Gianfranco Sabattini
Da tempo in Italia si discute della necessità di pervenire presto alla completamento dell’integrazione europea con la realizzazione di uno Stato federale; ciò, al fine di governare meglio i rapporti economico-finanziari fra gli Stati membri attraverso una politica fiscale e monetaria comune. Non c’è editorialista che non concluda il suo “pezzo” sulla crisi che non esorcizzi la liberazione dal “male comune” invocando l’urgenza di portare a compimento il “disegno di un’Europa unita”. L’esorcismo è esercitato ovviamente nei confronti del Paese, la Germania”, che nella percezione dei Paesi in crisi è considerata la personificazione del “Male”.
Sulla necessità che occorra una maggiore integrazione delle politiche pubbliche degli Stati, pochi membri della società civile europea non sarebbero d’accordo; si tratta però di stabilire, almeno nel breve periodo, una volta per tutte, che tipo di integrazione si desidera; se si desidera, cioè, arrivare al più presto all’integrazione politica, ovvero ad una maggiore integrazione dell’azione intergovernativa degli Stati dell’eurozona. Non è una questione da poco, perché se risultasse che il Paese centrale dal punto di vista economico dell’Europa, la Germania, non desidera l’integrazione politica, allora gli sforzi degli altri Paesi membri più coinvolti nella crisi devono essere orientati in modo diverso, per cercare con una determinazione maggiore di quanto non abbiano fatto sinora come realizzare, in alternativa all’unione politica, l’integrazione delle politiche pubbliche nazionali, nella certezza che la Germania l’integrazione politica non la vuole e non la vogliono neppure quelle forze politiche tedesche che tradizionalmente sono considerate filoeuropee. A tal fine, è sufficiente riportare il pensiero che un esponente di prestigio del mondo politico tedesco, Helmut Schmidt, ha pronunciato, in modo appassionato, nel “Discorso di apertura al Congresso SPD” nel dicembre 2011.
L’ex Cancellire, partendo dalla considerazione che la crisi dei debiti sovrani e le conseguenti misure eccezionali prese per fronteggiarla stanno fortemente influenzando le aspettative delle classi politiche e della società civile europea in merito al processo di integrazione comunitaria, ha affermato che “nel futuro prossimo la Germania non sarà un Paese normale. Di fronte a noi c’è il nostro immenso, per quanto irripetibile, carico storico. E oltre a ciò abbiamo di fronte la nostra posizione centrale, preponderante sul piano demografico ed economico… Noi tedeschi non abbiamo sufficientemente chiaro che quasi tutti i nostri vicini manterranno probabilmente una diffidenza latente nei confronti dei tedeschi ancora per molte generazioni”. E quanto più, ha continuato Schmidt, nel corso degli anni la Germania acquisterà peso economico, militare e politico, “tanto più l’integrazione europea diventava agli occhi dei governanti dell’Europa occidentale un’assicurazione di fronte a una preponderanza della potenza tedesca”. E se “guardiamo la Germania – ha continuati Schmidt - alla fine del 2011 dall’esterno, con gli occhi dei nostri vicini prossimi e meno prossimi, essa suscita da un decennio una sensazione di disagio, e anche nuovamente di preoccupazione politic…Ciò è imputabile al fatto che si è prodotto un serio squilibrio nel nostro sviluppo, vale a dire un perdurante avanzo del nostro bilancio commerciale e del nostro bilancio delle partite correnti. Questi avanzi rappresentano sono in realtà i deficit degli altri. I crediti, che noi abbiamo nei confronti degli altri, sono i loro debiti. Si tratta di una seria lesione dell’equilibrio dell’economia internazionale, finora da noi elevato a ideale normativo. Questa violazione non può non inquietare i nostri partner. E suscita cattivi ricordi”. E “se noi tedeschi ci lasciassimo condurre, sulla base della nostra forza economica, a rivendicare un ruolo politico di direzione in Europa o anche solo una funzione di primus inter pares, una crescente maggioranza dei nostri vicini si difenderebbe decisamente contro questa prospettiva. La preoccupazione della periferia rispetto a un centro dell’Europa troppo forte si ripresenterebbe molto rapidamente. Le probabili conseguenze di un tale sviluppo sarebbero devastanti per l’Unione europea. E la Germania cadrebbe nell’isolamento. La Repubblica federale tedesca, per quanto molto grande ed efficiente, ha bisogno dell’inserimento nell’integrazione europea –anche per la protezione da se stessa!”
“In conclusione, certamente anche nel XXI secolo l’Europa consisterà di Stati nazionali, ognuno con la sua lingua e la sua storia. Perciò dall’Europa non sorgerà alcuno Stato federale [Bundesstaat]. Ma l’Unione europea non può nemmeno deteriorarsi in una mera lega di Stati [Staatenbund]. L’Unione europea deve restare un’unione [Verbund] dinamica che si sviluppa. Non vi è nella storia dell’umanità alcun esempio precedente. Noi socialdemocratici dobbiamo contribuire allo sviluppo graduale di questa unione [Verbund]”.
Un discorso sul futuro dell’unità politica europea poteva essere più chiaro? Come devono esprimersi i tedeschi per annunciare al mondo che di integrazione politica non vogliono saperne? A questo punto è inutile che i Paesi della periferia europea continuino ad evocare che in assenza, almeno nel breve periodo, dell’integrazione politica, la Germania con le sue pretese stia potando L’Europa verso una situazione nella quale i diktat di Berlino assomigliano sempre più, come ha osservato Massimo Riva su “la Repubblica”, evocando Von Clausewitz, “alla continuazione di una guerra con altri mezzi”, per cui “se non si vuole replicare l’imbelle recita dei Daladier e dei Chamberlain a Monaco, sta ai leader del resto d’Europa impedire che la Germania, una volta di più, faccia del male a se stessa e agli altri”. Si, è così; ma i leader del resto d’Europa devono smetterla di evocare sempre la necessità di una unione politica che il loro partner principale non vuole e inaugurino, come suggeriscono Mario Draghi e Giuliano Amato, un’azione politica che, raccordata con le forze politiche tedesche autenticamente europee, porti in tempi brevi non solo ad una maggiore integrazione delle politiche nazionali, ma anche alla loro pronta attuazione.
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