Alfio Mastropaolo
Venerdì 6 luglio 2012 Il Manifesto
Il governo Monti sta facendo, con vent’anni di ritardo, quel che ci aspettavamo dai governi Berlusconi. Vedasi quanto ha appena scritto Galli della Loggia sulle pagine del Corriere della Sera. Monti applica la sua ricetta con zelo spietato, sospinto da tre fattori fondamentali. Il primo è il suo furore ideologico. È un neoliberale a oltranza, rimasto a bocca asciutta malgrado una lunghissima permanenza della destra al governo, neanche minimamente turbato dai disastri che il neoliberalismo perpetra da almeno un trentennio. Sembra dunque intenzionato a recuperare a tappe forzate il terreno perduto profittando delle drammatiche difficoltà di tutte le forze politiche.
Monti fa il lavoro di Berlusconi Perché il capo dello Stato abbia deciso di rivolgersi a lui è un mistero. Monti è il rappresentante organico di una cosa che in Italia da sempre non c’è, o che quando c’è fa ridere – sempre che non faccia di peggio – ovvero il settore privato, o il capitalismo, o la borghesia. Che non a caso hanno a suo tempo partorito il fascismo e da ultimo quella caricatura di destra che sono Berlusconi e il berlusconismo. Monti ne è la faccia decente, ma non ha mai nascosto le sue pulsioni, né come accademico, né come columnist del Corriere della Sera. Eppure Napolitano l’ha scelto. Va bene che si era fatto una reputazione in Europa come membro della Commissione, ma è dubbio che nella pur magra riserva della Repubblica non si potesse scegliere una figura meno profilata.
Il secondo fattore che mette vento nelle vele di Monti è la crisi finanziaria internazionale, che ha amplificato a dismisura i problemi italiani, aggravati non poco dalla vergognosa incompetenza dei governi Berlusconi, nonché dalle pluriennali spoliazioni da essi perpetrate a danno del paese.
Il terzo fattore che aiuta Monti è l’emergenza democratica in cui Berlusconi ha precipitato il paese. Rispetto a quella situazione i modi urbani di Monti sono un progresso. Quel che però non si può dimenticare è che la macelleria sociale che Monti sta perpetrando è anch’essa una sfida alla democrazia. Quando una democrazia partorisce politiche di questo genere gli effetti sono democraticamente devastanti.
Qualcuno ritiene che la chiusura d’una fabbrica al giorno, la disoccupazione crescente, il decadimento dei servizi e l’impoverimento di fasce sempre più ampie della popolazione non abbia pesanti ricadute sullo stato di salute delle democrazia italiana? Sono fatti che corrodono il tessuto sociale e la convivenza civile, di cui ovviamente la democrazia paga il conto. E infatti la fiducia nelle istituzioni democratiche è in declino e l’antipolitica fiorisce.
Certo, si può orientare il declino della fiducia contro i partiti. Che sono divenuti il capro espiatorio della grande stampa, di Beppe Grillo e talora di sé medesimi. I partiti non sono più immorali di altri pezzi della società italiana, ma invece di curare la propria immoralità si compiacciono di metterla in scena: vuoi immaginando riforme istituzionali volte a decapitarli, vuoi con le autodenigrazioni sistematiche come quelle in cui da ultimo primeggia il sindaco Renzi.
Per intanto dunque i partiti calamitano la sfiducia verso la democrazia. Ma c’è ragione di ritenere che se Monti è stato ingaggiato per curare la democrazia dalle ferite che le ha inflitto Berlusconi, quelle che lui le sta infliggendo non sono meno gravi. Sono più subdole, non scandalizzano le vestali della democrazia, ma provocano danni che non sarà facile riparare.
Insomma, il sollievo che il nuovo stile del governo suscita è modestissimo. Si concede il lusso perfino di qualche ministro che fa mosse apprezzabili (qualche parola si sente a beneficio del Mezzogiorno, anche se i fatti sono lenti; i beni culturali ricevono attenzioni cui erano disabituati da anni). E in Europa ci disprezzano un po’ meno. Ma la consolazione è modesta. L’azione del governo Monti non solo è economicamente e socialmente depressiva. Lo è pure democraticamente. Ci si consenta pertanto una domanda all’onorevole Bersani e a tutti coloro che a sinistra si affannano ad annettersi Monti.
Già, perché in questa storia c’è una sfinge ed è proprio lui, insieme a molti suoi sodali del Pd. Qualche fremito ogni tanto da Bersani ci giunge, ma ci piacerebbe sentire qualcosa di più sostanzioso che non una battuta del tipo: “Monti è una risorsa”. Ci scusi, onorevole, una risorsa per chi? I cassintegrati, gli esodati, i disabili, e via di seguito, o i ristrettissimi circoli di banchieri e imprenditori con cui Monti è in confidenza? Ci dica ancora, onorevole, se fate società con Casini, è in Monti che troverete il vostro premier? O siete già d’accordo per fare il montismo senza Monti, di cui Casini è tifoso sfegatato? Il Pd da che parte sta?
Ogni tanto una battuta può scappare e la penitenza che Monti ha imposto agli italiani (con l’accurata esclusione dei ceti abbienti) dobbiamo forse sopportarla, perché la situazione politica è quel che è e perché ci siamo consegnati mani e piedi ai diktat di Berlino. Ma intanto la penitenza si può attenuarla, si potrebbe applicarla altrimenti e si possono chiamare le cose col loro nome. Galli della Loggia lo fa: è un governo di destra e borghese. E siccome la borghesia italiana non mai stata illuminata, e oggi lo è men che mai, anche perché chi dovrebbe contrastarla o ha deciso di disarmare, o mette i bastoni fra le ruote a chi prova a reagire come la Fiom, questo è un governo antipopolare. Dire che lo si sopporta, ma non ci piace, è che la sinistra farà tutt’altro, aiuterebbe quanto meno a togliere a Di Pietro, alla Lega e a Grillo – e pure a Berlusconi – l’esclusiva delle riserve sul governo. E sarebbe un antidoto all’antipolitica.
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