Andrea Raggio
L’11 giugno 1984 moriva a Padova Enrico Berlinguer. La Fondazione Luca Raggio lunedì ha ricordato il grande dirigente comunista in un incontro introdotto da relazioni di Gianluca Scroccu, Andrea Raggio e Andrea Pubusa.
Pubblichiamo l’intervento di Andrea Raggio, che in quegli anni e fino a tutti gli anni ‘80 è stato uno dei protagonisti della politica regionale, ricoprendo l’incarico di capo-gruppo del PCI, di Assessore alla programmazione e di Presidente del Consiglio regionale, prima di essere eletto parlamentare europeo.
Enrico Berlinguer seguiva la politica regionale assiduamente, ma con discrezione. Rispettava e stimolava l’autonomia dei dirigenti sardi. Quando gli esponevamo le nostre difficoltà, ascoltava in silenzio e poi ci interpellava: cosa pensate di fare? Ci rimandava cioè alle grandi, inesauribili risorse della politica, e ci spronava a utilizzarle. “In ogni situazione c’è sempre una politica possibile”. Era il suo credo. In alcuni casi, però, il suo è stato un intervento diretto e determinante.
Negi anni ’50 la politica regionale viveva una fase di preoccupante stagnazione. Si faticava a dar seguito al Congresso del popolo sardo del maggio ’50. L’immobilismo politico fu rotto nella seconda metà del decennio. Il miracolo economico alimentava speranze di sviluppo anche nell’isola, ma anche preoccupazioni, a causa della crescente emigrazione. La strategia del congresso del ’50 tornò d’attualità. Il Partito comunista, con il Congresso regionale del 1957, rinnovò i gruppi dirigenti e rilanciò la strategia della rinascita. Anche la DC sassarese cambiò gruppo dirigente e adeguò la linea politica. Nel 1958, in Nuoro, si svolse un Convegno promosso dalla rivista Ichnusa col quale gli intellettuali democratici si schierarono a sostegno dell’autonomia e della rinascita. Si andò così realizzando l’intreccio tra iniziativa politica, lotte sociali e tensione culturale che ha alimentato quella grande esperienza democratica di massa che è stata la rinascita. Berlinguer con la preparazione del Congresso del 1957, fu l’animatore di questo risveglio.
Prese così l’avvio il nuovo corso della politica regionale durato tutti gli anni della rinascita, caratterizzato dal conflitto tra strategie alternative, quella dello sviluppo endogeno - la linea del Congresso del ’50 - e quella dell’industrializzazione forzata - la politica della Cassa per il Mezzogiorno. Un conflitto animato da un’ampia partecipazione popolare ed è grazie a ciò che la modernizzazione della Sardegna ha prodotto non solo sviluppo, ancorché distorto e precario, ma progresso civile e crescita democratica.
Il conflitto tra le due strategie esplose con l’ostruzionismo della sinistra in Consiglio regionale al piano della Giunta subalterno alla politica della Cassa. Si è poi sviluppato per tappe successive - la politica contestativa, l’indagine parlamentare sulla criminalità trasformata in indagine sul fallimento del piano, la seconda legge di rinascita, l’intesa autonomistica, l’unità autonomistica, la prima giunta regionale di sinistra - unite da un unico filo: la lotta per recuperare le finalità della rinascita.
Alla fine degli anni ’60 la formula “rivendicare uniti e governare divisi” si era oramai logorata. Si era giunti al nodo politico: la disparità tra i partiti che si riconoscevano nella strategia della rinascita causata dalla discriminazione anticomunista. Come aggirarlo? La via scelta è stata quella della “Intesa autonomistica”: rivendicare uniti, governare divisi ma dando più poteri al Consiglio regionale. Berlinguer partecipò al Congresso regionale del gennaio 1970. Sulla proposta dell’intesa volle essere minuziosamente informato. Sapeva che nel partito vi erano diffuse perplessità e anche contrarietà, legate in parte al permanere della visione classista dell’Autonomia. Accentrò la sua attenzione sulla praticabilità dell’Intesa, tenuto conto degli orientamenti delle altre forze politiche e della sensibilità dell’opinione pubblica. Il suo sostegno fu determinante. Così come fermo fu il sostegno alla proposta di giunta di unità autonomistica che seguì all’intesa e sulla quale la DC nazionale pose il veto.
Esaurita la prima fase della rinascita - era cambiata la Sardegna ed era cambiato il mondo - bisognava avviare una nuova fase di sviluppo. Ma, frastornati dai cambiamenti epocali degli anni tra la fine degli “80 e l’inizio dei “90”in Italia e in Europa - la caduta del muro, il passaggio dalla piccola alla grande Europa, tangentopoli e il crollo dei partiti – e ignorando l’ammonizione di Norberto Bobbio alla vigilia della Bolognina, abbiamo svuotato frettolosamente la stiva buttando a mare tutto il passato. La nave si è alleggerita, ma abbiamo imbarcato mercanzie scadenti – i falsi miti del decisionismo, dell’efficientismo, della stabilità coatta, del presidenzialismo, del nuovismo - che hanno svuotato la politica regionale. Berlinguer non poté aiutarci, era morto nel 1984.
Il giorno della sua morte ero in Sicilia per la campagna elettorale. Mi chiesero un’intervista alla RAI, parlai di tante cose ma trascurai un argomento: la stima di cui godeva Berlinguer anche in Europa. E’ ciò che ho scoperto quando ho messo piede per la prima volta in Parlamento, a Strasburgo. Berlinguer era amato in Europa quanto in Italia. Motivo? Giorgio Gaber cantava: qualcuno è comunista perché Berlinguer è un brav’uomo. Vero, ma non solo di questo si trattava. Berlinguer incarnava indubbiamente i tratti della gente per bene, tratti comuni ai cittadini degli altri paesi europei. Ma era stimato anche perché incarnava la buona politica. Montanelli scrisse di lui “portava le insegne del potere più come una croce che come un blasone”. Era stimato perché era radicale sui principi e riformista in politica, una visione che è parte della cultura politica europea. Ed era apprezzato perché aveva condotto il partito comunista a una posizione di crescente autonomia rispetto al PCU e perciò il PCI era visto come un ponte tra l’Europa e l’URSS. Erano anni di forte sviluppo della politica comunitaria grazie all’impegno di personalità come Jacques Delors e Altiero Spinelli che intravedevano sin d’allora la prospettiva della grande Europa.
Pensando a Berlinguer mi torna in mente il noto aforisma sull’utopia di Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano: l’utopia è l’orizzonte, tu gli vai incontro e quello si allontana, gli vai ancora incontro e quello nuovamente si allontana. Non raggiungerai mai l’orizzonte. A che serve allora l’utopia? Serve a camminare.
Berlinguer ci ha aiutato a camminare, a fare politica avendo ben chiara la meta. A camminare per portare la Sardegna fuori da secoli di “vita meschina” (Emilio Lussu). La rinascita non è stata soltanto una buona legge attuata male. E’ stata una grande esperienza di democrazia e di politica che ha coinvolto tutto il popolo sardo. E l’Autonomia è stata lo strumento di questa esperienza: si è indebolita quando è venuta meno l’interazione democrazia - sviluppo. Ristabilire il rapporto tra l’Autonomia e il progetto di un nuovo sviluppo è la questione centrale.
I partiti oggi non aiutano a camminare, a fare politica, proprio perché non hanno orizzonte o lo hanno annebbiato. Anche i partiti che affollano la sinistra. Perciò la politica o non c’è o ce ne è poca e molto è invece il propagandismo. Eppure, nonostante le difficoltà non bisogna smettere di camminare. L’importante è non lasciare la politica agli altri. Perché la politica decide della nostra vita. Questo è il messaggio racchiuso nelle ultime parole di Berlinguer a Padova.
11 giugno 2012
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