Michela Murgia, L’incontro

15 Agosto 2012
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Red

Oggi, ferragosto, invito alla lettura di un bel libro di Michela Murgia, L’incontro, Einaudi, su cui abbiamo già pubblicato una bella recensione di Gianna Lai.

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Questo è un racconto incendiario, come certi proiettili lanciati con la fionda. Corre diritto davanti a sé infuocando le battaglie estive di tre ragazzini, per poi divampare in una guerra di paese combattuta a suon di Salve Regina.

LA STORIA
Il tetto della parrocchia, il fitto dello stagno, il misterioso canale che serpeggia sotto la grata: è questa l’estate per Maurizio e per i suoi amici, un inseguirsi di giorni e avventure, serate in strada e storie di fantasmi. Ma intanto il paese si spacca in due, perdendo la naturalezza del suo invincibile presente plurale. In un crescendo esilarante e irresistibile, verso un finale dove persino le statue dei santi potrebbero diventare oggetti contundenti.
Maurizio ha dieci anni e non vede l’ora che comincino le vacanze. Per lui l’estate significa stare dai nonni a Crabas: lí ogni anno ritrova Franco e Giulio, fratelli di biglie, di ginocchia sbucciate e caccia alle libellule, e domina con loro un piccolo universo retto da legami che sembrano destinati a durare per sempre. Ma nell’estate del 1986 qualcosa di imprevedibile incrinerà la loro infanzia e mostrerà a tutti, adulti e ragazzi, quanto possa essere fragile il granito delle identità collettive.
Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c’erano solo fratellanze. In quella crepa della comunità l’estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi.
In questo racconto insieme comico e profondo, la penna inconfondibile di Michela Murgia ci regala un’appassionata storia di formazione in cui il protagonista scopre - insieme al lettore - cosa significa dire noi.

Ecco ora la bella recensione di Francesca Magni pubblicata il 15 giugno scorso nel blog “Letto fra noi”


Michela Murgia L’incontro (Einaudi, 2012, € 10,00, pp. 112). Una piccola storia nel cuore brullo della Sardegna, in un paesino immaginario di nome Crabas, che è anagramma di Cabras, dove è nata l’autrice: la storia comincia d’estate, quando Maurizio, come ogni anno, va a trascorrere i mesi caldi dai nonni, in compagnia degli amici di sempre, Franco e Giulio. Ma questa estate dei dodici anni non è come le altre. Perché a Crabas il vescovo ha deciso di portare una seconda parrocchia con un secondo parroco e basta una novità come questa a far impazzire i crabassini come la maionese. Anche i ragazzi partecipano del globale impazzimento, «Persino Franco Spanu, sconcertando gli amici di sempre, aveva preso ad andare in giro per Crabas vantandosi che non avrebbe piú fatto il chierichetto con il suo amico Giulio, perché dall’altra parte – a coronamento della sua lunga esperienza di portatore del turibolo nella parrocchia di Santa Maria – lo avevano nominato capo dei chierichetti del Sacro Cuore di Gesù. Nei bar del centro ormai anche uomini anziani si schedavano a vicenda dichiarando le rispettive appartenenze parrocchiali, sebbene ognuno di loro avrebbe preferito morire annegato piuttosto che farsi sorprendere a entrare in una qualunque delle due chiese».
Così, con una storia semplice e piccola, Michela Murgia ne racconta una complessa e grande. Quella delle dinamiche di una comunità abituata a raccogliersi sotto un campanile ma subito pronta a dividersi in schieramenti opposti, se qualcosa di nuovo si mette in mezzo. Capita allora che la processione pasquale dell’ “incontro”  in cui la Madonna riabbraccia il figlio risorto diventi una marcia di opposte parrocchie ridotte a fazioni. E al sollievo che si prova nel finale imprevisto, al piacere per l’ironia serpeggiante, allo sconcerto per l’umana sciocchezza, si accompagna il senso del libro, quello che ti resta in mano come un nocciolo sputato di oliva. Noi, comunità, famiglia non è il sangue, è un’elezione. Un incontro. A Cabras e nel resto del mondo.
Chiudo regalandovi il primo capitolo del libro di Michela Murgia, L’incontro, che proprio questo racconta dalle prime righe, per poi, nelle 112 pagine di una piccola storia sarda, dimostrarlo.
Abbiamo giocato nella stessa strada.
È cosí che si diventa davvero fratelli a Crabas, che venire dalla stessa madre non ha mai reso pa- renti neanche i gatti. Benedetto sempre sia il rispetto per la carne della nostra carne, ma la strada e l’averci giocato insieme offre ai bambini una piú alta dimensione di parentela, che nemmeno da adulti sarà mai dimenticata. Non c’è niente di intuitivo nella generazione: il sangue segue percorsi torbidi e per questo nessun ragazzino crede davvero che basti condividere il cognome di un padre per rivendicarsi seme comune.
Come si è nati è una di quelle cose che bisogna farsi spiegare piú volte, e dev’essere per questo che dopo, per tutta la loro vita, molti adulti cercano di liberarsi dalle parentele casuali affermandone altre decise da sé con puri atti di volontà. Testimoni di matrimonio vengono assunti come fratelli. Padrini e madrine dei propri figli vengono eletti a parenti d’occasione. Compari e comari nascono all’inizio di ogni estate durante la notte di San Giovanni, quando l’intera isola scintilla dei fuochi da saltare insieme mano nella mano per conquistare una fratellanza che non sia in debito con alcuna madre. Alberi genealogici spuntano di continuo dal fuoco, dal vino, dalla colpa e dall’acqua santa. Eppure neanche quei rituali millenari vincolano la memoria del cuore quanto il gioco dei bambini celebrato insieme per strada.
Non c’è stato di famiglia che possa vincere la battaglia contro i pomeriggi di sole estivo in cui si è riusciti a infilare il primo pallone in porta tra le grida dei compagni, o liberato insieme una libel- lula gigante entrata per sbaglio in un retino per farfalle. Cosa può il richiamo del proprio sangue contro la consapevolezza di essere stati la causa in- volontaria del primo sangue sgorgato dal ginocchio di un amico? Nessun Natale trascorso in famiglia compete dentro all’anima con il vento in faccia di certe discese in bicicletta senza mani, col riflesso della treccia scura che dondola sulla schiena della bambina piú bella o con la rovente vergogna di un giornale per grandi trovato tra gli sterpi e sfoglia- to insieme in silenzio, attoniti. In quelle verginità perdute c’è il segreto patto dei veri complici, il potere normativo delle prime consapevolezze comuni, contro le quali non esiste famiglia che ossa pretendere maggiori diritti.
Cosí li senti davvero certi adulti nei bar, uomini fatti e disfatti mille volte dalla vita, vantarsi an- cora tra di loro dei legami nella strada dell’infanzia – abbiamo fatto il gioco insieme – come di un parto condiviso.

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