Latouche? Suggestivo, ma è meglio il riformismo

5 Settembre 2012
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

La crisi attuale ha l’effetto di promuovere e di diffondere movimenti spontanei di “arrabbiati”; ma anche quello di spingere i “movimentisti protestatari” a condividere idee e proposte che non sono in grado di offrire alcuna via di uscita reale dalle pastoie disgregatrici sul piano sociale e politico della crisi economica in atto. Tali sono, ad esempio, le idee e le proposte che da tempo vengono propagate da Serge Latouche.
Il sociologo-economista francese nel saggio Per un’abbondanza frugale (2011), riprende le conclusioni delle sue precedenti analisi per ribadire l’errore dei governi quando rinvengono la soluzione delle crisi economiche e finanziarie dei sistemi sociali avanzati nell’austerità, ma anche l’errore delle opposizioni quando valutano che la soluzione possa passare attraverso un rilancio dell’economia. Sia l’austerità che il rilancio sarebbero solo gli assi portanti di un “programma socialdemocratico” privo di credibilità, in quanto nessun partito per la sua attuazione sarebbe in grado di mettere in discussione la “camicia di forza del neoliberismo” posta a guardia della logica della crescita illimitata.
Per uscire dalla crisi della società dei consumi e costruire una società di abbondanza frugale occorrerebbe, per Latouche, mettere in discussione i fondamenti dell’economia, per ricondurla nel sociale e nel politico e renderla così “servitrice” della società coscientemente diretta. Uscire perciò dalla società della crescita per entrare in quella della decrescita significa affrontare una grande trasformazione che non dovrebbe essere l’esito dell’impegno e dell’azione di élite politiche o culturali coscienti delle minacce che incombono sull’umanità intera, ma il risultato di iniziative popolari le più estese possibili, capaci di “rincantare il mondo” e di corredare le buone argomentazioni di “ingredienti di natura spirituale”, quali la poesia, l’estetica e l’utopia concreta. Tutto ciò perché la scommessa della decrescita dovrebbe essere anche una scommessa sulla maturità degli uomini contemporanei.
Latouche, come nelle sue precedenti analisi, si limita ad elencare una sequela di critiche nei confronti del capitalismo, offrendo uno “scudo ideologico” a quanti da posizioni spontaneiste e movimentiste criticano la logica di funzionamento della società della crescita, senza mai indicare però, concretamente, le procedure attraverso le quali fuoriuscire da tale logica. Egli, infatti, indica solo un “orizzonte di senso” a quanti hanno a cuore la critica del capitalismo, ma non anche una sua possibile riforma per il superamento degli effetti indesiderati.
Un’analisi meno intrisa di prevenzioni ideologiche consentirebbe, per esempio, di riconoscere che il riformismo istituzionale e sociale potrebbe portare alla creazione di una società, non solo più frugale di quanto non lo sia la società della crescita, ma anche ad una organizzazione istituzionale aperta all’accoglimento delle istanze proprie di tutti i movimenti popolari spontanei, fuori però dagli “sconvolgimenti” organizzativi delle società moderne ai quali Latouche lega il successo delle sue idee e delle sue proposte. A tal fine sarebbe sufficiente poter vivere una “rivoluzione culturale” che abbia a suo fondamento la critica della logica capitalista e dei suoi effetti disgregativi sul piano sociale e distruttivi sul piano ambientale. L’obiettivo dovrebbe essere non la distruzione della logica e delle istituzioni plasmate dall’umanità per fare fronte ai propri stati di bisogno, ma la creazione di un nuovo modo di produzione e di distribuzione del prodotto sociale, prevalendo il quale la valorizzazione esclusiva del capitale cesserebbe di condizionare il governo democratico dei sistemi sociali capitalisti.
In questa prospettiva un’azione socialista-riformista-democratica sarebbe utile proprio per il suo possibile contributo al superamento della moderna tendenza verso la quantificazione dei risultati economici a spese dell’apprezzamento delle loro differenze qualitative. Questa prospettiva potrebbe assicurare all’umanità un orizzonte che abbia un effettivo “valore di senso”, in quanto legittimante a livello mondiale un processo di disaccumulazione, inteso però come processo di uscita dalla logica di funzionamento del capitalismo, il quale sinora ha concorso a far sì che il 2% della popolazione possegga oltre la metà di tutta la ricchezza; squilibrio questo che alimenta la conservazione di una eccessiva finanziarizzazione della ricchezza accumulata, causa principale della crisi attuale e del continuo aumento della povertà.

La crisi attuale ha l’effetto di promuovere e di diffondere movimenti spontanei di “arrabbiati”; ma anche quello di spingere i “movimentisti protestatari” a condividere idee e proposte che non sono in grado di offrire alcuna via di uscita reale dalle pastoie disgregatrici sul piano sociale e politico della crisi economica in atto. Tali sono, ad esempio, le idee e le proposte che da tempo vengono propagate da Serge Latouche.
Il sociologo-economista francese nel saggio Per un’abbondanza frugale (2011), riprende le conclusioni delle sue precedenti analisi per ribadire l’errore dei governi quando rinvengono la soluzione delle crisi economiche e finanziarie dei sistemi sociali avanzati nell’austerità, ma anche l’errore delle opposizioni quando valutano che la soluzione possa passare attraverso un rilancio dell’economia. Sia l’austerità che il rilancio sarebbero solo gli assi portanti di un “programma socialdemocratico” privo di credibilità, in quanto nessun partito per la sua attuazione sarebbe in grado di mettere in discussione la “camicia di forza del neoliberismo” posta a guardia della logica della crescita illimitata.
Per uscire dalla crisi della società dei consumi e costruire una società di abbondanza frugale occorrerebbe, per Latouche, mettere in discussione i fondamenti dell’economia, per ricondurla nel sociale e nel politico e renderla così “servitrice” della società coscientemente diretta. Uscire perciò dalla società della crescita per entrare in quella della decrescita significa affrontare una grande trasformazione che non dovrebbe essere l’esito dell’impegno e dell’azione di élite politiche o culturali coscienti delle minacce che incombono sull’umanità intera, ma il risultato di iniziative popolari le più estese possibili, capaci di “rincantare il mondo” e di corredare le buone argomentazioni di “ingredienti di natura spirituale”, quali la poesia, l’estetica e l’utopia concreta. Tutto ciò perché la scommessa della decrescita dovrebbe essere anche una scommessa sulla maturità degli uomini contemporanei.
Latouche, come nelle sue precedenti analisi, si limita ad elencare una sequela di critiche nei confronti del capitalismo, offrendo uno “scudo ideologico” a quanti da posizioni spontaneiste e movimentiste criticano la logica di funzionamento della società della crescita, senza mai indicare però, concretamente, le procedure attraverso le quali fuoriuscire da tale logica. Egli, infatti, indica solo un “orizzonte di senso” a quanti hanno a cuore la critica del capitalismo, ma non anche una sua possibile riforma per il superamento degli effetti indesiderati.
Un’analisi meno intrisa di prevenzioni ideologiche consentirebbe, per esempio, di riconoscere che il riformismo istituzionale e sociale potrebbe portare alla creazione di una società, non solo più frugale di quanto non lo sia la società della crescita, ma anche ad una organizzazione istituzionale aperta all’accoglimento delle istanze proprie di tutti i movimenti popolari spontanei, fuori però dagli “sconvolgimenti” organizzativi delle società moderne ai quali Latouche lega il successo delle sue idee e delle sue proposte. A tal fine sarebbe sufficiente poter vivere una “rivoluzione culturale” che abbia a suo fondamento la critica della logica capitalista e dei suoi effetti disgregativi sul piano sociale e distruttivi sul piano ambientale. L’obiettivo dovrebbe essere non la distruzione della logica e delle istituzioni plasmate dall’umanità per fare fronte ai propri stati di bisogno, ma la creazione di un nuovo modo di produzione e di distribuzione del prodotto sociale, prevalendo il quale la valorizzazione esclusiva del capitale cesserebbe di condizionare il governo democratico dei sistemi sociali capitalisti.
In questa prospettiva un’azione socialista-riformista-democratica sarebbe utile proprio per il suo possibile contributo al superamento della moderna tendenza verso la quantificazione dei risultati economici a spese dell’apprezzamento delle loro differenze qualitative. Questa prospettiva potrebbe assicurare all’umanità un orizzonte che abbia un effettivo “valore di senso”, in quanto legittimante a livello mondiale un processo di disaccumulazione, inteso però come processo di uscita dalla logica di funzionamento del capitalismo, il quale sinora ha concorso a far sì che il 2% della popolazione possegga oltre la metà di tutta la ricchezza; squilibrio questo che alimenta la conservazione di una eccessiva finanziarizzazione della ricchezza accumulata, causa principale della crisi attuale e del continuo aumento della povertà.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento