Col Sulcis, coi lavoratori, ma disarmati

12 Settembre 2012
Nessun commento


 Andrea Pubusa

Trascorrere le vacanze nel Sulcis, al centro della crisi, dà strane sensazioni. Ti fa  sentire un pezzo di merda perché non puoi far nulla per i lavoratori che lì, poco lontano da te, lottano. Perchè stai come una lucertola al sole, partecipando alla loro sofferenza solo col pensiero, mentre, nella realtà, vivi il grande privilegio della normalità. Di quella tranquilla normalità, che oggi, in mezzo a questo mare di disagio e sofferenza, è diventata un fatto speciale, tanto eccezionale da generare quasi uno stupido senso di colpa per quell’innocente ozio agostano che, fino a poco tempo fà era alla portata di tutti, almeno anche di chi lavorava a P. Vesme.
Insomma, me la sono e me la passo male, leggendo di operai  che salgono nei punti più alti delle loro fabbriche o nei punti più profondi delle miniere. Sù e giù alla ricerca di fatti clamorosi che scuotano l’opinione pubblica e perforino il muro d’indifferenza di un ceto politico ormai solo autoreferenziale e di una stampa che insegue solo le loro beghe.
Nei nostri paesi, che amo vedere casa per casa, cogliendo i dettagli rimasti dell’antica cultura contadina, tutto è in vendita, case vecchie e nuove, perfino i grezzi delle costruzioni, segno di un progetto non solo edilizio, ma di vita, interrotto. C’è desolazione in quell’incessante serie di cartelli “vendesi”, in quello sproporzionato numero di case chiuse, abbandonate. E c’è desolazione nei ristoranti sempre mezzo vuoti. Anzi, alcuni preventivamente chiusi, per l’impossinilità di avere d’estate un pò di guadagno per l’inverno.
Dalle altre zone dell”Isola e dal Paese non giungono notizie più incoraggianti. Lo sfascio è continuo e inarrestabile. Se dal Sulcis partono per non tornare 50 persone al mese, nel Paese, ogni giorno, sono mille posti di lavoro in meno. Monti mente e lo sa, quando parla di ripresa e di crescita. Oltre che un macellaio sociale, indifferente  alle sorti dei lavoratori, messo lì per fare il lavoro sporco, senza responsabilità politica, è un bugiardo dichiarato: la ripresa c’è, ma è sempre rinviata di un anno! 
Chi ha vissuto nel Sulcis agli smantellamenti, alle chiusure e alle partenze di massa è abituato. L’agonia delle miniere lenta e inesorabile degli anni ‘50-’60,  cui non si è riusciti a porre argine, nonostante le lotte unitarie e popolari, sono stampati nella memoria dei meno giovani. Ma allora c’erano grandi partiti, dirigenti veri, grandi  e piccoli, centri di vita sociale e di elaborazione. E c’era lo Stato. La politica poteva decidere le alternative. E’ nato così a P. Vesme il polo dell’alluminio. Una produzione strategica per il paese per rimpiazzare produzioni altrettanto strategiche, ma ormai obsolete e non più economiche (le miniere). Oggi lo Stato non c’è, demolito dai colpi precisi e mirati dell’iperliberismo. Oggi, allo Stato è preclusa qualsiasi decisione, anche quella più elementare di dare ad Alcoa, energia sottocosto. Una goccia nel mare della spesa pubblica, ma “aiuto di stato” vietato dalla Unione Europea, diventata ormai il becchino delle aree in crisi. La dea concorrenza non consente interventi per creare o salvare il lavoro. Dovrebbe essere la mano invisibile del mercato a mettere le cose a posto. Ma queste son cose a cui neppure il buon Adam Smith credeva. E a ragione. Lo sfascio che ci  circonda ne è la prova più evidente, ma non ancora sufficiente a indurre di voltar pagina.
Al resto ci abbiamo pensato noi, inebriati dalle ventate di liberismo, abbiamo ritenuto bello e utile smantellare partiti e reti organizzative, creati con un secolo di lotte e millimetricamente aderenti al territorio a presidio dei diritti e della dignità dei lavoratori.
Oggi ai lavoratori non rimane che salire in alto o scendere in basso per farsi ascoltare, segno della loro solitudine e della loro subalternità irrimediabile, senza alle spalle un partito dei lavoratori. Senza una coscienza di classe e senza la pretesa di sostituirsi ad una borghesia ingorda e distruttiva,  son preda di questo o quell’altro ciarlatano.
Uscire dal tunnel, in queste condizioni, non sarà semplice. Possiamo contare solo sulla mobilitazione e sulla lotta delle popolazioni. Dobbiamo essere tutti mobilitati, anche se non abbiamo più sedi e luoghi per manifestare il nostro impegno e la nostra volontà di lotta.   

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento