Andrea Raggio
Dopo quel che ha detto alla Festa di Reggio Emilia non ci possono essere dubbi: Matteo Renzi si candida alle primarie del PD non per vincerle ma per farle perdere a Bersani. Non per vincerle, perché è assai improbabile che raggiunga il 51% dei consensi e lui lo sa bene, mentre i voti sottratti a Bersani non con una sana competizione su scelte di governo, quella che davvero arricchisce e sprona al rinnovamento, ma con una guerriglia condotta a suon di demagogia e insinuazioni e con scarsa creanza, provocano soltanto un indebolimento di questa candidatura. Giova al PD, giova al suo rinnovamento, giova al Paese? Non mi pare. E allora perché questo comportamento? Misteri della politica sguaiata e casinista alimentata dalla tracimazione dei veleni berlusconiani anche nel campo del centrosinistra.
Le primarie, si dice, anche se impasticciate, aiutano comunque a portare il potere decisionale alla base. Ricordo un episodio della mia vita politica. Nella primavera del 1989 già si parlava di candidature alle imminenti elezioni europee. Dissi per tempo che non volevo essere ricandidato. Il lavoro parlamentare in un piccolo gruppo come il nostro era particolarmente gravoso, dovevamo sforzarci di coprire al meglio tutti i campi della politica europea curando nello stesso tempo il rapporto con gli elettori dei diversi Paesi e del collegio. Non me la sentivo di rifare il pendolare per altri cinque anni. Ma i compagni insistettero per la ricandidatura argomentando che con la mia assenza si sarebbe corso il rischio di lasciare scoperto il campo della politica regionale. Dovetti, quindi, rinunciare al proposito. Ma inopinatamente un compagno contrappose la sua candidatura alla mia. Sono giovane, argomentò, e voglio fare anch’io quell’esperienza. Non nascosi il disagio e ritirai immediatamente la candidatura. Intervenne la direzione che mi costrinse a mantenere il campo. Se il partito, disse, ti chiede di impegnarti in una seconda legislatura perché sei utile al futuro assetto del gruppo, il quale dopo le elezioni sarà notevolmente rinnovato, non te la puoi cavare rifiutando. Comprendiamo il tuo disagio, ma rimettiti alla decisione del Comitato regionale. Il quale, dopo aver sentito le sezioni, discusse con piena conoscenza degli aspetti politici e personali del problema e senza sbavature demagogiche. Infine decise con votazione a scrutinio segreto. Io fui ricandidato e rieletto. La vicenda non influì per niente sull’andamento delle elezioni perché fu gestita responsabilmente e non finì strumentalizzata all’esterno.
Domanda: è più democratico il PD d’adesso che rimette le sue decisioni alle primarie, a queste primarie, o lo era il PCI d’allora che consultava le sezioni ma decideva negli organi dirigenti? Intendiamoci, non voglio dire che il centralismo democratico e il metodo del rinnovamento nella continuità fossero il meglio della democrazia. E non intendo negare la necessità di accompagnare la democrazia rappresentativa con forme sempre più diffuse e incisive di democrazia diretta. Dico, però, che le primarie così come si praticano oggi non sono un più di democrazia ma un surrogato di democrazia, un ripiego al quale si è costretti dal deficit di vita democratica interna dei partiti. E il surrogato se non è di buona fattura e ben dosato rischia di produrre assuefazione e danni.
Bersani ha fatto bene ad anticipare tutti annunciando che, in deroga alla norma statutaria, avrebbe rimesso la sua candidatura alle primarie di coalizione. Se non lo avesse fatto i soliti bastian contrari avrebbero tratto pretesto per altri attacchi strumentali. Le primarie, è stato promesso, saranno regolate da apposite norme. Speriamo che almeno su queste Renzi sia d’accordo.
6 settembre 2012 Andrea Raggio
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