Pierluigi Mele
Per favorire la comprensione di un fenomeno preoccupante e in crescita ecco l’ntervista del 19.4.2012 di Pierluigi Mele ad Alfio Mastropaolo dal titolo Alle “radici” dell’antipolitica, pubblicata su “Confini”.
C’è un grande dibattito nella politica italiana sull’antipolitica. Per capire le sue “radici” abbiamo intervistato il professor Alfio Mastropaolo. Mastropaolo, allievo di Norberto Bobbio, insegna Scienza Politica all’Università di Torino. E’ tra i massimi studiosi europeidei problemi della democrazia.
L’antipolitica ha radici antiche nel nostro Paese. Quali sono i “padri” dell’antipolitica italiana?
I padri dell’antipolitica sono legione. Curiosamente sono anche legittimi. L’antipolitica è il rifiuto delle regole della democrazia rappresentativa, in nome di chissà quale stramba democrazia immediata, plebiscitaria, e chissà cos’altro, che è parente stretta della seconda alternativa: quella del leader autoritario, acclamato dal popolo sovrano. In realtà di alternative ce ne sono anche altre: per esempio il governo dei tecnici: largo ai competenti, basta con gli eletti del popolo…. E allora l’elenco dei padri si fa lunghissimo: l’antiparlamentarismo ottocentesco, Mosca e Pareto, D’Annunzio e Mussolini. Come spiega Salvatore Lupo nel suo bel libro su Partito e antipartito, pure Indro Montanelli.
E che dire di coloro che hanno vagheggiato, e vagheggiano, varianti italiche del presidenzialismo? O quella roba che Leopoldo Elia ha definito la “democrazia d’investitura”, sgombra di ogni condizionamento parlamentare e partitico? Anche Giovanni Sartori ha detto al riguardo la sua suggerendo la formula del “direttismo”: con cui addita la petulante e distruttiva insistenza con cui alcuni attori (a destra, come a sinistra) reclamano un vincolo tra gli elettori e l’eletto tanto diretto quanto illusorio.
L’ “antipolitica” crea il fascismo?
L’antipolitica danneggia la democrazia. Nessuno vuole più il fascismo: troppa fatica. Meglio una democrazia degradata. Anzi, proprio l’Italia dimostra che la democrazia è degradabile al punto da rendere il fascismo superfluo.
Come giudica il “fenomeno Grillo”?
Grillo è un demagogo, che campa dei difetti della classe politica. Vogliamo definirlo antipolitico? Non vedo problemi: anche se non è il solo. L’elenco è lungo: c’è Il Fatto, c’è Micromega e ci sono altri ancora, che non sono nemmeno demagoghi, ma solo osservatori preoccupati. Basta pure scorrere le colonne di grandi giornali italiani, anche i più compassati, per trovare trovare stentoree denunce dei difetti della politica, e proposte di rinnovamento radicale. L’antipolitica sta dappertutto. Qualcuno la fa in buona fede, mentre qualcun altro la strumentalizza. Purtroppo spesso si confondono e il risultato è allora è un film che abbiamo già visto nei primi anni Novanta. Che non è affatto il caso di ripetere. Cacciati i politici di mestiere dc e socialisti, sono arrivati gli imprenditori e i portavoce del laborioso e onesto popolo padano. Ogni considerazione aggiuntiva è superflua.Mi guarderei bene invece dal trattare da antipolitici quanti vanno appresso a Grillo o leggono Il Fatto. Si tratta per lo più di uomini e donne che vogliono solo una politica da rispettare, decente e onesta. Che risolva i problemi degli italiani, o che se non altro ci provi. L’Italia langue da un quarto di secolo e più. Anzi, da un quarto di secolo e più è in drammatico declino. Non sarà ora di rimetterla in moto?
Qual è la cosa più importante da fare per i partiti politici italiani: rinunciare al finanziamento pubblico? oppure cosa?
Ma no, il finanziamento pubblico è democraticamente necessario. Altrimenti la politica o diventa roba da ricchi oppure vive di tangenti. Bisogna far altro. Per prima cosa una legge che regoli il finanziamento in maniera rigorosa e efficace. Non è impossibile. Purtroppo i partiti non sembrano troppo interessati e cincischiano. A leggere commenti autorevoli, la legge in cantiere non corrisponde alle attese. Perché non pensare ad esempio di fornire ai partiti meno quattrini e più servizi: spazi di comunicazione, spese postali, sedi che li ospitino, ecc.?
In secondo luogo, serve qualcosa che per legge non si può ottenere: che i partiti tornino ad essere corpi intermedi. Che interagiscano permanentemente coi cittadini, che coltivino la cittadinanza democratica. Forse non si possono più resuscitare le sezioni di partito. Ma si può mobilitare la massa degli eletti nazionali, regionali, locali. Previa una (modesta) sforbiciata: sono tantissimi, ma non poi così tanti. I parlamentari francesi lavorano nel loro collegio per quattro giorni su sette. In Italia, una volta eletti, chi li vede più? Neanche i consiglieri comunali sono molto presenti . E se invece ci si preoccupasse di coinvolgere i cittadini un po’ di più?
E’ sufficiente questo “aggiustamento”?
L’antipolitica non si cura solo con una politica migliore. Servono anche politiche migliori. Si è detto che il paese è in declino. Lo è un po’ è effetto delle politiche neoliberali, che sono socialmente disastrose, ma il resto lo ha fatto la loro sgangherata applicazione nazionale. Ci raccontano che il popolo è sovrano, ma come può il popolo sovrano rispettare chi governa in suo nome, quando costoro si mostrano incapaci di risolvere i suoi problemi, di dar lavoro ai giovani (e ai meno giovani), di mantenere un sistema scolastico e sanitario accettabile, di curare il trasporto locale e chi più ne ha più ne metta?
Non solo. La forbice delle disuguaglianze si è drammaticamente allargata. I ricchi sono sempre più ricchi e si sta rapidamente impoverendo pure il ceto medio. Delle due l’una: o non c’è niente da fare e allora non lamentiamoci dell’antipolitica, oppure qualcosa si può fare. La politica allora aguzzi l’ingegno e si rimbocchi le maniche. Il governo Monti ha fatto alcune cose utili e opportune. Ma non ne ha fatto molte altre. Non credo nemmeno che sia colpa sua. E’ condizionato da troppi veti, mentre il suo orizzonte culturale, salvo che per qualche ministro, è rigorosamente neoliberale. Per Monti le disuguaglianze che il mercato suscita non sono scandalose. Io credo invece che siano socialmente distruttive e che in questo momento andrebbe riesumato il vecchio Beveridge (ma forse anche solo un po’ di Fanfani). Sta chiudendo un’impresa appresso all’altra. La politica deve far di più per impedirlo che non amputare l’art. 18 e applicarlo pure agli statali. Deve reperire risorse da investire in istruzione e ricerca. Deve aiutare le famiglie. Deve colmare il ritardo infrastrutturale del Mezzogiorno, che è allo stremo. La lotta agli sprechi della pubblica amministrazione e all’evasione è sacrosanta. Ma non basta.
Un’ultima cosa. Bisogna finirla di trattare la politica come un solo blocco. Ci sono parti politiche diverse e responsabilità diverse. Ci sono stati episodi di malapolitica a destra, ma pure a sinistra. Siamo però sicuri che il bilancio sia in pareggio? Se non altro nel centrosinistra ci si dimette. Senza farla troppo lunga.
E poi, se Padoa Schioppa e Visco fossero stati al posto di Tremonti e soci, forse le cose sarebbero andate in maniera un po’ diversa. Vogliamo dirlo apertamente? Rosy Bindi provò seriamente a riformare la sanità. Fu sabotata nel suo stesso partito, dove si temevano contraccolpi elettorali. Lo stesso successo a Visco. La denigrazione a 360 gradi è anch’essa un fertilizzante dell’antipolitica.
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