Gianni Ferrara
Prove di uccisione della Costituzione formale, dopo che essa è stata stravolta sul piano materiale. Quale delle disposizioni fondamntale delle nostra Carta sono vigenti nella concreta vita del nostro ordinamento?
Ecco sulle ultime iniziative di attacco alla Costituzione una riflessione dell’autorevole costituzionalissta Gianni Ferrara, pubblicato su Il Manifesto dei giorni scorsi.
Avevamo, purtroppo, ragione qualche settimana fa (il manifesto del 5 scorso) a gettare l’allarme alla notizia che il Pdl si apprestava a far proporre dai suoi senatori la trasformazione della forma di governo della Repubblica da parlamentare in semipresidenziale, con un emendamento al disegno di legge costituzionale, detto ABC, esemplare, già da solo, di quello che non può essere, per decenza, un progetto di legge di revisione costituzionale. Di emendamenti poi ne sono stati presentati nove. Ce ne vorrebbero il doppio, il triplo ed anche più se fosse logicamente, giuridicamente, democraticamente concepibile una siffatta proposta.
Infatti, non lo è. Perché non è immaginabile che si possa modificare la forma di governo di un Paese civile in assenza di una informazione estesa, dettagliata, meditata, di una proposta discussa, esaminata, dibattuta. Senza cioè che le elettrici e gli elettori ne sappiano qualcosa. Senza che i membri del Parlamento possano esibire qualche straccio di mandato politico. Contro, radicalmente contro la volontà netta, chiara, univoca espressa sei anni fa dal corpo elettorale con referendum oppositivo al una deliberazione legislativa parlamentare diretta ad analoghi fini, quelli di concentrare poteri in un solo organo. Una dichiarazione di volontà che confermava la forma di governo parlamentare e quindi ne rinnovava la validità e l’efficacia. Non è concepibile quell’emendamento e cento altri di quel tipo - ed è per chi scrive la ragione risolutiva - perché la forma di governo è sottratta al potere di revisione costituzionale dall’articolo 139 della Costituzione.
Ma certi settori dello schieramento politico italiano non limitano la loro vocazione ad indignare. Come se non bastasse quello o quelli sul semipresidenzialismo, un altro emendamento risulta presentato al Senato sul disegno di legge costituzionale ABC. È l’emendamento volto ad aggettivare il Senato col termine “federale”. Alla modifica della forma di governo verrebbe aggiunta così quella del tipo di stato. Una pretesa abnorme, impossibile a pensarci. Si tratterebbe di sconvolgere l’intera struttura dello stato-soggetto, di tutti i suoi apparati, di tutte le competenze, di tutti i poteri pubblici, l’intera distribuzione delle risorse pubbliche e dei debiti dello stato. Si tratterebbe cioè di erigere un altro stato. Lo si vorrebbe con un emendamento.
Non è follia, come appare. Si tratta della più recente manifestazione dell’uso illegale del potere legale a fini distorti, privati, eversivi. È l’uso che abbiamo tante volte denunziato in questo ventennio. Oggi viene sperimentato in sede di revisione costituzionale per ottenere dalla Lega i voti per il semipresidenzialismo dando in cambio una denominazione al Senato del tutto ingannevole, che potrebbe ben prestarsi però a scardinare l’unità della Repubblica.
La Lega mirerebbe a compensare con una falsa denominazione l’uso privato del denaro pubblico che ne vede dimezzati i consensi. Il Pdl, nel disegno delle sue frange estreme, guadagnerebbe invece l’ultima possibilità di offrire al suo capo lo strumento per sperimentare ancora una volta le sue uniche qualità, quelle di imbonitore che ha già determinato tante sciagure all’Italia.
La combinazione dei due “emendamenti” riserverebbe alla Repubblica l’intruglio letale. Alla democrazia italiana l’inavvertita scomparsa.
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