia e dagli schemi semantici della sinistra italiana; piace ai conservatori ultraliberisti, che ravvisano nello slogan “adesso” un richiamo all’epoca d’oro di Regan; e piace ai sostenitori della destra più greve, favorevolmente impressionati dall’endorsment pro-Matteo pronunciato da una pasionaria come Daniela Santanchè.
Partito giovane, leggero, moderno, post-ideologico: la rottamazione di Renzi è tutta qui, pericolosamente sospesa tra moderatismo e qualunquismo. La rottamazione è tutta qui, e suscita inquietudini: che succede se vince Renzi? Chi rimarrà a parlare di lavoro, di diritti, di tutele, di giustizia, di progressismo europeo? Chi si farà carico di dare una risposta a quel “ci avete abbandonato!” urlato dai lavoratori del Sulcis in faccia ai palazzi del potere? Chi resterà, in una parola, ad assicurare una prospettiva a quel che resta della sinistra in Italia?
Lavoro, diritti, tutele, giustizia: in una parola, democrazia. La proposta di Bersani sa di buona idea, ma è un’idea che può svanire da un momento all’altro, inghiottita dal personalismo esasperato che contraddistingue le primarie made in Italy, cancellata dalle mille incertezze che si palesano allo sguardo proiettato sull’oltre-Monti. “Ci avete abbandonato!”: quel grido di dolore suona come un’estrema richiesta di aiuto, di rappresentanza, di prospettiva che proviene da un Paese in fiamme, allo stato incapace di guardare all’oltre-Monti.
Lavoro, diritti, tutele: la proposta di Bersani sa di buona idea, perché sembra offrire la prospettiva di un Paese diverso. Oggi come non mai, c’è bisogno di una prospettiva: per la povera sinistra, e per la povera Italia.
1 commento
1 Aligusta
19 Settembre 2012 - 16:21
Dopo aver letto questo post sono sempre più convinto che alle primarie (sempre se si faranno) voterò Renzi. Se si afferma che Bersani e chi lo sostiene, al grido di lavoro diritti tutele etc, siano veri democratici, allora vuol dire che Renzi è “meno democratico”. Se non ci si scaglia con vigore e livore contro il precedente governo e il suo leader allora si è “ammiccanti” e tendenzialmente contigui a quella parte politica, che tra l’altro si sta sgretolando con le proprie mani. Non ho mai votato a destra (nè mai lo farò), non sono un pasdaràn del rinnovamento ad ogni costo, nè tantomeno un rampollo del “giovanilismo glamour” (ma che vuol dire?), eppure ne ho abbastanza di questa supposta superiorità della sinistra, di sentire o leggere aggettivi come “ultraborghese” o “ultraliberista”. Ho visto Fassina, tutt’altro che un dinosauro della politica”, cacciato in malo modo dagli operai Alcoa a Roma e ho pensato ecco, sveglia, siamo nel duemiladodici e non negli anni settanta del novecento. Forse ci sono altri strumenti (e un altro linguaggio) per affrontare le difficoltà attuali e future, bisogna essere pronti e non penso che chi guida attualmente il PD lo sia.
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