Andrea Raggio
Nei giorni scorsi è morto Michele Columbu, il grande vecchio del sardismo. Ecco il ricordo di Andrea Raggio e, in calce un articolo di Michele.
Nei giorni della marcia per il lavoro di Michele Columbu ero segretario della Federazione di Cagliari del PCI. Umberto Cardia, segretario regionale, apprezzava molto l’iniziativa e invitò i segretari delle federazioni di Cagliari e Sassari a organizzare l’accoglienza del marciatore al suo arrivo nelle rispettive città. A me quella iniziativa solitaria non andava giù, mi sembrava un espediente propagandistico. Non organizzai un bel niente e Michele non ebbe all’arrivo a Cagliari l’accoglienza che meritava. Nel 1972 venne eletto alla Camera nelle liste del PCI. Il partito comunista considerò la candidatura di Columbu come un aiuto disinteressato al PSd’Az in un momento difficile. Partecipai attivamente alla trattativa: Michele fu fermissimo nel pretendere piena autonomia nello svolgimento del mandato. Alle fine del 1980 ero presidente del gruppo comunista in Regione. Mi occupavo delle trattative per la formazione della giunta di sinistra che andava formandosi dopo il veto della DC nazionale alla proposta di unità autonomista. Columbu capeggiava la delegazione sardista ed era un sostenitore convinto della svolta a sinistra. Venne proposto come assessore in rappresentanza del PSd’Az. Io ero perplesso perché la maggioranza era condizionata dall’appoggio esterno del partito repubblicano e avevamo bisogno di compattarla attingendo tutti gli assessori dal Consiglio. Telefonai a Mario Melis a Nuoro fingendo di chiedergli un parere. Fu un comportamento del quale ancora oggi mi rimprovero. Mario il mattino successivo piombò a Cagliari e fu nominato assessore. Michele si comportò da signore. Qualche mese dopo come assessore al bilancio e alla programmazione ebbi il compito di reintegrarlo nell’organico del Comitato di programmazione, dal quale era stato licenziato per raggiunti limiti di età. Non poteva essere licenziato perché era stato assunto come consulente. Fece causa e la vinse. Venne, ovviamente, rimesso in organico, trovai però difficoltà ad attribuirgli un incarico adeguato e persino a mettergli a disposizione un ufficio. Perciò tergiversai. Mi disse innervosito: sia chiaro, ho fatto causa solo perché voglio riprendere a lavorare.
Dopo qualche anno ci siamo ritrovati colleghi nel Parlamento europeo. In quei cinque anni ho potuto apprezzare appieno la sua personalità. Si occupava in particolare di culture regionali e lingue minoritarie, le materie preferite da Gaetano Arfé e da Umberto Cardia. Mi chiedeva consigli ed io ero lieto di collaborare. Andavamo spesso a cena insieme a Bruxelles e a Strasburgo, passavamo lunghe serate a conversare. Discutere con lui era un vero piacere, era affascinante, colto e arguto, ironico sino al sarcasmo. Parlava molto bene la lingua sarda, sembrava accarezzarla, modularla in melodia. Una volta gli dissi: il collega irlandese ha parlato in aula per qualche minuto in gaelico, perché non provi con il sardo? E lui: io sono uomo di mondo. Raccontava le sue avventure militari, come fu assegnato al reggimento cavalleggeri a Pinerolo, lui che – diceva- non aveva sino allora montato a cavallo, e come durante la guerra in Russia incoraggiava i suoi soldati e inventava qualcosa per mangiare. Parlava spesso del suo partito, con preoccupazione. Raccontava ironico le riunioni sardiste: “si comincia con lucidi interventi, poi comincia a circolare il vino, spesso spunto, e mi dicono bevvi Michele, è fatto in casa, è genuino ed io rispondo che anche l’arsenico è genuino. Datemi un bicchiere di Chianti”. Ricorreva così all’aneddoto e al paradosso per parlare del sardismo, della sua crisi e delle sue prospettive. Criticava il sardismo prigioniero del passato e la sardità quando scadeva in sarditudine. Avvertiva acutamente l’esigenza di un sardismo nuovo, esigente, aperto ai cambiamenti e al mondo.
Quando il Consiglio regionale approvò la legge che cancellava la Festa della Regione Autonoma nata dalla Costituzione per istituire “Sa die de sa Sardigna” scrisse un feroce commento. Conservo quell’articolo perché in esso leggo il ritratto di Michele Columbu: storico rigoroso, intellettuale colto, politico di spessore, polemista tagliente. Un sardista che guarda al futuro. Io così lo ricordo.
Ecco ora l’articolo di Michele Columbu, pubblicato nell’Unione Sarda del 28 aprile 1996.
A proposito de “Sa die de sa Sardigna”
MA QUALE ORGOGLIO DEI SARDI!
di Michele Columbu
E ora, dopo il 25 aprile, facciamoci Sa die de sa Sardigna. Poi il 1 Maggio, festa del lavoro, affronteremo la grande sagra di S. Efisio. Ma non confondiamo i giorni: il 25 Aprile, si sa, ricorda la Resistenza e vuole ribadire il nostro impegno di non incorrere in un’altra dittatura – la raccomandazione sempre utile e mai fuori luogo – e la festa cagliaritana del 1 Maggio ci ricorda il sacrificio del cristiano Efisio, che ebbe fede nella croce fino alla morte. Chi ha fede e carattere non torna indietro. Come gli antichi sardi: Solu in za morte zédere. Chissà. Ma ecco che le tre ricorrenze hanno in comune che sono ammonimenti, esortazioni alla fermezza e alla generosità. Anche il 28 Aprile infatti, poiché si riferisce ai tumulti di Cagliari del 1794, va ricordato a titolo d’onore e d’orgoglio del popolo sardo. Quei tumulti, oltretutto, furono la premessa dei moti antifeudali che seguirono in quegli anni. Almeno così si dice a Cagliari, dove le notizie dalla Sardegna arrivano lentamente, ma questo vanto di avere cominciato i “moti” non andate a declamarlo ad Ossi, a Sennori, a Sorso, a Nulvi, a Osilo eccetera, dove i vassalli, già nel 1973, prendevano a calci i dragoni del duca dell’Asinara e si rifiutavano di pagare i tributi. Quell’anno ’93 nel Golfo degli Angeli si sparava contro i francesi della rivoluzione – pochissimo per la verità – e si difendeva la buia monarchia dei Savoia.
Il medesimo popolo eroico che il 28 aprile allontanò per un trimestre i funzionari piemontesi, con famiglia o no, l’anno prima aveva mutilato sessanta cadaveri di francesi che si erano scontrati e uccisi tra loro durante un temporale notturno al Poetto. S’intende che questo non toglie niente alla virtù dei nostri avi, perché il popolo siamo così: quando di tagliano testicoli eccetera si tagliano testicoli, e quando si scacciano i piemontesi , la cui “albagia e la sprezzante invadenza” (Carta Raspi, storia della Sardegna) erano insopportabili, allora si cacciano via i piemontesi. Circa la pratica poi di castrare i nemici morti, nessuno si scandalizzi prima di considerare che il re Davide era un campione nel collezionare prepuzi di filistei. Io sono certamente persuaso, come il Foscolo, che le urne dei forti accendono il forte animo a egregie cose. Se poi si scoprisse che i forti della nostra memoria – Amsicora, o Mariano IV, o i patrioti di Cagliari – furono deboli, bè, io non gli toglierei il saluto per questo. Il mio scarso entusiasmo per la istituzione de Sa die de sa Sardigna non è dovuta al fatto che la scelta del 28 aprile è poco felice, ma piuttosto perché non amo le riesumazioni fredde e poco chiare. Altrimenti non starei a rompere inutilmente le scatole. Non mi piace, neppure turisticamente, che la Sardegna resti sola e unica in Italia con una sua Die, ne mi piacerebbe che le altre regioni seguissero il suo esempio. Ho anche paura di una facile e canzonatoria proliferazione in casa nostra: sa Die de su Logudoro, de sa Trexenta, de sa Baronia o, peggio, de Norbello, de Ollolai, de Arbus. Con odiosa franchezza, per concludere dirò che Sa Die de sa Sardigna a me pare un surrogato di qualcosa che la Regione non ha fatto e non fa, una maschera e un imbroglio per nascondere altre inadempienze.
1 commento
1 michele podda
16 Luglio 2012 - 11:31
Apprezzo molto la sensibilità e la schiettezza di A. Raggio nel tratteggiare la figura di Columbu e le difficoltà dei rapporti con lui dal punto di vista politico. Anche noi giovani del PCI di Ollolai (anni settanta) abbiamo contribuito con impegno per la sua elezione ma avevamo dubbi e riserve su di lui e sul Psdaz.
Oggi, o meglio da un bel po’, mi pare di capire che forse potevamo fare meglio e di più, con una maggiore fiducia e collaborazione.
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