Sergio Atzeni
Nel 1812, Cagliari e la Sardegna furono colpiti da una grande siccità che distrusse i raccolti e provocò una grave carestia che coincise con una epidemia di vaiolo.
Quell’anno diventerà proverbiale ed è ancora ricordato come “Su famini de s’annu doxi”.
Nel capoluogo si trovava il re Vittorio Emanuele I con il suo seguito in quanto il Piemonte era occupato dai francesi, per questo sui sardi si abbatterono nuove tasse per le spese della corte.
Il popolo esasperato decise di ribellarsi, i congiurati si riunirono in un podere di proprietà dell’avvocato Salvatore Cadeddu, segretario dell’Università, situato nella località di Palabanda, nella zona in cui oggi sorge l’orto botanico.
L’intento era quello di cacciare i pubblici funzionari e i cortigiani che stavano portando la Sardegna alla rovina.
Erano a capo della congiura anche i figli del Cadeddu, Gaetano e Luigi, gli avvocati Francesco Garau e Antonio Massa, il sacerdote Antonio Muroni, l’insegnante Giuseppe Zedda, il conciatore di pelli Raimondo Sorgia, il sarto Giovanni Putzolu, il pescatore Ignazio Fanni ed il panettiere Giacomo Floris.
L’insurrezione venne fissata per il 30 ottobre 1812 e prevedeva l’ingresso nel quartiere Marina dalla porta di Sant’Agostino lasciata aperta dai soldati di guardia già corrotti, per poi raggiungere Castello per arrestare Giacomo Pes di Villamarina, comandante militare della città, ed espellere i cortigiani.
Ma la notizia della cospirazione arrivò all’avvocato del fisco Raimondo Garau che informò il re ed il colonnello Villamarina che allertò i militari ai suoi ordini: Il panettiere Giacomo Floris fu uno dei primi a rinunciare quando incontrò una pattuglia di piemontesi e così fecero alcuni suoi amici.
Il sarto Giovanni Putzolu e alcuni compagni mentre si aggiravano nelle stradine di Stampace furono intercettati dal colonnello Villamarina e Putzolu, vistosi perduto, puntò una pistola contro il comandante ma i suoi amici gli impedirono di sparare.
Sorgia e Salvatore Cadeddu furono arrestati e impiccati, Cadeddu, Fanni, Zedda e Garau, giudicati in contumacia, subirono la stessa condanna, a Floris e Massa venne comminato l’ergastolo.
Gli atti del processo scomparvero quasi subito dagli archivi e circolava voce che gli imputati avessero fatto, durante gli interrogatori, il nome di Stefano Manca di Villahermosa, alto funzionario della corte di Carlo Felice, quale capo segreto della rivolta.
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