Carlo Dore jr.
Dall’alto del podio che domina imponente e impotente la platea dell’assemblea nazionale del PD, Bersani osserva il suo partito frantumarsi nell’ennesima corrida di divisioni interne e veti incrociati, ordini del giorno e tessere strappate, firme, controfirme, primarie e minacce di dimissioni di massa. Osserva quel partito che non vuole farsi dare una linea navigare senza rotta come il Titanic fra gli iceberg, mentre le proteste dell’assemblea, le fughe in avanti di Ichino e Letta e il ciuffo ribelle di Renzi ne accompagnano costantemente la deriva verso il naufragio dell’ennesima sconfitta annunciata. Intanto, da dietro gli iceberg, incombono i “vaffa” di Grillo e il ritorno di Berlusconi: ma gli ufficiali continuano a ballare sul Titanic, mentre Bersani si affanna dietro al timone. Gli ufficiali ballano sul Titanic: si salvi chi può.
Eppure, il gelido bisturi dei tecnici di governo mette ogni giorno a nudo le eterne ferite del Paese agonizzante: lavoratori senza tutele e senza garanzie in marcia verso un futuro sempre più simile ad una notte orbata di stelle; sacche di povertà sempre più ampie; sfiducia crescente verso una politica ormai percepita come una sorta di odioso ectoplasma che galleggia tra privilegi e corruzione. Il Paese agonizzante è saturo di risse sul niente; il Paese agonizzante chiede soluzioni per oggi e per domani: chiede un’agenda progressista, da seguire per voltare pagina.
La road map sembra già tracciata sulla base di tre direttrici fondamentali: il lavoro – da intendersi nella sua costituzionale accezione di diritto fondamentale, e non come privilegio da esaminare in algidi seminari scientifici -; la questione morale – prospettata come un’idea di politica protesa al perseguimento del bene comune, e non come mera strategia conservativa di posti di potere e rendite di posizione; la lotta alla corruzione – presupposto indispensabile per procedere all’effettivo risanamento dei conti pubblici-. Tre direttrici fondamentali per elaborare un programma da cui procedere alla creazione di una coalizione riformista in grado di proporsi quale credibile alternativa per il governo del Paese, sotto la naturale guida del segretario del partito di maggioranza in seno alla coalizione stessa.
La road map sembra tracciata, ma il Titanic non voleva rotta e il PD non vuole linea. La leadership del Segretario viene costantemente indebolita dai continui riferimenti alle primarie quale unico strumento in grado di garantire il tanto invocato “rinnovamento generazionale” – formula perfetta per rendere compatibili con gli schemi del politically correct le ambizioni personali di alcuni amministratori in carriera-, mentre le razionali proposte su lavoro e crescita di Orfini e Fassina vengono liquidate come pericolosi rigurgiti di “novecentismo gauchista”: Ichino flirta con Monti e con Marchionne; Letta tende la mano a Casini e allo Zio Gianni; la Concia e la Bindi si avvitano nell’ennesima discussione sulle unioni di fatto; Renzi mostra i muscoli, e si prepara ad un altro mezzogiorno di fuoco sulla via tra Arcore e la Leopolda.
E così, mentre gli ufficiali ballano sul Titanic, Bersani continua a lottare con il timone di un partito alla deriva, tentando di tenere la linea di galleggiamento: gli iceberg si avvicinano, accompagnati dai “vaffa” di Grillo e dal ghigno impunito di un Berlusconi di nuovo potenzialmente trionfante. Gli ufficiali ballano sul Titanic, immemori della road map, delle direttrici fondamentali per voltare pagina e della minaccia della sconfitta imminente. Gli ufficiali ballano sul Titanic, nella deriva che precede il naufragio: stavolta più che mai, si salvi chi può.
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