Salvatore Cadeddu e la congiura di Palabanda

8 Agosto 2012
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Questa voce è tratta dal volume di Vittoria Del Piano, Giacobinmi8, moderati e reazionari in Sardegna (1793-1812), 1996, Edizioni Castello. 

CADEDDU SALVATORE * avvocato,  nato e residente a Cagliari, nel quartiere di Stampace, e battezzato nella chiesa di Sant’Anna il 10 novembre 1747 con i nomi di Salvador Miguel Ioachin ]oseph Franci, figlio di Giorgio e di Maria Ignazia Chicu; prima di lui era stato battezzato, il 14 febbraio 1745, Salvador Agustin lgnacio morto probabilmente prima della sua nascita. Coniugato nel 1773 con Anna Putzu il cui padre Giuseppe Ignazio era marmorar0″, diventa padre di nove figli,   quattro dei quali morti in giovanissima eta e tre, Luigi, Gaetano ed Efisio coinvolti col padre e con lo zio Giovanni nella congiura del 1812.) ”Contadore” della citta di Cagliari dal marzo del 1773, procuratore della citta di Alghero, membro dello Stamento reale, democratico, condivide le idee di rinnovamento di Angioy. E’ nominato nel 1795 primo consigliere civico, carica che da diritto ad essere Vice dello Stamento reale, in sostituzione del dottor Raimondo Lepori, sospeso dall’incarico per aver fatto mancare il pane nei quartieri della Marina e di Villanova; tale penuria il 31 marzo aveva dato luogo ad un tumulto di popolani che chiedevano di essere ricevuti dal viceré, il quale sospetta pero che l’agitazione sia stata provocata dai “malcontenti” per la non risolta questione degli iinpieghi da conferire ai sardi. Nel suo ”Possesso fuori del Borgo di Stampace vicino al Convento Maggiore dei P.P.Cappuccini di questa citta nel luogo denominato Palabanda, che contiene una fontana con casuccie ad uso di  contadini, un giardino e campi di seminare che a semenza di grano renderanno da sei in sette starelli”, si riuniva uno dei quattro club giacobini della citta, frequentato prevalentemente da studenti e dai frati Rainaldi cappuccino e Cara agostiniano; in due club almeno, il suo e quello di Matteo Luigi Simon, secondo Cherchi Paba, si respirava “aria di loggia massonica”, ipotesi smentita da molti storici. Approva, con altri membri dello Stamento reale, la lettera di ringraziamento da inviare al re nell’aprile del 1795 per la concessione delle quattro “mitre” da assegnare a sardi per le cattedre vescovili di Cagliari, Oristano, Sassari ed Alghero, e per manifestare l’adesione alla sospensione delle Cortes, la cui convocazione era stata 
richiesta con la prima delle cinque domande presentate al re dopo la vittoria sui francesi del 1793 (v. Antonio Sircana); come prima voce del suo Stamento esprime parere favorevole alla sospensione delle patenti dei giudici sassaresi Flores, Sircana e Fontana e sottoscrive il 6 luglio, per lo Stamento reale, con le prime voci degli Stamenti ecclesiastico e militare, rispettivamente l’abate di San Giovanni di Sinis ed il marchese di Laconi, una ”memoria” per invitare il viceré, al fine di contribuire “in ogni miglior maniera al ristabilimento della universale tranquillita in esso Regno”, alla pubblicazione di un manifesto, col quale tutti i cittadini siano diffidati dal  praticare il minore atto di violenza, in  conformita dell’ottenuto perdono”. E’ citato negli elenchi dei “giacobini” trovati    in casa del marchese della Planargia il 6 luglio 1795, tra i capi dell’emozione del 1794 e tra i membri dello Stamento reale che sostengono i capi rivoluzionari nel promuovere l’Anarchia”; inunaltro elenco di soggetti pericolosi é indicato, con tutta la Giunta dello Stamento reale, come appartenente al partito del dottor Cabras. Sottoscrive il 31 dello stesso mese per lo Stamento cui appartiene, insieme al marchese di San Filippo che firma per lo Stamento militare, una lista di 29 persone sassaresi pericolose che vengono proposte per l’arresto. E’ contrario alla richiesta presentata al viceré l’8 giugno 1796 dagli ex democratici (v. Litterio Cugia) per la destituzione di Angioy e non firma l’elenco di sospetti di giacobinismo inviato al Vivalda il 13 giugno. Nel marzo del 1797,
fra le tante proposte presentate sul luogo in cui inviare in esilio Gian Francesco Simon, suggerisce la citta di Castelsardo, ma si dichiara disposto ad adeguarsi alle decisioni del governo. Nel giugno del 1799 in seguito al regio editto del 3 che impone  un donativo straordinario per far fronte alle spese derivanti dall’arrivo in Sardegna della famiglia reale, denuncia come procuratore dei figli eredi della defunta  loro madre la proprietà di Palabanda, il  cui ”frutto industriale, che se ne ricava, 
  non basta per la manutenzione del guardiano, Carradori, Cavalli, buoi, e Carri. Se si potesse trovare cui affittarla, potrebbe ricavarsi Scudi trer1ta”, corrispondenti a  lire sarde 75. Denuncia inoltre come segretario dell’Universita lo stipendio di scudi di 75 corrispondenti a lire 187.10 (sic); come contadore della Citta, scudi400, “dei quali deducendone Scudi cento, che paga al Pro Cont. approvato dalla stessa Citta, e dal Governo” danno scudi 300 corrispondenti a lire 750. In tutto denuncia un reddito di lire sarde 1012.10 cui vanno aggiunte lire 185 per Palabanda. E’ citato da Angioy nel suo memoriale del 1799 fra gli avvocati di Cagliari favorevoli alla causa della liberta. E’ incluso dall’avvocato Antonio Melis, difensore di Vincenzo Sulis, accusato nel 1799 di congiurare contro la monarchia, tra i numerosissimi e qualificati testi a difesa dell’irnputato, non  ascoltati dalla delegazione giudicante avrebbe dovuto parlare del tribuno come  di un individuo “zelantissimo degli interessi del sovrano e della patria”. E’ accusato di essere il capo della congiura che dal luogo in cui gli aderenti si riunivano é  detta di Palabanda, la quale avrebbe dovuto portare i cospiratori, nella notte tra il 30 ed il 31 ottobre del 1812 ad occupare il 5 °  quartiere di Castello, dopo che gli uomini di Stampace si erano potuti riunire con quelli della Marina e di Villanova avendo trovato aperte le porte dei quartieri, complici, secondo Pietro Martini, due sergenti. I congiurati avrebbero dovuto arrestare il comandante Villamarina e sostituirlo con Gabriele Asquer. Gli scopi del complotto non sono mai stati del tutto chiariti come pure sono rimaste nell’ombra le ”alte” personalita implicate. Forse si voleva giungere ad una nuova espulsione dei piemontesi che, col malgoverno, non solo acuivano il risentimento dell’elemento locale, ma influenzavano anche malevolmente il re, creando un clima di diffidenza, sospetto, oppressione, accentuato dal- 
la crisi economica e dalla carestia del 1811- 1812; la classe dirigente piemontese, infatti, non aveva tenuto conto dei diritti riconosciuti dalle antiche leggi sarde né aveva messo mano alle riforme promesse. Forse si trattava addirittura di destituire Vittorio Emanuele e di nominare sovrano Car- 
lo Felice. I partecipanti erano molti. Quelli dei quali e rimasta memoria nelle carte sono: gli avvocati Gerolamo Boi, Efisio Luigi Carrus, Stanislao Deplano, Francesco Garau, Antonio Massa Murroni, Giuseppe Ortu; i tre figli di Salvatore Cadeddu ed il fratello di questi Giovanni; il 
sacerdote Gavino Muroni; il professore Giuseppe Zedda; il padre Paolo Melis delle Scuole Pie; i fratelli Giuseppe, Ignazio e Pasquale Fanni di Sant’Avendrace; lo scultore Paolo Frassetto; gli artigiani e gli operai Agostino Caria, Giacomo Floris, Potito Marcialis, Salvatore Marras, il sarto Giovanni Putzolu e Raimondo Sorgia. Partecipano alla congiura anche Antonio Cilocco, fratello del notaio Francesco, ed Efisio Frau, ma moltissimi rimangono sconosciuti. Resta invece una supplica del marchese Stefano Manca di Villamermosa, riportata da Maria Pes, ma gia pubblicata da Nicomede Bianchi, il quale chiede che vengano chiarite le voci a suo carico di compartecipazione alla congiura contro il re”. Dopo le informazioni prese, per ordine del re, dal Villamarina, dal conte di Roburent e dal reggente il tribunale del consolato giudice Tiragallo, la pratica e archiviata in data 29 giugno 1813 col suggerimento di non procedere nelle indagini di riprendere il processo interrotto. La congiura viene scoperta per la leggerezza dell’avvocato Gerolamo Boi che consiglia
 all’amico e collega Proto Meloni di mettersi in salvo abbandonando Cagliari; questi ne parla col giudice Raimondo Garau che non interviene e la cosa arriva alle orecchie del comandante della piazza di Cagliari Giacomo Pes di Villamarina. Nella notte fra il 30 ed 31 ottobre viene casualmente fermato, ma subito rilasciato, Giacomo Floris che, spaventato, invece di continuare la missione affidatagli di avvisare i congiurati della Marina e di Villanova, torna indietro e da l’allarme come se la  congiura fosse stata scoperta, cio che non era avvenuto. Secondo altri a svelare la congiura al ministro Rossi sarebbe stato Tomaso Dejana, nemico di Gaetano Cadeddu . Scrive Lorenzo Del Piano che a questo punto “ci sarebbe stata una sola via d’uscita, scatenare ugualmente la som-
mossa, e intanto ammazzare il Villamarina, che all’alba del giorno dopo si faceva vedere in giro senza speciali precauzioni”, ma questa possibilita viene scartata dai congiurati. Il giomo 5 novembre e nei giorni successivi le autorita procedono ai primi arresti. L’8 novembre 1812 viene commesso “ai giudici della Reale Udienza Don Raffaele Valentino, Don Giuseppe Gaffodio e Don Costantino Musio di devenire tutti tre Limitamente alla pronta istruzione degli atti criminali, che saranno ne-
cessari, coll’esame di tutte quelle persone, che crederanno informate”. Conferendo loro per tutto quanto sovra la Nostra stessa Sovrana autorita, riservandoci, compito il procedimento, di aggiunger loro altri Magistrati per conoscere, e pronunciare in via economica come sara di ragione, e giustizia; che tal’é il Nostro preciso volere”. ll collegio giudicante é costituito da Casazza, reggente la Cancelleria, e dai giudici della Reale Udienza Bellu, Podda Pisano, Pes, Mearza. L’istruttoria è difficile in quanto gli arrestati non parlano neanche durante la tortura. Il Martini avanza l’ipotesi che i primi delatori della congiura abbiano fatto solo i nomi dei popolani Sorgia, Putzolu, Floris, Pasquale e Giuseppe Fanni, Marcialis, Marras, Caria, e quello dell’avvocato Massa Murroni, arrestati tutti il 5 novembre, escludendo i  notabili, accusati ed arrestati in seguito, come il Deplano; a meta dicembre sono IV i catturati coloro che non avevano lasciato  la citta, come Giovanni e Luigi Cadeddu. Per Salvatore ed il figlio Gaetano, Zedda e Francesco Garau il govemo pubblica il 9 
gennaio 1813 un manifesto col quale concede il premio di “trecento scudi sardi,  ovvero l’impunita di qualunque delitto o per se stesso, o per qualunque altro delinquente suo congiunto in primo grado di consanguinita od affinita” a chi arresta  uno dei quattro rei; tali premi ed impunita sono pplicabili anche ai correi, purché  non capi. Naturalmente e proibito di “ricettare, favorite, o soccorrere” i quattro contravventori incorreranno nelle pene previste per i ricercati ”i1·remissibilmente.   I senza speranza di condono”. Il Cadeddu abbandona quasi subito la citta e si reca a Sant’Antioco in casa di armici, dove é arrestato il 3 giugno, quando gia erano stati irnpiccati Putzolu e Sorgia. Il suo avvocato difensore e don Diego Pes. E’ accusato di essere uno dei ”Capi e principali autori ‘ 
dell’insurrezione per compromettere, e turbare col sovvertimento dell’ordine la pubblica e privata tranquillita, avendo egli a tal proposito tenuto dei congressi, attirato alcuni nella sua idea, e reclutato molti per mezzo della seduzione, ed anche del denaro, che cerco, ebbe, ed impiego a tal oggetto”. E’ condannato il 30 agosto 1813 ad essere impiccato, ”a spiccarsi la testa dal busto, conficarsi quella al patibolo, e questo consegnarsi alle fiamme e spargersene le ceneri al vento, previa tortura nel capo dei complici, nella confisca dei suoi beni, e nelle spese”; la sentenza é eseguita il 21 settembre. Benvoluto e apprezzato dalla popolazione per la capacita, correttezza e impegno nel lavoro, la sua condanna suscita somma costemazione. Il collegio giudicante pronuncia complessivarnente tre condanne a morte per Sorgia, Putzolu e Salvatore Cadeddu, che sono eseguite;  quattro condanne a morte in contumacia per Zedda, Garau, Gaetano Cadeddu, Ignazio Fanni; quattro condanne al carcere perpetuo per Giovanni Cadeddu, Massa Murroni, Pasquale Fanni e Giacomo Floris; una a venti anni di carcere per Luigi Cadeddu. Per tutti é prevista la tortura  affinché confessino il nome dei complici, ed il pagamento delle spese; ai condannati a morte sono confiscati anche i beni. Deplano prima e esiliato a Mandas, poi incarcerato ad Alghero ed infine confinato a Carloforte. Le carte processuali sono scomparse e non piu ritrovate. Pietro Martini riferisce che il notaio Giuseppe Maria  Cara, segretario della commissione giudicatrice, gli disse di aver consegnato al reggente la Cancelleria conte Calvi gli atti avuti dal giudice Musio. ll Martini sa che successivamente ne venne in possesso il generale Giacomo Pes di Villamarina e, alla sua morte, il conte del Campo, suo erede.
Alcuni fogli del fascicolo erano stati incollati e a questo proposito, sempre il notaio Cara afferma che essi contenevano “alcune note al governo di Demay, comandante il battaglione Real Marina, dove, indi allo scuoprimento della congiura, dava cenno dei due sergenti che vi erano intinti. Egli insto che venissero suggellati, onde falsarnente non se ne arguisse, che egli ne fosse stato il primo denunciatore”. Successivamente il conte Prospero Balbo, rninistro dell’lnterno dal 1820, si oppone
» alla concessione della grazia o ad una riduzione della pena per i condannati. Vincenzo Sulis nelle sue memorie scrive che i suoi nemici erano gli organizzatori delle congiure del 1797 e del 1812 e
 lascia capire che uno dei capi della prima congiura era l’avvocato Cadeddu, che aveva progettato l’uccisione di tutti i nobili dello Stamento militare riuniti nella chiesa della Speranza; di tale congiura parla anche la “Donna imbelle” alias Pepica Delrio (v.), che aveva invitato il Sulis a
parteciparvi, come unico sistema per poter mantenere il suo potere.

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