T.D.
Su Repubblica di oggi, 18 agosto 2008, Walter Veltroni offre alle nostre letture estive alcuni spunti di riflessione sulla visione del mondo e dell’Italia contemporanea alla quale vorrebbe si ispirasse il partito del quale è segretario. Il titolo redazionale ne compendia il contenuto: combattere il pensiero unico coltivando la memoria. “La vera epidemia del nostro tempo è la perdita della memoria”, che, come il morbo di Alzheimer, “ progressivamente cancella ogni cognizione, ogni ricordo, persino la consapevolezza dell’identità”. “Il pensiero unico anima lo spirito del nostro tempo”, alimentandolo di “una bulimia del presente che rifiuta la coscienza e i valori della storia perché inutili e nel contempo rifiuta la passione per un futuro da fare insieme, perchè sogni buoni solo per idealisti”. Confesso che la lettura dell’intervento di Veltroni ha non poco contribuito ad accrescere la mia inquietudine per il futuro del nostro Paese. Continuo ad avere la sensazione che quel che resta dell’alternativa politica organizzata alla destra italiana sia inesorabilmente destinato alla dissoluzione. A chi parla, in questo Paese, un articolo che rivendica l’importanza della memoria, quando proviene dal leader di un partito politico nato per abiurare contemporaneamente almeno due memorie, quella del PCI e quella del PSI, senza poter rivendicare nemmeno un’aperta continuità con quella della DC? Qual è la memoria su cui dovrebbe fondarsi il nostro futuro? Veltroni cita Nanni Moretti ed Eugenio Scalfari, i quali lamentano “la perdita dello spirito pubblico di una nazione che si trova spesso ad aver cancellati i confini di sé” ed elenca i valori perduti: quello della legalità, della verità, della coerenza, del primato dell’interesse pubblico su quello privato. Può darsi che, qualsiasi elenco avesse stilato, mai avrebbe potuto essere esaustivo. Tuttavia colpisce che manchino due riferimenti: la Costituzione e la democrazia. Uno importante per preservare, come prevenzione e come appiglio contro l’Alzheimer politico, sociale e culturale, una memoria (anche, ma non solo nazionale) permanente, l’altro perché innestato proprio dal primo come indefettibile programma per il futuro. A mio avviso l’omissione non è casuale. La Costituzione è il terreno sul quale il PD ha offerto, subito dopo la sconfitta elettorale, un’ampia disponibilità al dialogo col Cavaliere. E la democrazia è il contenuto indefettibile, strutturale, di ogni singolo comma della Costituzione, nata proprio dalla bruciante memoria di un passato, quello fascista, sulla cui possibile reviviscenza qui ed ora soltanto Famiglia Cristiana ha avuto nei giorni scorsi il coraggio di manifestare esplicita preoccupazione. Il segretario del PD (ma complessivamente il PD) evoca una memoria, ma non la chiama per nome e per cognome, non sa/non può dire quale essa sia; auspica un futuro alternativo al presente, ma inevitabilmente non sa/non può dire quale speranza dovrebbe alimentarlo. Direi che con questo suo intervento addirittura produce un danno. Personalmente non credo affatto che il pensiero unico del capitalismo globalizzato e pervasivo sia in grado, né oggi né mai, di cancellare l’umana e insopprimibile aspirazione, individuale e collettiva, verso il futuro. In realtà, di futuri, esso ne prospetta molteplici e diversi, tutti astrattamente (nell’onirica rappresentazione del marketing pubblicitario) a portata di mano di chiunque, anche se, più concretamente, la gran parte di essi distribuiti, fra popoli, classi, individui, in modo del tutto diseguale. Magari tutti trattati, come le stesse esistenze, su un piano di indifferenza etica, pur sempre prospettati come merci esposte sul mercato. E l’angoscia individuale e collettiva non mi pare derivi dall’assenza di futuri possibili, bensì dalla dilagante consapevolezza che si tratta di futuri raggiungibili secondo una scala di opportunità dipendente da una gerarchia di collocazioni sociali ed economiche sempre meno facilmente superabili. Appellarsi a una generica memoria non dice assolutamente nulla a chi comunque (perché ciò è insito nella natura umana e lo è in primo luogo, come motore della maturazione, nelle età più giovani) deve e ha bisogno di coltivare la speranza nel futuro. Anzi, prospettata in tal modo, la fisionomia di una forza politica appare inutilmente e barbosamente conservatrice. Ovvio che la destra appaia, senza scampo, a tanti italiani, più capace di accompagnare le pulsioni che permangono ad una qualche mobilità sociale e individuale. Certo, una mobilità illusoria, in generale darwiniana, sul piano italico innervata dalla valorizzazione del costume di “arrangiarsi”, ma pur sempre concreta, materialmente palpabile, ancorchè spesso brutale ed eticamente indifferente al senso della responsabilità collettiva. Quel che manca, sul piano politico dell’alternativa al modello incarnato dalla destra, è proprio la capacità/volontà di organizzare concretamente non la difesa di una memoria generica, bensì le espressioni della nostra società interessate alla garanzia di quel fondamentale contratto costituzionale che nel secondo dopoguerra fu scritto come programma durevole: costruire un Paese la cui democraticità si fondi sulla permanente inclusione, sul fatto che nessun cittadino o cittadina possano mai essere esclusi dalla possibilità di avere un futuro se non per propria scelta o per proprio conclamato demerito e che nessun ceto, classe, casta, men che meno singolo individuo possano dominare né politicamente né economicamente precludendo l’accesso a una vita dignitosa ad alcun altro ceto, classe o individuo. Un Paese nel quale istituzioni e partiti siano costantemente permeati dalla finalità di realizzare quel programma orientando anche i processi economici o le loro ricadute verso forme di equità e di giustizia sociale e coltivando in tal senso uno spirito pubblico “praticamente ispirato”, come antidoto non solo contro ogni tendenza autoritaria, ma anche contro ogni autoreferenzialità castale o oligarchica della politica. L’ineffabilità dell’alternativa proposta da Veltroni fa sì che il PD non riesca a diventare un soggetto politico che incarni interessi materiali corposi e vitali e che al PD, oggi, a differenza di quanto accadde per la DC, per il PCI, per il PSI e di quanto oggi accade per Berlusconi e per la Lega, non guardi praticamente nessuna delle forze sociali importanti del Paese. Ed è per questo che il PD, a mio avviso, è destinato ineluttabilmente a ripiegare sempre più anche come forza elettorale, senza che un freno alle conseguenze di questa deriva si frapponga ad opera dei residui micro-partiti che dicono di ispirarsi alla tradizione della sinistra, ma che proprio l’elettorato di sinistra, nella sua globalità, ha ormai relegato tra gli strumenti più improduttivi della politica. . Il problema di come evitare che questo destino (che talvolta appare persino frutto di scelte consapevoli, ad onta delle conclamate velleità “maggioritarie”) travolga la democrazia costituzionale italiana è immane e tuttavia ormai si pone come questione impellente.
1 commento
1 Democrazia Oggi - Dolori d’estate
2 Settembre 2008 - 13:00
[…] una fisionomia politica e a dare speranze alle componenti fondamentali della società italiana, come ben ha sottolineato T.D. nei giorni scorsi in questo sito. La seconda che in Sardegna questa prospettiva, che richiede un profondo rinnovamento negli uomini […]
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