Andrea Pubusa
Quanto taluni referendari sedicenti anticasta siano a dir poco leggeri, lo si desume calmorosamente dall’emendamento dei Riformatori alla leggina di riordino delle province sarde, già al centro di polemiche. Nel testo si legge che “i dipendenti in servizio alla data di scioglimento delle Province sono licenziati con effetto immediato. Le relative funzioni sono esercitate con personale interinale“.
Dunque, i riformatori vogliono fare economie sulla spesa pubblica non riducendo i propri sontuosi emolumenti, sui quali pure il corpo elettorale si è pronunciato al referendum, ma sulle spalle di lavoratori che nessun’altra colpa hanno se non quella di avere consiglieri regionali incapaci e, spesso, imbroglioni. Insomma, la casta - come c’era da sospettare - anziché castrare se stessa, castra i soliti noti: coloro che vivono del loro lavoro, spesso con magri compensi. E lo fa insensatamente e in modo odioso.
Ma quale via d’uscita al vuoto normativo che si verrà a creare con la prossima pubblicazione sul Buras dell’esito dei quattro referendum abrogativi? Il buon senso dice che nell’immediato Sulcis, Medio Campidano, Ogliastra e Gallura, devono essere riaccorpati ai territori da cui sono stati scorporati con la creazione delle nuove province. Nel più lungo periodo si vedrà quale assetto definitivo dare alla questione delle province, che - non lo si scordi - è la questione dell’ente intermedio fra Regione e Comuni. Fuori da ogni propaganda o demagia, è evidente che si tratta di un problema delicato e complesso. Un punto però dev’essere tenuto fermo: non si possono accentrare sulla Regione tutte le funzioni di area sovracomunale, pena soffocare le autonomie locali e i territori e dar vita ad un accentramento ben peggiore di quello attuale. La conseguenza sarebbe il sicuro impoverimento della rappresentanza dei territori, e, in ultima analisi, del tasso di democraticità dell’ordinamento locale. Andrebbe definitivamente alle ortiche quell’idea, invero oggi poco frequentata, della Regione-ordinamento (risultante dall’insieme del sitema delle autonomie locali) in luogo della Regione-ente, soggetto sovrapposto agli enti locali minori, ridotti a terminali di una scala gerarchica.
Anche per i dipendenti valga il buon senso. Anch’essi dovranno seguire le funzioni e i territori ed essere inseriti nei ruoli delle province storiche, in sintonia coi riaccorpamenti. Se non si vuole aumentare la spesa futura può prevedersi per questi dipendenti un ruolo ad esaurimento. Ma niente di meno. Il loro posto di lavoro e lo status acquisito dev’essere garantito.
Infine ma non per importanza, in attesa della leggina di riaccorpamento, gli organi delle province soppresse possono ancora operare? La risposta è affermativa, anche se potranno agire coi limiti e le modalità proprie di una figura ben nota al diritto amministrativo: il c.d. funzionario di fatto. Ciò consente lo svolgimento delle funzioni ordinarie agli organi divenuti “di fatto” a seguito di annullamenti o, in questo caso, di abrogazione della legge istitutiva dell’ente. Gli organi delle province soppresse devono assicurare l’ordinaria amministrazione, ossia lo stretto funzionamento della macchina amministrativa. Ma hanno diritto al compenso? Certamente, nella misura già percepita prima del referendum o comunque hanno diritto ad un’indennità in ragione del lavoro svolto e dell’utilità di esso per l’amministrazione, secondo quanto delibererà la provincia a cui i territori delle ex province saranno accorpati.
Insomma, col buon senso e col ricorso agli strumenti giuridici elaborati per queste situazioni eccezionali, il vuoto creato dal referendum può essere colmato senza traumi o danni gravi. L’unica cosa da evitare sono le sparate o le imbecillaggini. Impresa, tuttavia, proibitiva, data la qualità non eccelsa di tanta parte della rappresentanza regionale.
1 commento
1 RENATO MONTICOLO
17 Maggio 2012 - 11:24
Condivido quasi tutto quello detto da Andrea Pubusa sulla situazione creatasi dopo i Referendum;l’analisi, corretta, richiama in causa oltre che “la scienza” anche la “coscienza” che in questo caso deve leggersi come “buon senso”. Tengo anche conto che la proposta dei Riformatori viene smentita dal suo “padre putativo” ma, come spesso avviene in politica, un parto deforme viene ripudiato e non riconosciuto dallo stesso “genitore”.
Quello che non mi trova concorde è il richiamo alla “imbecillaggine” dell’attuale classe politica regionale.
Ma il mio disaccordo è solo limitato all’aggettivo ”attuale”, aggettivo forse non letteralmente citato nell’articolo ma certamente alluso nel contesto.
Non condivido, ribadisco, e ne spiego le ragioni.
Quando negli anni 90’ ebbi l’occasione e l’onore di partecipare come Consigliere all’assise provinciale di Cagliari, vissi il periodo degli “Statuti”. La allora fresca legge 142/90 all’articolo 16 ipotizzava :” La provincia, in relazione all’ampiezza e peculiarità del territorio, alle esigenze della popolazione ed alla funzionalità dei servizi, può disciplinare nello statuto la suddivisione del proprio territorio in circondari e sulla base di essi organizzare gli uffici, i servizi e la partecipazione dei cittadini.”
Questo comma faceva naturalmente riferimento alla Costituzione che all’articolo 129 prevedeva che” Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento».
In fase di discussione dello Statuto Provinciale (il primo successivo alla legge 142) ci fu una vera battaglia fra chi (pochi sparuti e combattivi) all’opposizione chiedeva la creazione dei Circondari e chi ( molti e sordi a qualsiasi proposta) in maggioranza si opponeva “vittoriosamente” all’idea.
Poi a distanza di anni venne modificato il titolo V della Costituzione e abrogato l’articolo 129 richiamato e contestualmente la citata legge 142.
Oggi ci si accorge della necessità di enti intermedi che aiutino i rapporti funzionali Regione-Comuni , cioè , anche se non si pronuncia più il nome, dei “Circondari”
Ecco perché non concordo sulla “imbecillaggine“ odierna e propendo invece per una “imbecillaggine” endemica per la quale si devono trovare gli opportuni vaccini prima che sia troppo tardi.
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