Vertice di Bruxelles: se sono rose…

5 Luglio 2012
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Alfiero Grandi

Realizzare quanto serve al nostro paese, e all’Europa, è importante. Il vertice di Bruxelles ha senza dubbio offerto risultati migliori di quelli prevedibili. “Le aspettative concordate sono andate oltre quelle dei mercati” ha detto Roubini. Si sono sprecati i paragoni calcistici, dopo la sconfitta della nazionale un po’ meno. Questo approccio rischia di portare fuori strada.
Nel vertice di Bruxelles si è verificata l’esistenza di una dialettica tra paesi e tra posizioni politiche, prima annichilita dalla subalternità di Sarkozy e dal discredito del governo Berlusconi.
Tuttavia i risultati del vertice di Bruxelles debbono essere valutati con maggiore attenzione.
Ad esempio: il 9 luglio un nuovo vertice preciserà le modalità attuative delle decisioni politiche. Non è ovvio cosa ne uscirà e a seconda dell’esito anche il vertice potrebbe prendere un colore diverso.
Ad esempio: il Governo italiano aveva insistito per un intervento automatico per contenere lo spread. Questo punto decisivo non è passato. L’automatismo obbligava ad indicare il livello di spread massimo tollerabile, cosa che non è stata fatta e la cui indicazione coinciderà con la richiesta di aiuto del paese interessato. Anche se la “troika” (Bce, Fmi, Commissione) non potrà imporre nuove condizioni al paese che invoca il sostegno, con l’umiliante atteggiamento tenuto verso la Grecia, resta il fatto che chi chiederà l’intervento per calmierare lo spread dovrà sottoscrivere un memorandum e impegnarsi ulteriormente ad attuare le misure già indicate (i cosiddetti compiti a casa) senza scampo. Va ricordato che queste misure (come la ben nota lettera della Bce all’Italia) contribuiscono ad aggravare la recessione economica. In più va ricordato che le risorse finanziarie europee a disposizione “salva spread” sono modeste e diventeranno più consistenti solo verso la fine del 2012. Senza arrivare comunque alla consistenza ritenuta da molti necessaria per fronteggiare la speculazione.
Il sistema bancario europeo entra in una nuova fase che gradualmente dovrebbe portare ad un sistema europeo di garanzie, compresa quella sui depositi, e a controlli, ma nulla di paragonabile è transitato nella discussione sull’occupazione e sulla ripresa economica. Perché una banca non può fallire e una grande impresa industriale sì ? Perché per le banche si sta cercando di costruire una rete di protezione che distingue tra responsabilità della gestione e l’interesse della collettività mentre questo non avviene per le imprese industriali, ecc. ? Eppure i contraccolpi su economia e occcupazione possono essere ugualmente pesanti. Questa è la conferma che l’egemonia conservatrice in Europa resta forte.
Si sta delinenando un rafforzamento dei compiti della Bce, a cui vengono attribuiti compiti operativi nel “salva spread” e di vigilanza sul sistema bancario, ma il compito più importante di cui si è discusso (quello di prestatore di ultima istanza) non è nemmeno all’ordine del giorno. Eppure sarebbe la novità più importante e renderebbe la Bce effettivamente simile alla Federal Reserve americana e alle altre banche centrali.
Il rafforzamento della Bce avviene in assenza di un impegno a costruire in Europa un vero e proprio Ministero europeo dell’Economia, come esiste negli Usa, in Inghilterra, Giappone, ecc. Se ne è parlato, certo, ma il memorandum letto da Van Rompuy richiederà tra 5 e 10 anni per essere attuato. Troppo per essere utile ad affrontare la crisi attuale. Eppure il “fiscal compact” voluto dalla Germania (subito senza fiatare da Sarkozy) entrerà in vigore con una rapidità mai vista in Europa, a costo di strappi vistosi alle regole e all’assetto istituzionale europeo.
In Europa quando si vuole i tempi possono essere molto veloci, oppure le scelte possono essere proiettate in un futuro indeterminato quando non si vuole affrontare il problema. Così lo squilibrio dei poteri europei si aggraverà. La Bce sarà sempre più il dominus solitario della politica economica europea, rafforzando la visione conservatrice tedesca, che non a caso dichiara ad ogni piè sospinto di avere fiducia solo nella Bce.
Per ottenere eventuali soccorsi sullo spread il Governo Monti si è impegnato a procedere all’attuazione del memorandum della Bce. Infatti il vertice di Bruxelles è diventato il propellente per attuare i capitoli della lettera della Bce di un anno fa. Cosa potrebbe chiedere di più la troika, visto che l’attuazione delle restrizioni sta procedendo con rapidità ? In altre parole questo “risultato” europeo è l’alibi usato per giustificare la manomissione dell’articolo 18 e in generale il provvedimento sul lavoro, approvato con rapidità degna di miglior causa dal parlamento malgrado si siano sprecati i giudizi critici.
Le misure decise per la crescita (il vero problema di questa crisi) sono importanti come segnale politico, molto meno come concreto risultato. La pressione della Francia ha aperto strade nuove per sostenere lo sviluppo. Tuttavia i tempi di attuazione e le quantità effettive di risorse messe a disposizione non sono in grado di invertire la tendenza recessiva in Europa, cioè non sono in grado di correggere sufficientemente la divaricazione tra chi è in grado di reagire alla recessione e chi, in particolare dopo provvedimenti restrittivi pesanti, non è in grado di farcela da solo. La Germania non ha preso impegni per mettere in comune il debito oltre il 60 % del Pil, né ha preso impegni per la ripresa europea, mnetre gli eurobond per sostenere la ripresa europea sono cancellati dall’odg. L’affermazione di Monti che l’accettazione delle misure per lo sviluppo sarebbero state approvate solo insieme a misure antispread ha dato un’immagine stravagante. Chi avrebbe capito se l’Italia avesse detto no a misure per lo sviluppo di cui si può e si deve criticare l’insufficienza ma non certo l’orizzonte ? Sarebbe stato più comprensibile se oltre alle misure per calmierare lo spread fossero state richieste ben altre misure per lo sviluppo, ma l’Italia ha concentrato tutto sulle richieste per calmierare lo spread, la cui risalita ha nuociuto alla credibilità del Governo Monti. Questo conferma che il Governo Monti continua a pensare che le misure di risanamento e le cosiddette riforme porteranno di per sé alla ripresa economica, mentre invece non è così. Del resto anche la debolezza e l’approssimazione delle misure per lo sviluppo approvate dal Governo Monti stridono pesantemente con la precisione con cui vengono definite le misure dei tagli alla spesa pubblica. Hollande ha più tempo per lo sviluppo: è stato appena eletto, la Francia non è in recessione come l’Italia. Per di più ha ottenuto un impegno europeo sull’introduzione della Tobin tax, obiettivo a cui aveva attribuito giustamente grande importanza. Purtroppo l’Italia è in recessione e la previsione attuale è che a fine anno la situazione dell’economia e dell’occupazione italiana saranno molto peggio del previsto. L’Italia non ha tempo, deve reagire rapidamente, creare domanda interna, offrire fiducia, indicare tappe. Di tutto questo c’è ben poco in Italia come a Bruxelles.
Se questa è la battaglia principale non si vede la ragione del tifo esagerato che è stato diffuso sull’esito del vertice di Bruxelles.

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